Virtù cardinali e teologali
Secondo la provenienza, l'essenza e la meta delle virtù, nell'etica teologica classica si distingueva fra virtù naturali e soprannaturali. Le virtù naturali vengono ricondotte alla strutturazione naturale fisico-spirituale dell'uomo; è possibile svilupparle grazie a esercizi costanti (sino a farle diventare 'habitus', attitudini virtuose abituali della persona). Esse rappresentano un'ottimizzazione del carattere naturale e la protezione contro il predominio delle concupiscenze e degli istinti. Secondo la teologia più recente del rapporto fra natura e grazia, non esisterebbero virtù «naturali», dal momento che l'intera esistenza umana sta fin dal principio sotto la grazia «soprannaturale» di Dio, è finalizzata a lui come sua meta grazie all'autopartecipazione di Dio, e la grazia di Dio le rende possibile giungere a questa meta tramite atti buoni, positivi. Le virtù soprannaturali sono capacità e forze «infuse» da Dio con la giustificazione (in quanto dinamica della grazia santificante), che indirizzano le virtù «naturali» direttamente verso questa meta. La dottrina della filosofia stoica sulle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) fu collegata da Ambrogio (397) e Agostino (430) alla dottrina delle tre «virtù soprannaturali» o «teologali», fede, speranza e amore (con riferimento a I Cor 13,13), le quali sono chiamate «teologali» perché sono riferite direttamente a Dio. Grazie ad esse Dio rende con la sua grazia preveniente la capacità di trascendenza dell'uomo atta ad accogliere la divina rivelazione e a concepire il compimento della vocazione personale nella visione beatifica.
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