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DETTAGLI DI «Giovanni Palatucci. Il Questore 'giusto'»
Tipo
Libro
Titolo
Giovanni Palatucci. Il Questore 'giusto'
Autore
Piersandro Vanzan
Editore
Pro Sanctitate Edizioni
EAN
9788873960942
Pagine
216
Data
2007
Peso
340 grammi
Dimensioni
13 x 20 cm
COMMENTI DEI LETTORI A «Giovanni Palatucci. Il Questore 'giusto'»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Giovanni Palatucci. Il Questore 'giusto'»
Recensione di Pietro Zovatto della rivista Studia Patavina
Di questo avvocato nato a Montella (Avellino) nel 1909 e morto a Dachau (1945) non è ancora sufficientemente nota al gran pubblico la vicenda professionale e umana che lo portò a una fine drammatica, dopo l’arresto delle SS tedesche. Il gesuita P. Vanzan e M. Scatena seguono l’itinerario di questo cavaliere dell’altruismo a favore degli ebrei perseguitati in Italia, dopo le leggi razziali del 1938 e soprattutto dopo che i nazisti avevano occupato il confine orientale d’Italia, Fiume compresa, dopo l’8 settembre 1943 con l’armistizio, che precipitò l’Italia in una vera e propria guerra civile.
Entrato nel servizio della questura di Genova (quale vicecommissario), a causa di una intervista rilasciata a un giornale il Palatucci fu trasferito a Fiume, ove occupò l’ufficio per gli Stranieri. Qui si esplicò tutta la sua benefica attività, tanto più che la possibilità di essere riconosciuto “arianizzato” e la possibilità di non aver scritto il nome di ebreo né nella carta d’identità, né sui passaporti (ma solo negli altri certificati e in quello del lavoro) gli permetteva di aiutare gli ebrei sia locali sia di passaggio dall’Europa orientale (ov’erano perseguitati) e di farli emigrare o di concedere loro un permesso di soggiorno.
Il problema divenne drammatico dopo l’8 settembre del 1943, poiché il questore lasciò Fiume e lui si trovò ad essere nominato Reggente della Questura di quella città di confine esposto a tutti i rischi. Il libro descrive tutte le astuzie per favorire il salvataggio degli ebrei, sotto gli occhi sospettosi dei tedeschi. Avendo egli riservato a sé tutte le pratiche per stranieri, riuscì a inviare ebrei dapprima a Montella, ov’era vescovo il fratello Giuseppe Maria Palatucci, oppure di permettere il passaggio per l’Italia per andare in Svizzera, oppure in Spagna e quindi nell’America del Sud. E, dopo il ’43, a percorrere le strade delle burocratiche astuzie delle interpretazioni, affinché nessun ebreo cadesse nelle mani degli occupatori. Il calcolo finora fatto dai diversi studiosi: Raimo e Antonio De Simone Palatucci (nipote), il più ricco di informazioni, M. Scatena e lo stesso Vanzan della rivista “La Civiltà Cattolica” (I, 2004, pp. 268-265), sul numero dei salvati, si aggira sui cinquemila. Oltre alle agevolazioni burocratiche per l’espatrio egli riusciva a far avvisare previamente coloro che dovevano essere arrestati e deportati perché ebrei, intercettando le lettere e informando tempestivamente le vittime designate.
Quando ormai le SS tedesche di Fiume stavano per arrestarlo, il console di Trieste, suo amico, lo convinse a riparare in Svizzera, ove avrebbe alloggiato nella sua casa. Al confine ebbe un ripensamento e tornò a Fiume per non lasciare gli ebrei senza la sua “protezione” decisiva per la vita di tanti perseguitati. La motivazione del suo arresto fu quella di “intesa con il nemico”, poiché gli fu trovato un piano che prevedeva Fiume quale città autonoma a guerra terminata. La motivazione era quella di sottrarre gli ebrei all’arresto e a una sicura deportazione. Portato a Trieste, fu al Coroneo, a San Sabba e quindi a Dachau, ove morì il 10 febbraio 1945.
L’autorità ebraica dello Stato di Israele gli ha conferito il riconoscimento quale “giusto delle nazioni” dedicandogli un viale con trentasei alberi, tanti quanti sono stati gli anni della sua giovane vita. La Chiesa ha già concluso la prima fase per la causa della beatificazione del “questore giusto”.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Entrato nel servizio della questura di Genova (quale vicecommissario), a causa di una intervista rilasciata a un giornale il Palatucci fu trasferito a Fiume, ove occupò l’ufficio per gli Stranieri. Qui si esplicò tutta la sua benefica attività, tanto più che la possibilità di essere riconosciuto “arianizzato” e la possibilità di non aver scritto il nome di ebreo né nella carta d’identità, né sui passaporti (ma solo negli altri certificati e in quello del lavoro) gli permetteva di aiutare gli ebrei sia locali sia di passaggio dall’Europa orientale (ov’erano perseguitati) e di farli emigrare o di concedere loro un permesso di soggiorno.
Il problema divenne drammatico dopo l’8 settembre del 1943, poiché il questore lasciò Fiume e lui si trovò ad essere nominato Reggente della Questura di quella città di confine esposto a tutti i rischi. Il libro descrive tutte le astuzie per favorire il salvataggio degli ebrei, sotto gli occhi sospettosi dei tedeschi. Avendo egli riservato a sé tutte le pratiche per stranieri, riuscì a inviare ebrei dapprima a Montella, ov’era vescovo il fratello Giuseppe Maria Palatucci, oppure di permettere il passaggio per l’Italia per andare in Svizzera, oppure in Spagna e quindi nell’America del Sud. E, dopo il ’43, a percorrere le strade delle burocratiche astuzie delle interpretazioni, affinché nessun ebreo cadesse nelle mani degli occupatori. Il calcolo finora fatto dai diversi studiosi: Raimo e Antonio De Simone Palatucci (nipote), il più ricco di informazioni, M. Scatena e lo stesso Vanzan della rivista “La Civiltà Cattolica” (I, 2004, pp. 268-265), sul numero dei salvati, si aggira sui cinquemila. Oltre alle agevolazioni burocratiche per l’espatrio egli riusciva a far avvisare previamente coloro che dovevano essere arrestati e deportati perché ebrei, intercettando le lettere e informando tempestivamente le vittime designate.
Quando ormai le SS tedesche di Fiume stavano per arrestarlo, il console di Trieste, suo amico, lo convinse a riparare in Svizzera, ove avrebbe alloggiato nella sua casa. Al confine ebbe un ripensamento e tornò a Fiume per non lasciare gli ebrei senza la sua “protezione” decisiva per la vita di tanti perseguitati. La motivazione del suo arresto fu quella di “intesa con il nemico”, poiché gli fu trovato un piano che prevedeva Fiume quale città autonoma a guerra terminata. La motivazione era quella di sottrarre gli ebrei all’arresto e a una sicura deportazione. Portato a Trieste, fu al Coroneo, a San Sabba e quindi a Dachau, ove morì il 10 febbraio 1945.
L’autorità ebraica dello Stato di Israele gli ha conferito il riconoscimento quale “giusto delle nazioni” dedicandogli un viale con trentasei alberi, tanti quanti sono stati gli anni della sua giovane vita. La Chiesa ha già concluso la prima fase per la causa della beatificazione del “questore giusto”.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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