Religione, libertà e democrazia
(Sagittari Laterza)EAN 9788842057710
In ristampa lunga
CHI HA ACQUISTATO QUESTO PRODOTTO HA SCELTO ANCHE
DETTAGLI DI «Religione, libertà e democrazia»
Tipo
Libro
Titolo
Religione, libertà e democrazia
Autore
Khatami Mohammad
Editore
Laterza
EAN
9788842057710
Pagine
208
Data
1999
Collana
Sagittari Laterza
COMMENTI DEI LETTORI A «Religione, libertà e democrazia»
Non ci sono commenti per questo volume.
Lascia un tuo commento sui libri e gli altri prodotti in vendita e guadagna!
Recensioni di riviste specialistiche su «Religione, libertà e democrazia»
Recensione di Carlo Saccone della rivista Studia Patavina
Il volume qui presentato è opera di un autorevole esponente della teocrazia iraniana, Muhammad Khatami, attuale presidente della repubblica islamica d’Iran ed esponente dell’ala “liberal” delle alte sfere religiose sciite. Il suo progetto è riassumibile in uno slogan che ha fatto continua a fare discutere: coniugare islam e democrazia. Con questa parola d’ordine è salito al potere nel 1997 ed è stato più tardi rieletto per un secondo mandato che sta ancora, al momento in cui scriviamo (2004), svolgendo. Con questo ardito programma ha saputo inizialmente portare dalla sua parte oltre il 70 % dell’elettorato iraniano, praticamente la stragrande maggioranza degli elettori sotto i 30 anni e delle donne, la classe intellettuale al gran completo e la parte del clero che non si riconosce fino in fondo nelle interpretazioni dell’Islam fornite dalla Guida suprema (ieri l’ayatollah Khomeyni, protagonista della rivoluzione del 1979, oggi il suo successore l’ayatollah Khamenei).
Eppure, com’è noto, questo patrimonio di consensi si è andato lentamente sfarinando nel corso degli anni e si è letteralmente liquefatto in occasione delle ultime elezioni politiche che, grazie anche a una astensione generale dell’elettorato più progressista, hanno segnato il ritorno della maggioranza parlamentare all’ala conservatrice del clero.
Ecco, la riflessione su questo libro dovrebbe partire dalla domanda: non si tratta di un discorso, quello di Khatami, ormai datato per non dire addirittura obsoleto?
Khatami è un raffinato intellettuale, musulmano senza incertezze naturalmente ma, insieme, personaggio di non comune cultura scientifica e umanistica –si sente che ha letto e digerito molta sociologia moderna, i classici della politica da Platone a Marx ecc.- capace di rara dialettica e abilità argomentativa. Soprattutto è un intellettuale che, nella migliore tradizione del riformismo musulmano, “guarda” ad Occidente senza pregiudizi. Egli giunge ad affermare quello che molti religiosi dell’ala conservatrice, oggi più che mai salda al potere, considererebbero poco meno di una eresia: l’Islam deve essere alla base della Costituzione dell’Iran solo finché la maggioranza della popolazione lo voglia davvero; in altre parole - egli arditamente dichiara più volte - lo status di “repubblica islamica” non è un dato irreversibile e indiscutibile, la volontà popolare può modificarlo e, in linea teorica, ha tutto il diritto di farlo. Per tradurre in pratica questi principi che, come si può facilmente intendere, mettono in questione i fondamenti stessi dello “status quo”, Khatami in questi anni –almeno fino a quando ha goduto della maggioranza parlamentare- ha tentato in ogni modo di portare avanti un disegno riformatore che aveva di mira in sostanza l’auto-ridimensionamento del clero sciita, ovvero della classe al potere. Ha trovato spesso uno scoglio invalicabile in un organo costituzionale, Il Consiglio dei Guardiani, in gran parte nominati dalla Guida suprema e dunque fuori dal controllo democratico, un organo che ha il potere di bloccare qualsiasi legge parlamentare ritenuta non conforme allo spirito islamico della Costituzione. Quest’organo, spalleggiato dalla stampa più conservatrice, ha avuto modo persino di bloccare centinaia di candidati progressisti alle ultime elezioni e di “approvare” la censura o la chiusura dei giornali più vicini a Khatami.
Col tempo, il vasto blocco sociale che aveva portato Khatami al potere ha cominciato ad avere sempre più dubbi non solo sul suo effettivo “potere” –viste le sconfitte patite da ogni disegno riformatore; questo blocco ha cominciato in realtà a dubitare della stessa sincerità di Khatami, la cui posizione ha finito per essere bersagliata dal “fuoco congiunto” degli opposti contendenti: i conservatori e i contestatori del regime. Quest’ultimo, con straordinaria abilità tattica, non ha mai attaccato frontalmente Khatami: un presidente “aperto” e “liberale”, ma senza poteri troppo incisivi, evidentemente gli ha fatto (e gli fa) comodo per dare una verniciata di libertà e modernità a un regime autoritario nella sostanza. Questa tattica ha progressivamente eroso la credibilità di un Khatami alfiere di un “nuovo-stato-islamico- libero-e-democratico”. Il personaggio indubbiamente presenta margini di ambiguità: ai suoi sostenitori che lo invitavano a resistere a muso duro alle pretese dei conservatori e a dimettersi se necessario dalla carica di presidente, egli ha sempre replicato affermando la sua preferenza per la politica dei piccoli passi, del compromesso giorno per giorno. Ecco questa politica è entrata in crisi definitivamente dopo le ultime elezioni: Khatami è ormai solo al “potere”, è un presidente che ha ormai tutti contro: non solo i conservatori, ma anche i suoi sfiduciati ex-sostenitori. Sintomatica la risposta che egli avrebbe dato ad un oppositore che gli chiedeva che cosa ci stava a fare ancora, dopo la recente sconfitta elettorale, alla presidenza della Repubblica Islamica: “Se non resto qui, chi ti tira fuori dalla prigione quando ti arresteranno?”
Dunque, tornando alla domanda iniziale, un libro datato e obsoleto? Non direi. È intanto un prezioso documento dell’emergere di una corrente liberal-democratica e sensibile ai valori occidentali da dove meno ci si sarebbe aspettato: dall’interno dell’alta gerarchia sciita. È pure documento di una opzione che sembra al momento perdente, ma –ecco l’aspetto fondamentale- c’è ed è ancora viva e rappresentata ai massimi livelli: “stato islamico”, sembra voler dirci Khatami, non è solo quello predicato da estremisti e integralisti di ogni risma, verso i quali traspare da ogni riga del libro un sovrano disprezzo. Ecco, Khatami crede profondamente nella bontà del “progetto teocratico”, nell’attuabilità di una “repubblica islamica”; ma non accetta che questo significhi incompatibilità con libertà politiche, diritti delle donne e delle minoranze, libertà di stampa e di espressione. Islam e democrazia, islam e libertà devono trovare il modo di incontrarsi, oppure –la conseguenza è non solo sottintesa o implicita - i religiosi saranno presto o tardi, con le buone o le cattive, messi da parte.
Khatami insomma emerge spesso nel ruolo di “coscienza critica” di una classe dirigente tuttora sorda alle richieste di modernizzazione e democratizzazione che salgono da ogni strato sociale dell’Iran attuale. Ferma è la sua denuncia della tradizione vista dal regime non come elemento di flessibile orientamento e guida, di ancoramento alle radici delle necessarie innovazioni e riforme, bensì come cappa che soffoca ogni movimento e anelito di rinnovamento.
Qui si situa un altro momento critico del progetto di Khatami: la libertà come è concepita in Occidente non può essere ripresa tale e quale e trasposta nel mondo islamico. Le libertà politiche e di espressione sono da accettare in blocco. Ma la libertà non a riduce a questo. La libertà, dice Khatami, secondo la tradizione islamica è un concetto di natura anzitutto spirituale: essa è un tratto specifico dell’essere umano, è il segno distintivo della sua nobiltà e dignità. Ora, egli argomenta – e ci sembra che i suoi “colleghi” cristiani ed ebrei non potrebbero non essere d’accordo, - barattare per “libertà” la libera mercificazione del corpo e della immagine della donna, la licenza di fare spudoratamente profitti sulle debolezze dei paesi arretrati, come fa da secoli incoscientemente l’Occidente, è una colossale mistificazione. All’intellettuale musulmano del 2000, egli afferma con decisione, spetta evidentemente il dovere di contribuire a definire - anche a beneficio dell’Occidente “alienato” e sviato da troppi cattivi maestri- un concetto diverso e più nobile di libertà, su cui costruire un futuro diverso non solo per i musulmani.
Riprendendo un passo coranico che è stato sempre volentieri citato da ogni musulmano sinceramente riformista e progressista, secondo cui “nell’islam non v’è (=non può esservi) costrizione”, Khatami porta avanti testardamente e ostinatamente in tutti i saggi raccolti in questo libro il suo progetto di “democrazia islamica”. Progetto forse affetto da debolezze intrinseche, di carattere teorico, oltre che storico. Questo progetto, come si potrebbe facilmente obiettare, ha ottime probabilità di rimanere relegato nella sfera delle utopie politico-religiose. E certo l’utopia è un tratto distintivo di ogni rivolgimento profondo. Comunque sia, oggi questo discorso ha il valore di una testimonianza coraggiosa, domani chissà...
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Eppure, com’è noto, questo patrimonio di consensi si è andato lentamente sfarinando nel corso degli anni e si è letteralmente liquefatto in occasione delle ultime elezioni politiche che, grazie anche a una astensione generale dell’elettorato più progressista, hanno segnato il ritorno della maggioranza parlamentare all’ala conservatrice del clero.
Ecco, la riflessione su questo libro dovrebbe partire dalla domanda: non si tratta di un discorso, quello di Khatami, ormai datato per non dire addirittura obsoleto?
Khatami è un raffinato intellettuale, musulmano senza incertezze naturalmente ma, insieme, personaggio di non comune cultura scientifica e umanistica –si sente che ha letto e digerito molta sociologia moderna, i classici della politica da Platone a Marx ecc.- capace di rara dialettica e abilità argomentativa. Soprattutto è un intellettuale che, nella migliore tradizione del riformismo musulmano, “guarda” ad Occidente senza pregiudizi. Egli giunge ad affermare quello che molti religiosi dell’ala conservatrice, oggi più che mai salda al potere, considererebbero poco meno di una eresia: l’Islam deve essere alla base della Costituzione dell’Iran solo finché la maggioranza della popolazione lo voglia davvero; in altre parole - egli arditamente dichiara più volte - lo status di “repubblica islamica” non è un dato irreversibile e indiscutibile, la volontà popolare può modificarlo e, in linea teorica, ha tutto il diritto di farlo. Per tradurre in pratica questi principi che, come si può facilmente intendere, mettono in questione i fondamenti stessi dello “status quo”, Khatami in questi anni –almeno fino a quando ha goduto della maggioranza parlamentare- ha tentato in ogni modo di portare avanti un disegno riformatore che aveva di mira in sostanza l’auto-ridimensionamento del clero sciita, ovvero della classe al potere. Ha trovato spesso uno scoglio invalicabile in un organo costituzionale, Il Consiglio dei Guardiani, in gran parte nominati dalla Guida suprema e dunque fuori dal controllo democratico, un organo che ha il potere di bloccare qualsiasi legge parlamentare ritenuta non conforme allo spirito islamico della Costituzione. Quest’organo, spalleggiato dalla stampa più conservatrice, ha avuto modo persino di bloccare centinaia di candidati progressisti alle ultime elezioni e di “approvare” la censura o la chiusura dei giornali più vicini a Khatami.
Col tempo, il vasto blocco sociale che aveva portato Khatami al potere ha cominciato ad avere sempre più dubbi non solo sul suo effettivo “potere” –viste le sconfitte patite da ogni disegno riformatore; questo blocco ha cominciato in realtà a dubitare della stessa sincerità di Khatami, la cui posizione ha finito per essere bersagliata dal “fuoco congiunto” degli opposti contendenti: i conservatori e i contestatori del regime. Quest’ultimo, con straordinaria abilità tattica, non ha mai attaccato frontalmente Khatami: un presidente “aperto” e “liberale”, ma senza poteri troppo incisivi, evidentemente gli ha fatto (e gli fa) comodo per dare una verniciata di libertà e modernità a un regime autoritario nella sostanza. Questa tattica ha progressivamente eroso la credibilità di un Khatami alfiere di un “nuovo-stato-islamico- libero-e-democratico”. Il personaggio indubbiamente presenta margini di ambiguità: ai suoi sostenitori che lo invitavano a resistere a muso duro alle pretese dei conservatori e a dimettersi se necessario dalla carica di presidente, egli ha sempre replicato affermando la sua preferenza per la politica dei piccoli passi, del compromesso giorno per giorno. Ecco questa politica è entrata in crisi definitivamente dopo le ultime elezioni: Khatami è ormai solo al “potere”, è un presidente che ha ormai tutti contro: non solo i conservatori, ma anche i suoi sfiduciati ex-sostenitori. Sintomatica la risposta che egli avrebbe dato ad un oppositore che gli chiedeva che cosa ci stava a fare ancora, dopo la recente sconfitta elettorale, alla presidenza della Repubblica Islamica: “Se non resto qui, chi ti tira fuori dalla prigione quando ti arresteranno?”
Dunque, tornando alla domanda iniziale, un libro datato e obsoleto? Non direi. È intanto un prezioso documento dell’emergere di una corrente liberal-democratica e sensibile ai valori occidentali da dove meno ci si sarebbe aspettato: dall’interno dell’alta gerarchia sciita. È pure documento di una opzione che sembra al momento perdente, ma –ecco l’aspetto fondamentale- c’è ed è ancora viva e rappresentata ai massimi livelli: “stato islamico”, sembra voler dirci Khatami, non è solo quello predicato da estremisti e integralisti di ogni risma, verso i quali traspare da ogni riga del libro un sovrano disprezzo. Ecco, Khatami crede profondamente nella bontà del “progetto teocratico”, nell’attuabilità di una “repubblica islamica”; ma non accetta che questo significhi incompatibilità con libertà politiche, diritti delle donne e delle minoranze, libertà di stampa e di espressione. Islam e democrazia, islam e libertà devono trovare il modo di incontrarsi, oppure –la conseguenza è non solo sottintesa o implicita - i religiosi saranno presto o tardi, con le buone o le cattive, messi da parte.
Khatami insomma emerge spesso nel ruolo di “coscienza critica” di una classe dirigente tuttora sorda alle richieste di modernizzazione e democratizzazione che salgono da ogni strato sociale dell’Iran attuale. Ferma è la sua denuncia della tradizione vista dal regime non come elemento di flessibile orientamento e guida, di ancoramento alle radici delle necessarie innovazioni e riforme, bensì come cappa che soffoca ogni movimento e anelito di rinnovamento.
Qui si situa un altro momento critico del progetto di Khatami: la libertà come è concepita in Occidente non può essere ripresa tale e quale e trasposta nel mondo islamico. Le libertà politiche e di espressione sono da accettare in blocco. Ma la libertà non a riduce a questo. La libertà, dice Khatami, secondo la tradizione islamica è un concetto di natura anzitutto spirituale: essa è un tratto specifico dell’essere umano, è il segno distintivo della sua nobiltà e dignità. Ora, egli argomenta – e ci sembra che i suoi “colleghi” cristiani ed ebrei non potrebbero non essere d’accordo, - barattare per “libertà” la libera mercificazione del corpo e della immagine della donna, la licenza di fare spudoratamente profitti sulle debolezze dei paesi arretrati, come fa da secoli incoscientemente l’Occidente, è una colossale mistificazione. All’intellettuale musulmano del 2000, egli afferma con decisione, spetta evidentemente il dovere di contribuire a definire - anche a beneficio dell’Occidente “alienato” e sviato da troppi cattivi maestri- un concetto diverso e più nobile di libertà, su cui costruire un futuro diverso non solo per i musulmani.
Riprendendo un passo coranico che è stato sempre volentieri citato da ogni musulmano sinceramente riformista e progressista, secondo cui “nell’islam non v’è (=non può esservi) costrizione”, Khatami porta avanti testardamente e ostinatamente in tutti i saggi raccolti in questo libro il suo progetto di “democrazia islamica”. Progetto forse affetto da debolezze intrinseche, di carattere teorico, oltre che storico. Questo progetto, come si potrebbe facilmente obiettare, ha ottime probabilità di rimanere relegato nella sfera delle utopie politico-religiose. E certo l’utopia è un tratto distintivo di ogni rivolgimento profondo. Comunque sia, oggi questo discorso ha il valore di una testimonianza coraggiosa, domani chissà...
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
LIBRI AFFINI A «Religione, libertà e democrazia»
-
34,00 €→ 32,30 € -
85,00 €→ 80,75 € -
-
-
20,00 €→ 19,00 € -
48,00 €→ 45,60 € -
ALTRI SUGGERIMENTI
LIBRI AFFINI DISPONIBILI USATI
REPARTI IN CUI È CONTENUTO «Religione, libertà e democrazia»