Le omelie liturgiche sono una vetta del pontificato di Benedetto XVI. La meno frequentata e conosciuta. Di lui hanno fatto notizia e rumore la lezione di Ratisbona, il libro su Gesù, l'enciclica sulla speranza. Molto meno, pochissimo, le prediche che egli rivolge ai fedeli nelle messe che celebra in pubblico. Eppure, senza le omelie, il magistero di questo Papa teologo resterebbe incomprensibile. Così come senza di esse non si capirebbero un san Leone Magno, il primo Pontefice di cui sia giunta a noi la predicazione liturgica, un sant'Ambrogio, un sant'Agostino, tutti quei grandi pastori e teologi, colonne della Chiesa, che Joseph Ratzinger ha per maestri. Anzitutto le omelie sono quanto di più genuino esce dalla mente di Papa Benedetto. Le scrive quasi integralmente di suo pugno, talvolta le improvvisa. Ma soprattutto imprime in esse quel tratto inconfondibile che distingue le omelie da ogni altro momento del suo magistero: il loro essere parte di un'azione liturgica; anzi, esse stesse liturgia. Benedetto XVI l'ha detto chiaro nell'omelia da lui pronunciata il 29 giugno 2008 nella festa dei santi Pietro e Paolo: la sua vocazione è di "servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti". L'espressione ardita è di Paolo nel capitolo quindici della lettera ai Romani. E il Papa l'ha fatta propria. Ha identificato la sua missione di successore degli Apostoli proprio nel farsi servitore di una "liturgia cosmica". Poiché "quando il mondo nel suo insieme sarà diventato liturgia di Dio, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo". È una visione da vertigine. Ma Papa Ratzinger ha questa certezza incrollabile: quando celebra la messa sa che lì c'è tutto l'agire di Dio, intrecciato con i destini ultimi dell'uomo e del mondo. Per lui la messa non è un semplice rito officiato dalla Chiesa. È la Chiesa stessa, abitata dal Dio trinitario. È immagine e realtà della totalità dell'avventura cristiana. Non sbagliavano i pagani colti dei primi secoli, quando per identificare la cristianità la descrivevano nell'atto di celebrare. Perché questa era anche la fede di quei primi credenti. Sine dominico non possumus, senza l'eucaristia della domenica non possiamo vivere, risposero i martiri di Abitene all'imperatore Diocleziano che proibiva loro di celebrare. E per questo sacrificarono la vita. Benedetto XVI ha richiamato questo episodio nell'omelia della sua prima messa celebrata fuori Roma da Papa, a Bari, il 29 maggio del 2005. In quella stessa omelia il Papa definì la domenica "pasqua settimanale". E con ciò la identificò come l'asse del tempo cristiano. La Pasqua, ossia la passione, la morte e la risurrezione di Gesù, è un atto unico nel tempo, compiuto una volta per tutte, ma è anche un atto compiuto "per sempre", come ben sottolinea la lettera agli Ebrei. E questa contemporaneità si realizza nell'azione liturgica, dove "la Pasqua storica di Gesù entra nel nostro presente e a partire da lì vuole raggiungere e investire la vita di coloro che celebrano e, quindi, l'intera realtà storica". Da cardinale, nel libro Introduzione allo spirito della liturgia, Ratzinger scrisse pagine suggestive sul "tempo della Chiesa", un tempo in cui "passato, presente e futuro si compenetrano e toccano l'eternità". Il tempo della Chiesa è ritmato dalla domenica. Essa è "il primo giorno della settimana" (Matteo, 28, 1) e quindi il primo dei sette giorni della creazione. Ma è anche l'ottavo giorno, il tempo nuovo che ha avuto principio con la risurrezione di Gesù. La domenica è dunque per i cristiani, dice Ratzinger, "la vera misura del tempo, l'unità di misura della loro vita", poiché in ogni messa domenicale irrompe la nuova creazione. Lì ogni volta la Parola di Dio si fa carne. Lo mostrano i dipinti di tante chiese del medioevo e del rinascimento: da un lato l'angelo annunziante, dall'altro la Vergine annunziata, e al centro l'altare sul quale in ogni messa Verbum caro factum est, per opera dello Spirito Santo. Ma anche la struttura della messa mostra ciò in modo lampante, come Papa Benedetto ha ricordato in un suo commento alla cena di Gesù risorto con i discepoli di Emmaus, all'Angelus di domenica 6 aprile 2008. Nella prima parte della messa c'è l'ascolto delle sacre Scritture, e nella seconda ci sono "la liturgia eucaristica e la comunione con Cristo presente nel sacramento del suo Corpo e del suo Sangue". Le due mense, della Parola e del Pane, sono indissolubilmente connesse. L'omelia fa da ponte tra le due. Il modello è Gesù nella sinagoga di Cafarnao, nel capitolo quattro del vangelo di Luca. Riavvolto il rotolo delle Scritture, "gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". Nelle sue omelie, Papa Benedetto fa la stessa cosa. Commenta le Scritture e dice che "oggi" esse si compiono nell'atto liturgico che si sta celebrando. Con il riverbero che ne consegue per la vita di tutti, poiché - ha scritto - "la celebrazione non è solo rito, non è solo un gioco liturgico, essa vuole essere logikè latrèia, trasformazione della mia esistenza in direzione del Lògos, contemporaneità interiore tra me e Cristo". Le Scritture illustrate da Benedetto XVI in ogni omelia sono naturalmente quelle della messa del giorno, alla quale danno l'impronta. E qui entra in campo quell'altra grande articolazione del tempo della Chiesa che è il ciclo dell'anno liturgico. Sul ritmo fondante, quello settimanale delle domeniche, si è innestato fin dai primi secoli cristiani un secondo ritmo, a ciclicità annuale, che ha nella Pasqua il suo perno, e nel Natale e nella Pentecoste altri due centri di gravità. Questo secondo ritmo fa risplendere il mistero cristiano nei suoi aspetti e momenti distinti, lungo l'intero arco della storia sacra. Comincia con le settimane dell'Avvento e prosegue col tempo di Natale e dell'Epifania, con i quaranta giorni della Quaresima, con la Pasqua, con i cinquanta giorni del tempo pasquale, con la Pentecoste. Le domeniche al di fuori di questi tempi forti sono quelle del tempo ordinario, per annum. In più vi sono le feste: come l'Ascensione, la Trinità, il Corpus Domini, i santi Pietro e Paolo, l'Immacolata, l'Assunta. Ma l'anno liturgico è molto più che la narrazione a puntate di un'unica grande storia e dei suoi protagonisti. L'Avvento, ad esempio, non è solo memoria dell'attesa del Messia, perché Egli è già venuto e ancora verrà alla fine dei tempi. La Quaresima è sì preparazione alla Pasqua, ma anche al battesimo come matrice della vita cristiana di ciascuno, sacramento amministrato per antica tradizione nella veglia pasquale. L'umano e il divino, il tempo e l'eterno, Cristo e la Chiesa, la vicenda di tutti e di ciascuno sono sorprendentemente intrecciati in ogni momento dell'anno liturgico. Lo attesta una stupenda antifona della festa dell'Epifania: "Oggi allo Sposo celeste si è unita la Chiesa, perché nel Giordano Cristo lavò i suoi peccati. Corrono i Magi coi doni alle nozze regali e i convitati si allietano dell'acqua mutata in vino". I Magi, il battesimo di Gesù nel Giordano, le nozze di Cana, tutto diventa "epifania", manifestazione, dell'unione nuziale tra Dio e l'uomo, di cui la Chiesa è il segno e l'eucaristia il sacramento. In questo libro è per la prima volta raccolto un ciclo di omelie di Benedetto XVI. Sono quelle dell'anno liturgico che è iniziato con la prima domenica d'Avvento del 2007, o meglio, con i vespri della vigilia di questa domenica. Questa prima omelia e quella del successivo 31 dicembre sono state pronunciate dal Papa durante i vespri, prima del Magnificat. Tutte le altre durante la messa, dopo il vangelo. La maggior parte hanno avuto luogo a San Pietro, nella basilica o nella piazza; una nella cappella Sistina; una a San Giovanni in Laterano; una a San Paolo fuori le Mura; quattro in altre chiese di Roma; una a Castel Gandolfo; una ad Albano; le altre in altre città dell'Italia e del mondo dove il Papa era in visita: a New York, Genova, Brindisi, Sydney, Cagliari, Parigi. In due occasioni Benedetto XVI, oltre che celebrare la messa, ha amministrato il battesimo a bambini e adulti. Una volta ha conferito la cresima a dei giovani. Una volta ha ordinato dei sacerdoti. Un'altra volta ha consacrato gli olii per l'amministrazione dei sacramenti. Un'altra volta ancora ha imposto il pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti. In un'occasione ha consacrato una nuova chiesa parrocchiale e in un'altra il nuovo altare di una cattedrale. In tutti questi casi il Papa ha dedicato una parte dell'omelia a illustrare questi gesti. Inoltre, per tre volte la messa è stata preceduta o seguita da una processione: il mercoledì delle Ceneri, la domenica delle Palme e il Corpus Domini. La sera del Giovedì santo il Papa ha lavato i piedi a dodici persone. La notte di Pasqua ha presieduto la liturgia della luce, con l'accensione del cero pasquale e il canto dell'Exultet. Il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, ha partecipato con lui alla messa - ma senza consacrare né fare la comunione - il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il quale si è anche associato all'omelia, parlando subito prima del Papa. In ogni caso, sempre Benedetto XVI ha poggiato le sue omelie sui brani della Scrittura letti nella messa del giorno o, analogamente, nei vespri. Il lettore troverà tali brani riprodotti al termine di ciascuna omelia: corredo indispensabile per situarla nel suo contesto liturgico. I brani quasi sempre coincidono con le letture del messale romano proclamate quello stesso giorno in quasi tutte le chiese cattoliche del mondo. Dopo le omelie dei vespri d'inizio d'Avvento e del 31 dicembre il lettore troverà anche i testi del Magnificat e del Te Deum. A leggerle in modo continuato, le omelie di Benedetto XVI disegnano l'arco dell'anno liturgico, e quindi il mistero cristiano, con una nitidezza esemplare. Il disegno ha qua e là dei vuoti, perché in non poche domeniche e feste il Papa non celebra in pubblico. Ma lui stesso mostra di voler colmare questi vuoti dedicando a tale scopo i messaggi che rivolge ai fedeli e al mondo tutte le domeniche a mezzogiorno prima della preghiera dell'Angelus o, nel tempo pasquale, del Regina Caeli. Questi messaggi sono spesso delle piccole omelie. Nelle quali Benedetto XVI commenta le letture della messa del giorno. Sono inconfondibilmente di suo pugno, veri gioielli di omiletica minore. In appendice al libro il lettore ne troverà raccolte alcune. E con esse arricchirà la visione di quel capolavoro che è l'anno liturgico narrato da Papa Benedetto. Dalla prefazione di Sandro Magister