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DETTAGLI DI «Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme, procesi»
Tipo
Libro
Titolo
Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme, procesi
Autore
Battocchio Riccardo - Noceti Serena
Editore
Glossa Edizioni
EAN
9788871052250
Pagine
350
Data
2007
Peso
310 grammi
COMMENTI DEI LETTORI A «Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme, procesi»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme, procesi»
Recensione di Marco Vergottini della rivista Il Regno
Celebrati i quarant’anni di attività (1967-2007), l’Associazione teologica italiana (ATI) ha concluso la sua applicazione alla tematica ecclesiologica, per accingersi allo studio del filone antropologico, tuttora in corso d’opera. La recente pubblicazione del volume degli atti del XIX Congresso nazionale dell’associazione, celebrato a Camposampiero (Padova) dal 5 al 9 settembre 2005, sollecita a indugiare ancora sul tema della sinodalità. L’approdo alla questione dev’essere iscritto, come si è detto, nel quadro di un percorso triennale che ha preso le mosse dal XVIII Congresso (Anagni, settembre 2003), quando l’attenzione fu rivolta al nesso evangelizzazione-Chiesa, nella scia dell’intuizione montiniana per cui la Chiesa «esiste per evangelizzare» (Evangelii nuntiandi, n. 14; EV 5/1601). Cersetto, la cura e la dedizione per l’annuncio del Vangelo appartengono costitutivamente alla Chiesa; eppure, alla luce di determinati snodi epocali – ove il cambiamento culturale e la trasformazione dei paradigmi etici impongono alla comunità cristiana una revisione delle forme consolidate d’attuazione della sua missione – diviene urgente e provvidenziale ricentrare l’attenzione sul principio che istituisce e norma l’essere e l’agire ecclesiale. La posta in gioco non è anzitutto quella di ripensare nuove strategie, di esplorare ulteriori percorsi o di formulare più incisivi programmi dell’azione missionaria. Più in radice, si tratta di realizzare una conversione interiore, quella che lo Spirito sollecita alla comunità cristiana, anche alla luce delle sfide che la storia pone alla coscienza credente. Come indicava in quell’occasione il card. Martini, nel quadro di un intervento sull’esercizio dell’autorità nella Chiesa che prendeva le mosse dal testo evangelico «In mezzo a voi come colui che serve » (Lc 22,27),1 è necessario elaborare un modello ecclesiologico che risponda a criteri autentici a misura di Vangelo; senza, d’altra parte, cadere nella retorica delle buone intenzioni o nel velleitarismo dell’ecclesially correct. In altre parole, occorre guardarsi dal rischio di teorizzare in modo approfondito, e finanche audace, le forme dell’autorità e della collegialità nella Chiesa, per poi risultare incapaci di metterle in pratica nell’esercizio concreto e quotidiano del vivere ecclesiale. Molto più saggio confidare nello Spirito Santo che solo sa guidare «con pazienza e misericordia colui che è rivestito di autorità per far sì che colga volta per volta, nell’estrema complessità della situazione, quanto meglio corrisponde al bene comune ed è compatibile con ilgrado di fervore di una comunità, con la situazione concreta del momento che si sta vivendo ed è perciò servizio reale, anche se modesto, alla predicazione evangelica ».2 Soltanto con questo stile la Chiesa saprà sentirsi stimolata alla riforma dal Vangelo che ha il compito di annunciare anzitutto a se stessa: è, infatti, il Vangelo di Gesù a costituire la «forma» alla cui scuola la Chiesa deve continuamente lasciarsi educare. Sotto questo profilo, risulta paradigmatico lo schizzo ecclesiologico tracciato negli Atti degli apostoli, laddove viene descritto l’agire della comunità apostolica che nelle diverse situazioni si pone alla continua ricerca di nuovi modelli e strategie pastorali, così da percepire e realizzare il disegno di Dio nelle diverse circostanze sotto la guida dello Spirito Santo; il quale, a tutti gli effetti, ricopre il ruolo di attore principale (l’espressione pneuma ricorre ben 70 volte negli Atti, quasi 1/5 dell’uso complessivo del termine nel Nuovo Testamento!). Il tempo della Chiesa, nella prospettiva lucana, appare infatti come continuazione del disegno divino manifestato nel mistero pasquale di Gesù: si tratta non già di una mera ripetizione o di un prolungamento materiale delle parole e dei gesti di Gesù, ma di uno sforzo creativo teso a ritradurre i lineamenti di Cristo servo e paziente nei diversi eventi della storia di questo mondo. La cura per la forme storiche della proposta cristiana diviene, dunque, sollecitudine per la «ri-forma» della Chiesa nel suo insieme e nella molteplicità delle sue manifestazioni. Coerentemente, l’ATI – nel XV corso di aggiornamento (Roma, 28-30 dicembre 2004) – ha proseguito lo scavo ecclesiologico concentrando l’attenzione sulla svolta ecclesiologica inaugurata dal Vaticano II,3 proprio in quanto il rinvio all’evento conciliare invita a fare i conti con «quel movimento che ha collegato in modo imprevedibile molte attività individuali e le ha convogliate in un flusso dal quale è emerso come frutto e risultato quella nuova visione della Chiesa e della rivelazione, depositata nei testi conciliari» (P. Hünermann). Non a caso, la singolarità del contributo dell’ultimo Concilio in ordine al compito di ripensare il volto della Chiesa richiede, da una parte, di integrare la prospettiva dogmatica con un’ermeneutica che muova dalla peculiare prassi sinodale che lo ha contraddistinto; dall’altra parte, sollecita a interrogarsi sulla qualità della stessa lezione conciliare, in ordine al rinnovamento della riflessione ecclesiologica, nonché ai suoi risvolti sui diversi aspetti del vissuto pastorale.
Il congresso ATI su «Chiesa e sinodalità»
Alla luce di questi affondi teorici e storici, v’è merito pertanto di considerare l’apporto del congresso nazionale di Camposampiero confluito nella recente pubblicazione: ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme e processi, a cura di R. Battocchio e S. Noceti, Glossa, Milano 2007. L’ipotesi di lavoro che ha comandato l’impianto del volume è efficacemente racchiusa nel titolo e puntualmente ribattuta nel sottotitolo. Oggetto formale della riflessione è di contribuire a determinare sul piano teoretico la forma sinodale come dimensione essenziale e forma basilare della comunità ecclesiale, tenuto conto della suggestiva formula coniata da Giovanni Crisostomo, secondo cui «la Chiesa ha nome sinodo » («Ekklesía […] synodu estin onoma », Expl. In Psalm. 149,1). L’approccio al tema della sinodalità ruota quindileattorno a tre fulcri che intendono mettere in luce la profondità, la dimensione e i dinamismi di questa nota ecclesiale. Così, «coscienza» dice il riferimento all’autoconfigurazione stessa della Chiesa, quale Chiesa di Cristo; «forme» indica la pluralità delle declinazioni storiche; «processi» chiama in causa la logica progressiva del suo realizzarsi. Come è stato ricordato, le basi della sinodalità sono state rilanciate dall’ecclesiologia di comunione che si è affermata a partire dal Vaticano II, con la conseguente nascita di diverse strutture sinodali a vari livelli: sinodo dei vescovi, conferenze episcopali, consigli presbiterali e pastorali, sinodi diocesani. A fronte di questa fioritura di strutture collegiali, in verità, la teologia postconciliare non ha saputo forse caratterizzare una proposta ecclesiologica originale, come tale incentrata sulla dimensione della sinodalità; non di meno, sono numerosi i saggi di carattere analitico che hanno contribuito a mantenere viva una sensibilità diffusa per il tema.4 La tematica della sinodalità, nel suo succedersi triadico coscienza/forme/ processi, è stata istruita a Camposampiero intrecciando tre ulteriori profili tra loro correlati: a) sul piano teologico-fondamentale, occorre determinare la forma sinodale come nota originaria della coscienza credente e del farsi stesso della Chiesa; b) sul piano storico-teologico, si è puntato a rivisitare in chiave metodologica la tradizione ecclesiastica che come un fenomeno carsico ha conosciuto dall’epoca neotestamentaria fino al Vaticano II l’emergere e lo scomparire dell’istanza del «camminare insieme»; c) finalmente, sul piano teologico-pratico, si è inteso riconsiderare la dinamica dei processi in atto nella Chiesa universale e nelle Chiese locali, onde pervenire a una comprensione e valutazione della prassi sinodale, con le implicazioni che un tale processo può significare per il cammino verso la piena comunione tra le Chiese. Senza dimenticare poi d’incaricarsi di iscrivere le dinamiche ecclesiali all’interno della più generale sensibilità e dei processi comunicativi propri della società contemporanea, quale traspare dalla sempre maggiore richiesta di attivare nuovi spazi di rappresentanza e di partecipazione, per altro in una congiuntura epocale segnata dalla fatica d’indivibitabile
Sinodalità e coscienza di Chiesa
La scelta metodologica di iscrivere l’istanza ecclesiale della sinodalità in riferimento ai dinamismi socioculturali in atto è stata adottata da G. Angelini nel suo contributo, con la preoccupazione però di mettere a fuoco non tanto il rapporto fra procedure democratiche e dinamismi ecclesiali, quanto il nesso assai poco esplorato con le forme che assume la coscienza nelle forme di oggettivazione sociale. Il teologo milanese, onde reagire al difetto di molta letteratura teologica che produce sull’argomento della sinodalità trattazioni «assai formali e a rischio di nominalismo», ha inteso misurarsi con tre fenomeni emblematici, eppure generalmente disattesi. Anzitutto, la singolare assonanza che precipitosamente viene istituita fra la forma sinodale e la retorica del pluralismo civile dimentica che quest’ultimo fenomeno costituisce senz’altro un dato di fatto indud’indivibitabile dell’odierna convivenza sociale, ma non per questo deve condurre a un apprezzamento della sua figura sul piano valoriale. L’insistenza sulla tutela dei diritti soggettivi e il postulato dell’autonomia del singolo finiscono per occultare quella dimensione «conviviale» della ricerca della verità, che muove da un’alleanza che certo, nel rispetto delle differenze dei singoli individui, non può esonerare ad appellarsi a un comune orizzonte (religioso) del vivere, che costituisce una condizione irrinunciabile per la comunicazione interpersonale e per la stessa vita sociale. Quanto poi ai due modelli oggi prevalenti sul piano della coscienza credente del nostro tempo – rispettivamente, la religione invisibile e la religione fanatica – essi, pur muovendo da istanze opposte, finiscono per accreditare una medesima tesi di carattere generale: quella d’intendere senz’altro la molteplicità delle forme religiose come espressione della molteplicità dei carismi, col risultato d’innescare un processo d’immunizzazione della coscienza credente nei confronti della realtà troppo complessa. Collegando la nozione di sinodalità con quella di koinonia nell’epistolario paolino, il biblista G. Barbaglio (scomparso prematuramente nel 2007) si è prefisso di scoprire il legame che intercorre fra la libera adesione a Cristo nella fede del singolo (In-Sein) e la delineazione di un soggetto comunitario e fraterno (Mit-Sein). In questo quadro, l’apostolo Paolo illustra un modello ecclesiologico che dall’In-Sein cristico di timbro mistico approda al Mit-Sein di marca sociale ed ecclesiale: dato che ogni battezzato, per grazia, è ugualmente partecipe dell’evento salvifico di Cristo, ne deriva che tutti i credenti danno forma a una societas solidale inserita nello spazio vitale di Cristo risorto.
Forme sinodal i lungo la storia
Che non si possa automaticamente inferire dall’evidenza della coscienza sinodale la nascita di processi coerenti sul piano del vissuto ecclesiale, ma che sia invece indispensabile soffermarsi sulla forma ecclesiale come mezzo fra il piano teorico e quello della prassi concreta, hanno provveduto a illustrarlo le due relazioni di H. Legrand e G. Gassmann. Così, l’ecclesiologo domenicano, per parte sua, ha insistito sul fatto che una ricognizione sul tema della sinodalità nelVaticano II deve anzitutto prendere atto dell’assenza del termine nei testi conciliari, come pure del fatto che il massimo sforzo nell’assise è stato dedicato all’esigenza di operare un raccordo articolato fra ministero petrino e collegialità episcopale. Eppure, una corretta ermeneutica conciliare, nell’atto in cui si fa carico sul piano metodologico di storicizzare la questione in esame, riconoscendo nei lavori conciliari un approccio più contingente che sistematico, non può esonerarsi da un’opera di teologizzazione della sinodalità, riconoscendo che essa è un traguardo cui si approda non solo sul piano riflessivo, ma alla luce di un lungo apprendistato che chiama in causa la Chiesa universale, il rapporto con le Chiese locali e il dialogo ecumenico. Proprio su quest’ultimo fronte, il pastore luterano, figura di primo piano del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), ripercorrendo i documenti del cammino ecumenico dal 1961 a oggi, ha segnalato come la forma sinodale costituisca una struttura fondamentale della vita ecclesiale e della comunione fra le Chiese cristiane. Essa, infatti, costituisce una parte integrante dello sforzo comune compiuto dai cristiani delle diverse confessioni di comprendere il Vangelo e i presupposti e le forme in cui possa trovare espressione la desiderata unità visibile delle loro Chiese. A sua volta l’affondo storico proposto da G. Ruggieri, interrogandosi sulle costanti della prassi sinodale nella Chiesa lungo i secoli, ha suggerito l’esigenza di una considerazione sulla sinodalità a partire dalla struttura epicletica, dossologica e penitenziale della vita ecclesiale, onde evitare che il privilegio del momento dottrinale finisca per disattendere l’istanza pratica del camminare insieme. Sotto questo profilo, il teologo catanese ha insistito sul fatto che «la considerazione della celebrazione liturgica come dimensione portante dell’evento sinodale è l’unica che possa conservare a esso la sua logica originaria, che è quella stessa della liturgia, celebrazione della coniunctio tra il Cristo glorioso e la sua Chiesa, coniunctio operata dallo Spirito».
Sinodalità: processo ancora incompiuto
A ricordare quanto sia complessa l’attivazione di processi sinodali in grado di dare concretezza storica alla forma ecclesiale e di alimentarne la coscienza, hanno poi contribuito le riflessioni delteologo pastoralista A. Toniolo e di mons. A. Lanfranchi, focalizzando le dinamiche comunicative e decisionali nelle Chiese locali. Effettivamente, l’esercizio della sinodalità, a livello nazionale, diocesano e parrocchiale, si presenta piuttosto complesso e farraginoso, poiché entrano in gioco elementi propriamente ecclesiologici, non sempre chiari o conosciuti (il ruolo dei laici, la funzione del ministero ordinato, il carattere consultivo degli organismi), e di norma attivati secondo processi di comunicazione e partecipazione non sempre gestibili, anche perché omologati alle procedure di partecipazione delle strutture democratiche. Lo specifico del modello ecclesiale di partecipazione, quello sinodale, stenta poi a trovare la collocazione giusta tra la forma democratica moderna di gestione della responsabilità e la forma gerarchica, centrata sul ministero ordinato e determinata ancora dallo schema binario clero/laici. L’esercizio di sinodalità diventa non di rado frustrante e inutile, qualora non sia supportato da una Chiesa che diviene spazio di comunicazione e narrazione della fede, col risultato di creare una componente ecclesiale di super-esperti, da una parte, e una comunità che delega e non avverte la corresponsabilità, dall’altra. Alla luce di questa disamina, diviene perciò indispensabile attivare un discernimento comunitario sulle forme di esercizio della corresponsabilità ecclesiale e sui meccanismi di funzionamento degli organismi di partecipazione, secondo uno stile di comunicazione fraterna, che traduca la comunione e la comune convergenza su un progetto di Chiesa. Un discernimento che, come tale, invoca maturità umana, capacità di lettura dei segni dei tempi, affinità con le intenzioni della Chiesa, e ancora una vita interiore, una spiritualità, che renda sensibili ai suggerimenti dello Spirito Santo che è dentro di noi.
Oltre la retorica dei «luoghi comuni»
I lavori del congresso non potevano, ovviamente, giungere a una disamina esaustiva della questione in tutti i suoi molteplici aspetti. Basti qui richiamare due acquisizioni fondamentali. Per un verso, la nozione di sinodalità non risulta ancora sufficientemente determinata – come si evince dall’uso non univoco che ritorna nell’uso ecclesiasticocorrente, ove il termine appare talora non sufficientemente distinto da quelli di conciliarità, collegialità, partecipazione o pluralismo. Ciò invita pertanto a continuare la ricerca, sul piano teorico e sul piano del discernimento delle esperienze in atto, poiché, come ricorda Legrand, «la via sinodale è prima di tutto un affare d’apprendistato». Per altro verso, la teologia è chiamata a fare i conti con il diritto canonico, alla luce del fatto che tra l’ecclesiologia teoricamente professata e quella che è concretamente vissuta, la sola mediazione è di carattere istituzionale. La collaborazione con gli esperti di diritto canonico in tema di sinodalità deve divenire una priorità per l’ecclesiologia: l’acquisizione di ripensare la questione nel dinamismo coscienza-forma-processi suggerisce infatti di reiscriverla entro un quadro di relazioni istituzionalizzate. Altrimenti, qualora la trattazione sul nostro tema suggerisse esclusivamente un rinvio alla sfera dell’interiorità e del mistero, si finirebbe per legittimare nient’altro che un attivismo entusiasta o una declamazione retorica della cifra della sinodalità. Soltanto nel quadro di una saldatura fra principi ideali, obiettivi programmatici e strumenti operativi, sarà possibile alla coscienza credente. Propiziare quel «camminare insieme» fra credenti che, riconoscendosi reciprocamente, sanno di costituire insieme il soggetto collettivo della Chiesa, qualificandone realmente la vita e l’agire missionario.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 8
(http://www.ilregno.it)
Il congresso ATI su «Chiesa e sinodalità»
Alla luce di questi affondi teorici e storici, v’è merito pertanto di considerare l’apporto del congresso nazionale di Camposampiero confluito nella recente pubblicazione: ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA, Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme e processi, a cura di R. Battocchio e S. Noceti, Glossa, Milano 2007. L’ipotesi di lavoro che ha comandato l’impianto del volume è efficacemente racchiusa nel titolo e puntualmente ribattuta nel sottotitolo. Oggetto formale della riflessione è di contribuire a determinare sul piano teoretico la forma sinodale come dimensione essenziale e forma basilare della comunità ecclesiale, tenuto conto della suggestiva formula coniata da Giovanni Crisostomo, secondo cui «la Chiesa ha nome sinodo » («Ekklesía […] synodu estin onoma », Expl. In Psalm. 149,1). L’approccio al tema della sinodalità ruota quindileattorno a tre fulcri che intendono mettere in luce la profondità, la dimensione e i dinamismi di questa nota ecclesiale. Così, «coscienza» dice il riferimento all’autoconfigurazione stessa della Chiesa, quale Chiesa di Cristo; «forme» indica la pluralità delle declinazioni storiche; «processi» chiama in causa la logica progressiva del suo realizzarsi. Come è stato ricordato, le basi della sinodalità sono state rilanciate dall’ecclesiologia di comunione che si è affermata a partire dal Vaticano II, con la conseguente nascita di diverse strutture sinodali a vari livelli: sinodo dei vescovi, conferenze episcopali, consigli presbiterali e pastorali, sinodi diocesani. A fronte di questa fioritura di strutture collegiali, in verità, la teologia postconciliare non ha saputo forse caratterizzare una proposta ecclesiologica originale, come tale incentrata sulla dimensione della sinodalità; non di meno, sono numerosi i saggi di carattere analitico che hanno contribuito a mantenere viva una sensibilità diffusa per il tema.4 La tematica della sinodalità, nel suo succedersi triadico coscienza/forme/ processi, è stata istruita a Camposampiero intrecciando tre ulteriori profili tra loro correlati: a) sul piano teologico-fondamentale, occorre determinare la forma sinodale come nota originaria della coscienza credente e del farsi stesso della Chiesa; b) sul piano storico-teologico, si è puntato a rivisitare in chiave metodologica la tradizione ecclesiastica che come un fenomeno carsico ha conosciuto dall’epoca neotestamentaria fino al Vaticano II l’emergere e lo scomparire dell’istanza del «camminare insieme»; c) finalmente, sul piano teologico-pratico, si è inteso riconsiderare la dinamica dei processi in atto nella Chiesa universale e nelle Chiese locali, onde pervenire a una comprensione e valutazione della prassi sinodale, con le implicazioni che un tale processo può significare per il cammino verso la piena comunione tra le Chiese. Senza dimenticare poi d’incaricarsi di iscrivere le dinamiche ecclesiali all’interno della più generale sensibilità e dei processi comunicativi propri della società contemporanea, quale traspare dalla sempre maggiore richiesta di attivare nuovi spazi di rappresentanza e di partecipazione, per altro in una congiuntura epocale segnata dalla fatica d’indivibitabile
Sinodalità e coscienza di Chiesa
La scelta metodologica di iscrivere l’istanza ecclesiale della sinodalità in riferimento ai dinamismi socioculturali in atto è stata adottata da G. Angelini nel suo contributo, con la preoccupazione però di mettere a fuoco non tanto il rapporto fra procedure democratiche e dinamismi ecclesiali, quanto il nesso assai poco esplorato con le forme che assume la coscienza nelle forme di oggettivazione sociale. Il teologo milanese, onde reagire al difetto di molta letteratura teologica che produce sull’argomento della sinodalità trattazioni «assai formali e a rischio di nominalismo», ha inteso misurarsi con tre fenomeni emblematici, eppure generalmente disattesi. Anzitutto, la singolare assonanza che precipitosamente viene istituita fra la forma sinodale e la retorica del pluralismo civile dimentica che quest’ultimo fenomeno costituisce senz’altro un dato di fatto indud’indivibitabile dell’odierna convivenza sociale, ma non per questo deve condurre a un apprezzamento della sua figura sul piano valoriale. L’insistenza sulla tutela dei diritti soggettivi e il postulato dell’autonomia del singolo finiscono per occultare quella dimensione «conviviale» della ricerca della verità, che muove da un’alleanza che certo, nel rispetto delle differenze dei singoli individui, non può esonerare ad appellarsi a un comune orizzonte (religioso) del vivere, che costituisce una condizione irrinunciabile per la comunicazione interpersonale e per la stessa vita sociale. Quanto poi ai due modelli oggi prevalenti sul piano della coscienza credente del nostro tempo – rispettivamente, la religione invisibile e la religione fanatica – essi, pur muovendo da istanze opposte, finiscono per accreditare una medesima tesi di carattere generale: quella d’intendere senz’altro la molteplicità delle forme religiose come espressione della molteplicità dei carismi, col risultato d’innescare un processo d’immunizzazione della coscienza credente nei confronti della realtà troppo complessa. Collegando la nozione di sinodalità con quella di koinonia nell’epistolario paolino, il biblista G. Barbaglio (scomparso prematuramente nel 2007) si è prefisso di scoprire il legame che intercorre fra la libera adesione a Cristo nella fede del singolo (In-Sein) e la delineazione di un soggetto comunitario e fraterno (Mit-Sein). In questo quadro, l’apostolo Paolo illustra un modello ecclesiologico che dall’In-Sein cristico di timbro mistico approda al Mit-Sein di marca sociale ed ecclesiale: dato che ogni battezzato, per grazia, è ugualmente partecipe dell’evento salvifico di Cristo, ne deriva che tutti i credenti danno forma a una societas solidale inserita nello spazio vitale di Cristo risorto.
Forme sinodal i lungo la storia
Che non si possa automaticamente inferire dall’evidenza della coscienza sinodale la nascita di processi coerenti sul piano del vissuto ecclesiale, ma che sia invece indispensabile soffermarsi sulla forma ecclesiale come mezzo fra il piano teorico e quello della prassi concreta, hanno provveduto a illustrarlo le due relazioni di H. Legrand e G. Gassmann. Così, l’ecclesiologo domenicano, per parte sua, ha insistito sul fatto che una ricognizione sul tema della sinodalità nelVaticano II deve anzitutto prendere atto dell’assenza del termine nei testi conciliari, come pure del fatto che il massimo sforzo nell’assise è stato dedicato all’esigenza di operare un raccordo articolato fra ministero petrino e collegialità episcopale. Eppure, una corretta ermeneutica conciliare, nell’atto in cui si fa carico sul piano metodologico di storicizzare la questione in esame, riconoscendo nei lavori conciliari un approccio più contingente che sistematico, non può esonerarsi da un’opera di teologizzazione della sinodalità, riconoscendo che essa è un traguardo cui si approda non solo sul piano riflessivo, ma alla luce di un lungo apprendistato che chiama in causa la Chiesa universale, il rapporto con le Chiese locali e il dialogo ecumenico. Proprio su quest’ultimo fronte, il pastore luterano, figura di primo piano del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), ripercorrendo i documenti del cammino ecumenico dal 1961 a oggi, ha segnalato come la forma sinodale costituisca una struttura fondamentale della vita ecclesiale e della comunione fra le Chiese cristiane. Essa, infatti, costituisce una parte integrante dello sforzo comune compiuto dai cristiani delle diverse confessioni di comprendere il Vangelo e i presupposti e le forme in cui possa trovare espressione la desiderata unità visibile delle loro Chiese. A sua volta l’affondo storico proposto da G. Ruggieri, interrogandosi sulle costanti della prassi sinodale nella Chiesa lungo i secoli, ha suggerito l’esigenza di una considerazione sulla sinodalità a partire dalla struttura epicletica, dossologica e penitenziale della vita ecclesiale, onde evitare che il privilegio del momento dottrinale finisca per disattendere l’istanza pratica del camminare insieme. Sotto questo profilo, il teologo catanese ha insistito sul fatto che «la considerazione della celebrazione liturgica come dimensione portante dell’evento sinodale è l’unica che possa conservare a esso la sua logica originaria, che è quella stessa della liturgia, celebrazione della coniunctio tra il Cristo glorioso e la sua Chiesa, coniunctio operata dallo Spirito».
Sinodalità: processo ancora incompiuto
A ricordare quanto sia complessa l’attivazione di processi sinodali in grado di dare concretezza storica alla forma ecclesiale e di alimentarne la coscienza, hanno poi contribuito le riflessioni delteologo pastoralista A. Toniolo e di mons. A. Lanfranchi, focalizzando le dinamiche comunicative e decisionali nelle Chiese locali. Effettivamente, l’esercizio della sinodalità, a livello nazionale, diocesano e parrocchiale, si presenta piuttosto complesso e farraginoso, poiché entrano in gioco elementi propriamente ecclesiologici, non sempre chiari o conosciuti (il ruolo dei laici, la funzione del ministero ordinato, il carattere consultivo degli organismi), e di norma attivati secondo processi di comunicazione e partecipazione non sempre gestibili, anche perché omologati alle procedure di partecipazione delle strutture democratiche. Lo specifico del modello ecclesiale di partecipazione, quello sinodale, stenta poi a trovare la collocazione giusta tra la forma democratica moderna di gestione della responsabilità e la forma gerarchica, centrata sul ministero ordinato e determinata ancora dallo schema binario clero/laici. L’esercizio di sinodalità diventa non di rado frustrante e inutile, qualora non sia supportato da una Chiesa che diviene spazio di comunicazione e narrazione della fede, col risultato di creare una componente ecclesiale di super-esperti, da una parte, e una comunità che delega e non avverte la corresponsabilità, dall’altra. Alla luce di questa disamina, diviene perciò indispensabile attivare un discernimento comunitario sulle forme di esercizio della corresponsabilità ecclesiale e sui meccanismi di funzionamento degli organismi di partecipazione, secondo uno stile di comunicazione fraterna, che traduca la comunione e la comune convergenza su un progetto di Chiesa. Un discernimento che, come tale, invoca maturità umana, capacità di lettura dei segni dei tempi, affinità con le intenzioni della Chiesa, e ancora una vita interiore, una spiritualità, che renda sensibili ai suggerimenti dello Spirito Santo che è dentro di noi.
Oltre la retorica dei «luoghi comuni»
I lavori del congresso non potevano, ovviamente, giungere a una disamina esaustiva della questione in tutti i suoi molteplici aspetti. Basti qui richiamare due acquisizioni fondamentali. Per un verso, la nozione di sinodalità non risulta ancora sufficientemente determinata – come si evince dall’uso non univoco che ritorna nell’uso ecclesiasticocorrente, ove il termine appare talora non sufficientemente distinto da quelli di conciliarità, collegialità, partecipazione o pluralismo. Ciò invita pertanto a continuare la ricerca, sul piano teorico e sul piano del discernimento delle esperienze in atto, poiché, come ricorda Legrand, «la via sinodale è prima di tutto un affare d’apprendistato». Per altro verso, la teologia è chiamata a fare i conti con il diritto canonico, alla luce del fatto che tra l’ecclesiologia teoricamente professata e quella che è concretamente vissuta, la sola mediazione è di carattere istituzionale. La collaborazione con gli esperti di diritto canonico in tema di sinodalità deve divenire una priorità per l’ecclesiologia: l’acquisizione di ripensare la questione nel dinamismo coscienza-forma-processi suggerisce infatti di reiscriverla entro un quadro di relazioni istituzionalizzate. Altrimenti, qualora la trattazione sul nostro tema suggerisse esclusivamente un rinvio alla sfera dell’interiorità e del mistero, si finirebbe per legittimare nient’altro che un attivismo entusiasta o una declamazione retorica della cifra della sinodalità. Soltanto nel quadro di una saldatura fra principi ideali, obiettivi programmatici e strumenti operativi, sarà possibile alla coscienza credente. Propiziare quel «camminare insieme» fra credenti che, riconoscendosi reciprocamente, sanno di costituire insieme il soggetto collettivo della Chiesa, qualificandone realmente la vita e l’agire missionario.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 8
(http://www.ilregno.it)
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