Citazione spirituale

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rachele il 22 dicembre 2008 alle 21:36 ha scritto:

con la mia scuola abbiamo rappresentato SE FOSSE DAVVERO NATALE, è stato davvero fantastico e abbiamo capito molte cose, auguro a tutti voi un caro Natale!

eleonora il 15 dicembre 2008 alle 21:18 ha scritto:

io sono una alunna della scuola Sacro cuore, io facevo la parte di GOia una barbona,pero alcune mamme sceme
hanno deciso di cambiare recita perchè dicevano che era troppo volgare. io spero che non succeda anche a voi.ciaoooooooooooooo

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Un utente, avv.dellarocca@yaooh.it il 22 dicembre 2008 alle 17:28 ha scritto:

Effettivamente il saggio travalica gli orizzonti finiti per proiettare lo sguardo oltre la terrestività.Faccio seguito al commento del libro del Piana.Sono Umberto della Rocca di Gragnano,penso che i de la roche come affermato dallo storico Liguori in un saggio storico del 1863 della città di Gragnano di Napoli famosa per la pasta ed il vino, giunsero ivi con Carlo I d'Angiò fratello di Luigi IX il santo che definiva Giovanni della Rocca consanguineo come da enciclopedia storica sul ducato d'Atene.I della Rocca parenti anche con i de Joinville storico di San Luigi, Jean de Joinville con una biografia.sul re santo.Cosa certa è che i de Joinville furono feudatari di Gragnano di Napoli imparentati ai de la Roche.Come i di Brienne erano imparentati ai de la Roche con la famosa Isabella de La roche madre di Gualtiero di Brienne,ancora presente il nome sulla lastra tombale monumentale di famiglia.Ivi fondarono il Carmine ed il corpus domini vi sono stemmi antichi di famiglia sugli altari e nell'abside come un guerriero Franco-ispanico come potra vedersi sul sito www.centroculturalegragnano.it.Anche le terre dei della Rocca sono dette le ''Franche''.Gragnano era all'epoca un avamposto di Amalfi.da dette terre si accedeva ad Amalfi,vi era in zona il castello di Pino.All'interno di Villa della Rocca vi erano sarcofagi raffiguranti guerrieri templari di famiglia di cui serbiamo foto e che forse si trovano alla sovrintendenza.Gli storici dovrebbero valutare questi indizi retaggio di una memoria familiare e degli storici
del paese per vedere i collegamenti con la famiglia de la Roche francesi e duchi D'Atene.Anche la forma della villa è a ferro di cavallo come quella francese.I nomi di famiglia sono sempre gli stessi,Guglielmo,Guido,Giovanni,Antonio,Umberto.Sono in possesso de rescritti di Carlo V imperatore del sacro Romano impero che si riferiscono ai della Rocca.Forse la storia induttiva fa trasparire cose che quella ufficiale a grandi linee dimentica o cancella

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marco "mundele", marcolongoni@yahoo.it il 22 dicembre 2008 alle 11:00 ha scritto:

Mi associo ai giudizia positivi su questo libro. Il caro amico Giovanni, soprannominato a Kinshasa "don Bosco" e ricordato ancora oggi con affetto e simpatia dalla gente di Saint Mukasa, mi ha ritrasmesso e ricordato le emozioni, le impressioni che si hanno quando si vive per un periodo medio-lungo un'esperienza missionaria diretta, a contatto con la gente, con le tante persone che affollano le stradine dei quartieri popolari di "Kinshasa la belle". Dal libro traspare l'esperienza vissuta dall'autore, sicuramente intensa, vera, fatta di rapporti personali con la gente, pur nella consapevolezza dell'impossibilità di penetrare fino in fondo in quella cultura e quel pensare africano-congolese che, anche per chi ha vissuta là per (pochi o tanti) anni, rimane un mistero da scoprire.

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Edo il 21 dicembre 2008 alle 19:15 ha scritto:

Gianluca ha messo in quel libro l'anima, il sudore, le vesciche, i passi del Cammino di Santiago, le sue angosce e suoi pensieri più intimi ... non è un diario nel vero senso della parola e nemmeno una guida, sono le sue emozioni, quelle emozioni che ti fanno sgorgare lacrime senza sapere nemmeno perchè piangi.
Sono i suoi passi su un cammino che una volta percorso ti cambia, ti cambia qualcosa dentro, perchè il camnmino non si fa .... è il cammino che ti fa.
L'ho letto tutto d'un fiato senza chiuderlo.
E' un libro che si capisce forse sino in fondo solo dopo aver percorso il cammino, come si capisce che il cammino non inizia dal primo passo .. il vero cammino inizia con l'ultimo passo, quello che ti riporta alla vita di tutti i giorni.
C'è vita vissuta dentro quel libro e Gianluca ha avuto molto coraggio ad aprirsi così.

Marco il 18 dicembre 2008 alle 01:55 ha scritto:

Credo che per scrivere un libro così ci voglia anche coraggio. Quello di affrontare la vita a viso aperto. Non credo sia molto facile.

Ileana il 16 dicembre 2008 alle 16:18 ha scritto:

Mi ha attratto il titolo, da tempo sogno di fare il Cammno di Santiago. Poi quando mi è arrivato, cioè ieri, l'ho aperto per sfogliarlo un attimo pensando di leggerlo in serata. Ragazzi, magari non un "vero scrittore" (lui stesso si definisce "solo un traduttore di emozioni") ma sicuramente uno scrittore "vero".

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Stefania il 19 dicembre 2008 alle 16:53 ha scritto:

Essendo una ragazzadi colore, sento la tematica di questo libro abbastanza vicina. Si parla sempre della persecuzione degli ebrei senza mai sottolineare che c'era pure, anche se piccolo, importante, gruppo di neri, zingari, omosessuali e gli stessi tedeschi che si opponevano. é importante ricordarli e rimpiangerli pure, se lo meritano.


TURSUS il 17 dicembre 2008 alle 19:31 ha scritto:

Queste preghiere di Luigi Di Leo riescono a coinvolgere e ad interpellare la coscienza del lettore.
Chi poi, come i suoi co-parrocchiani, la domenica, le sentono da lui stesso declamare avvertono e ricevono anch'essi quel brivido di emozione con il quale egli, impareggiabilmente, le legge.

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Michele il 16 dicembre 2008 alle 17:30 ha scritto:

Ho assistito alla presentazione del libro avvenuta a Parma lo scorso 28 novembre che, nonostante una inspettata ed inconsueta abbontante nevicata, ho riscontrato un grande adesione ed apprezzamento dalla platea intervenuta.
Pur avendo letto altre testimonianze sulla figura di S.Pio, il libro di Enzo Bertani ben si inserisce nella vita quotidiana del Santo rivelandoci episodi inediti che ne arricchiscono ed esaltano la grandezza dell'umiltà di un uomo fedele e coerente ai superiori e fedele nella Fede.

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Francesco, francesco.coppellotti@fastwebnet.it il 15 dicembre 2008 alle 18:10 ha scritto:

Si tratta di uno splendido romanzo che ha infranto un tabù che pesava e pesa come un macigno sulla letteratura tedesca del dopoguerra. Questo tabù vuole
che si parli del passato con l'obbligatoria cattiva coscienza e con le meccaniche professioni di colpa che
hanno appiattito e impedito la vera ricerca su di esso. UNA ZAMPILLANTE FONTANA libera invece il passato dagli interessi del presente e ci fa capire con una mirabile e libera rivisitazione dell'infanzia che :"Finché
qualcosa è, non è quello che sarà stato. Quando qualcosa è passato, non si è più colui che l'ha vissuto. Si è però più vicino a esso che ad altro". L' io narrante Johann, alter ego dell'autore, racconta dalla prospettiva infantile come ha vissuto in tutta la sua pienezza e in tutta la sua felicità il tempo della storia tedesca che va dalla Repubblica di Weimar alla fine della seconda guerra mondiale:"In realtà, un decennio dopo l'altro, la relazione con il passato obbedisce a delle norme sempre più rigorose. Quanto più questa relazione con il passato viene normalizzata tanto più quello che ci viene presentato come passato non è che un prodotto del presente. Possiamo pensare che si possa giungere fino alla scomparsa pura e semplice del passato, che a esso si finisca per riservare soltanto la funzione di esprimere gli stati d'animo che qualcuno sente o piuttosto è tenuto a sentire." Nel suo romanzo Walser racconta di aver vissuto felicemente, con piena innocenza l'epoca nazionalsocialista nel seno della piccola e solidale comunità rurale del villaggio di Wasserburg sul lago di
Costanza. Così facendo Walser è scrittore puro che narra il passato nella sua verità soggettiva senza cadere preda delle moralizzazioni e delle idealizzazioni. Ma vi è ancora qualcosa di più profondo e di più verace che fa di Walser un grande scrittore, un grandissimo
scrittore che l'Italia a tuttora ignora perché la germanistica ufficiale ha fatto di tutto per non farlo conoscere in combutta con il potere mass-mediatico e
telecratico. Walser non ha l'ingenuità di pensare che si tratti di contrapporre un falso passato "normalizzato ai fini del presente" a un altro passato che invece sgorga del tutto vergine dalla memoria individuale. Questa contrapposizione sarebbe altrettanto ideologica di quella che viene abitualmente imposta e al tempo stesso praticata in una serie infinita di testi tedeschi e no. Walser sa che il ricordo tradisce la natura perché è un prodotto del presente e un'invenzione. Si tratta di inventare meglio, più spregiudicatamente, perché quel passato illusorio ci è pur sempre più vicino di altro, è anche la fonte di quella verità che si presenta attraverso la lingua, i suoni e le parole. Tornare nell'infanzia è un viaggio nella lingua vera, una reinvenzione linguistica al di là della lingua data:"Bisognava perdere l'abitudine di porsi degli scopi. Consegnarsi alle frasi. Al linguaggio. E se lo immaginò così:traversare il mare su una zattera di frasi, anche se questa zattera non cessa di disgregarsi man mano che si costruisce e deve rigenerarsi senza fine con nuove frasi, se non si vuol naufragare". L'infanzia ha una sua lingua perduta nel tempo degli adulti, ma in questo romanzo sgorga dalla "zampillante fontana" del linguaggio un nuovo mirabile edificio di parole, uno straordinario albero delle parole composto di termini personalissimi, talvolta incomprensibili perché provengono dalla madre lingua che non è il tedesco-scritto, ma il dialetto alemanno la vera lingua madre di Walser. E così entriamo nell'altra dimensione profondissima di questo capolavoro, l'intrecciarsi dell'alemanno con il tedesco-scritto: "In cima le parole straniere. Scendendo vengono poi le parole prese in prestito altrove. Quindi il tedesco-scritto, la cosiddetta lingua scritta. E in fondo la base: il dialetto, denominato anche vernacolo. Il dialetto è la lingua madre. Per me essa fu molto diversa dal tedesco-scritto. Mia madre ha parlato alemanno. Mio padre, nato vicinissimo a mia madre, aveva frequentato una 'scuola superiore" ed era perciò diventato all'interno del tedesco bilingue. Come fu poi anche il mio caso. Mia madre conosceva il tedesco-scritto solo per sentito dire. Quando ella, costretta dalle circostanze, lo parlava sembrava di assistere a una scena di teatro contadino. La sua lingua, la nostra lingua era alemanna. Questa lingua era il dialetto, la lingua madre, la prima lingua, la lingua in genere. La sensibilità che si forma quando si apprende la prima lingua resta per tutta la vita quello che chiamiamo sentimento linguistico. Se per qualcuno la prima lingua è subito il tedesco scritto, egli ha senza dubbio un sentimento linguistico diverso da quello che si forma in lui se un dialetto sorveglia l'apprendimento del tedesco-scritto. Il cittadino tedesco non interessato alla storia della lingua crede che il tedesco-scritto sia il tedesco supremo, il tedesco in assoluto... Oggi ancora possiamo dire: Il tedesco-scritto senza i dialetti tedeschi sarebbe una lingua povera. I dialetti forniscono l'ossigeno alla circolazione del sangue del tedesco-scritto...Si può anche dire: il dialetto è il corpo della lingua, il tedesco-scritto ne è il vestito...Dal rimare di Goethe ci si accorge che la sua lingua madre era l'assiano...Finché i dialetti resistono ancora all'appiattimento della civilizzazione anche la struttura federale in Germania è l'espressione politica di una molteplicità naturale e storica. I dialetti conferiscono al federalismo vitalità. Senza i dialetti il federalismo tedesco sarebbe un'orgia amministrativa. Questo Paese deve restare estraneo a chi non comprende i dialetti tedeschi. Sono i dialetti che determinano la realtà di questo Paese...Soltanto nella seconda metà del XX secolo i dialetti si sono ripresi nei confronti delle pretese morbose della lingua elevata. La lingua è la celebrazione incessante delle nozze fra natura e storia".
Questo romanzo quindi è proprio il frutto più bello della celebrazione incessante delle nozze fra la natura e la storia. Proprio per questo esso ci fa capire che "narrare ciò che fu è costruire la casa del sogno. Quanto hai sognato! Ora costruisci. In questa costruzione la volontà non conduce mai a qualcosa di desiderato. Si riceve. Si è pronti". Pronti a ricevere la ricchezza infinita del sogno:"Quelli che sopravvivono non sono quelli che noi siamo stati ma quelli che noi siamo diventati dopo essere stati...Non si può percorrere il proprio passato. Di esso abbiamo soltanto ciò che esso stesso ci rivela. Anche se allora non diventa più chiaro di un sogno. Il passato sarebbe a suo modo tanto più presente, quanto più fossimo capaci di lasciarlo essere se stesso. Anche i sogni, noi li distruggiamo quando ce ne chiediamo il senso. Il sogno, proiettato nella luce di un altro linguaggio, si limita a rispondere alle nostre domande. Come il torturato, dice tutto quello che noi vogliamo, nulla di sè. Così il passato". Leggere questo stupendo romanzo è respirare finalmente aria pura, l'aria pura delle alte vette, quell'aria di cui ci parla Nietzsche quando pensa al suo Zarathustra. E' proprio dal canto della notte dello Zarathustra che viene il titolo del romanzo UNA ZAMPILLANTE FONTANA, perché per Nietzsche l'anima è una zampillante fontana. E il padre di Johann leggeva al fanciullo e si fece leggere da lui in punto di morte questo splendido canto notturno. Con Nietzsche: "Questi credono che la realtà sia brutta, ma non pensano che la conoscenza, anche della realtà più brutta, è bella..." Questo romanzo ha realizzato il voto nietzscheano perché è la conoscenza bella del passato che ci viene incontro con la suggestione di uno splendido sogno che godiamo in quanto tale e di cui non
ci chiediamo mai il senso.


Nicola il 15 dicembre 2008 alle 13:55 ha scritto:

Di disgustoso, secondo me, c'è solamente il commento csopra pubblicato. Un conto è esprimere un dissenso motivato sul quale si può essere o meno d'accordo, altro è ammannire agli altri la propria verità. Vizio antico e ben conosciuto. Ma per favore....

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faffy il 14 dicembre 2008 alle 14:59 ha scritto:

Noi ragazzi lo abbiamo rappresentato ed è stato bellissimo...consiglio il copione a tutti

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Elena B., uboldi.elena@libero.it il 13 dicembre 2008 alle 16:53 ha scritto:

Il titolo lo trovo ironico e originale. Mi è piaciuto molto ed è un ottimo spunto per riflettere su se stessi e sulla propria vita

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Cri il 12 dicembre 2008 alle 22:49 ha scritto:

Avevo vaghi ricordi di questa figura...ne avevo sentito parlare dalla mia maestra delle elementari oltre vent'anni fa. Poi ho visto questo libro in libreria e quel ricordo, rinchiuso nel cassetto della memoria e mai più tirato fuori, è saltato fuori e mi ha convinto a comprarlo.
Ho scoperto una figura meravigliosa e l'autrice è capace di rendere questa storia in modo avvincente, come un romanzo che leggi tutto d'un fiato.
Da leggere (e regalare) assolutamente!

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