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Il Concilio Vaticano II
-Preistoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare (BTC 131)
(Biblioteca di teologia contemporanea)EAN 9788839904317
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DETTAGLI DI «Il Concilio Vaticano II»
Tipo
Libro
Titolo
Il Concilio Vaticano II - Preistoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare (BTC 131)
Autore
Pesch Otto H.
Traduttore
Renner P.
Editore
Queriniana Edizioni
EAN
9788839904317
Pagine
456
Data
gennaio 2005
Peso
600 grammi
Altezza
23 cm
Larghezza
16 cm
Collana
Biblioteca di teologia contemporanea
COMMENTI DEI LETTORI A «Il Concilio Vaticano II»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Il Concilio Vaticano II»
Recensione di Ermanno Roberto Tura della rivista Studia Patavina
Nelle pagine conclusive del bel volume (le pp. 414 - 418 riportano la postfazione alla quarta edizione tedesca del 1996) l’autore esprime la propria gioiosa sorpresa per l'interesse che il suo «racconto del concilio» Vaticano II ha suscitato nell’ambiente tedesco. Due fasce di lettori sembrano aver particolarmente apprezzato la sua fatica: le generazioni più anziane che volevano «ricordare» e i giovani non ancora nati al tempo del concilio ma desiderosi di sapere come le vicende conciliari si sono svolte.
Chi scrive queste righe trans Alpes, recensendo la edizione italiana, appartiene alla prima fascia, avendo vissuto il soggiorno romano di studio teologico come giovane prete nei primi anni ’60, in coincidenza con lo svolgersi dell'evento conciliare. Senza difficoltà condivide l’eco accentuatamente positiva che la lettura dell'impegnativo volume di Pesch ha provocato in ambito tedesco: le memorie del recensore italiano possono confermare, se ce ne fosse bisogno, quanto l’a. scrive nelle oltre quattrocento pagine. I miei ricordi personali ancora limpidi da quelle pagine vengono risvegliati, le speranze allora vivaci vengono riaccese, ritorna la gioia riconoscente di vivere tuttora la fede cristiana in una Chiesa cattolica, grazie a Dio, protagonista di quello «aggiornamento» storico, che in ogni caso non va messo tra parentesi quasi fosse un incidente di percorso nella millenaria storia cristiana. Nonostante la tardiva traduzione italiana (il testo è nato da lezioni tenute all'Università di Amburgo nella primavera 1985 e riformulate nell'inverno 1990/91 per essere editate in tedesco in prima battuta nel 1992), un grazie cordiale va detto all'editrice Queriniana, oltre che all’autore e anche al bravo traduttore altoatesino Paul Renner che sa rendere in un vivace italiano le battute e i detti idiomatici della lingua tedesca, nonché i «curiosi» titoli dei capitoli riecheggianti spesso battute significative di protagonisti al concilio.
Lo scopo del volume corre esplicitamente sul filo di una simpatica apologetica del concilio, valorizzato nella linea interpretativa della maggioranza dei padri conciliari: lo stile narrativo risulta sincero e talora pungente già nelle pagine introduttive, dove O.H. Pesch afferma: «Si deve in primo luogo aver cura che il concilio venga ricordato, non solo nella teologia specialistica ma anche nel ‘senso della fede dei credenti’. Alla soglia del terzo millennio si deve avere dinanzi agli occhi dove già la chiesa si trovava alla metà del XX secolo e da dove si è messa in cammino verso nuovi tempi e spazi con speranze di cui oggi è rimasto solo un pallido riflesso... Il mio interesse principale non consiste in alcune sottigliezze, bensì nel tentativo di tener desti certi ricordi ancor vivi, anche se ciò qui e là potrà comportare una visione d’insieme quasi intagliata nel legno, piuttosto che un fine lavoro di cesello nel rame» (pp. 6-7). Pur in profonda sintonia con le posizioni teologiche della maggioranza conciliare, O.H. Pesch sa avvalorare l'apporto della minoranza nei lunghi travagli di gestazione dei testi conciliari: sa anche rendere l'onore delle armi con simpatia per protagonisti conservatori come il cardinale Alfredo Ottaviani (cf. pp. 140-143).
Il sottotitolo del volume scandisce i progressivi passaggi storici a cui il docente di Amburgo si mantiene fedele in undici capitoli, aggiungendo alla fine di ogni passaggio suggerimenti per la lettura che si rivelano preziosi per l’approfondimento ragionato e per una documentazione opportuna. Un «sogno» infine conclude il lavoro (cf. pp. 411- 412). Nelle righe seguenti vogliamo ripercorrerne rapidamente il tracciato.
Il racconto comincia con la preistoria del concilio. Le radici vanno individuate in «un’intuizione sbocciata come un fiore» durante un colloquio di papa Giovanni XXIII con il segretario di Stato card. Domenico Tardini nel gennaio 1959: i due interlocutori parlarono della situazione della Chiesa universale, concludendo (almeno da parte del papa) che la chiesa doveva smetterla di chiudersi a riccio e aprirsi invece ai problemi del mondo moderno. Sboccia l’idea di un concilio ecumenico e per O.H. Pesch s’impone subito la necessità di descrivere cos’è un concilio, quale senso e autorità ha nella vita della Chiesa, e magari precisare la fisionomia di questo concilio che, per sé, si collegava spontaneamente al Vaticano I rimasto incompiuto. Ma papa Giovanni XXIII un concilio prevalentemente dottrinale e difensivo non lo avrebbe mai convocato.
La preparazione del concilio avvenne «con uno slancio che viene dal cuore» del papa contro ogni resistenza non solo della curia romana, bensì di quanti si rendevano conto delle prevedibili pesanti difficoltà che una simile assemblea episcopale avrebbe comportato. Ma l’annuncio del papa quel 25 gennaio 1959 scatenò nel popolo di Dio e in parecchi vescovi una marea di attese di riforma, in sintonia con il papa che affermava: «Ci aspettiamo dal concilio che faccia entrare aria fresca»: un rinnovamento della fede e della vita comunitaria della Chiesa che va sotto il termine giovanneo di aggiornamento. La Commissione antepreparatoria del maggio 1959 progetta il primo abbozzo di lavori e ne lancia la prosecuzione nel giugno del 1960 a dieci Commissioni. Il papa nomina presidenti i responsabili dei rispettivi organismi della curia romana: 827 persone, in stragrande maggioranza europei, si impegnano direttamente nella preparazione del concilio. Il papa era presumibilmente convinto che bastasse una sola sessione, dati gli schemi preparati in precedenza: deve essere stato un momento tragico per papa Giovanni quando avvertì con chiarezza che lui non avrebbe visto la fine del concilio dopo la bocciatura di quasi tutti gli schemata da parte della stragrande maggioranza dei padri del concilio inaugurato l’11 ottobre 1962. Ma il suo discorso inaugurale mostrava ancora una volta il paradosso di un papa anziano eppure pieno di fiducia nello Spirito Santo, invitante a preferire la medicina della misericordia al posto della severità.
Il faticoso avvio di un’assemblea così numerosa ed eterogenea si sintetizza nella battuta di un vescovo americano che funge da titolo al terzo capitolo: «Siamo un concilio e non scolaretti». Pesch enumera i primissimi problemi che subito si posero: pro e contro il latino, i rapporti con la stampa, gli osservatori delle altre confessioni cristiane, l’ordine del giorno dei lavori; ma anche il progressivo emergere di vescovi-leader capaci di affiancare il papa nell’impegnativo cammino assembleare.
Dal quarto capitolo, sempre con stile narrativo talora leggermente scanzonato, l’a. affronta il lavoro fruttuoso del concilio segnalando per prima l’opera di riforma più visibile e duratura del concilio: la riforma liturgica fisionomizzata da alcune caratteristiche da cui non si ritornerà più indietro: la madrelingua nella liturgia, la coscienza che la comunità è soggetto attivo, la nuova comprensione del prete che presiede la preghiera, la nuova coerenza della liturgia. Il frutto finale della costituzione non permette di dimenticare il cammino del movimento liturgico, la genesi e i punti focali del documento che lo rendono in fondo «un dono inatteso» (p. 121).
La concezione della chiesa viene affrontata al quinto passaggio del volume, con un richiamo iniziale alle varie immagini di chiesa lungo i secoli prima di descrivere la lotta per la concezione della chiesa nel concilio. Il travaglio parte dallo schema del 1962 (bersaglio acutamente centrato da padri occidentali europei dell’ovest e dell’est e mediorientali particolarmente preparati) al secondo schema e alla versione definitiva: i punti focali sono intuibili nella chiesa sacramento, chiesa popolo di Dio e sacerdozio dei fedeli, chiesa come communio, i laici, il rapporto con la Vergine Maria. Due intermezzi impreziosiscono il capitolo quinto: l’excursus sulle regole per interpretare il Vaticano II (pp. 145-157) e la critica da parte evangelica (pp. 200-208). Segue, come capitolo un po’ più pacato, il sesto sull’unità ecumenica della chiesa: le venti pagine con andamento a zig-zag narrano la genesi del decreto sull’ecumenismo, tornano sulla costituzione De Ecclesia individuando la novità del subsistit in Ecclesia catholica, e riprendono il decreto sulla «gerarchia delle verità».
La verve ritorna nel titolo del settimo passaggio: per esplicitare una breve ma puntuale esegesi dei testi del concilio su ministero e gerarchia (la costituzione sulla chiesa al cap. 3 e il decreto sull’attività pastorale dei vescovi). Pesch assume come titolo l’esclamazione di un vescovo durante il dibattito: «Liberateci da questi bottoni e fasce che nessuno vuole!». Erano in realtà le divise dei funzionari imperiali alla corte della Roma d’Oriente. La tematica della collegialità si rivela uno snodo tra i più dibattuti, come il rapporto tra ordine e giurisdizione e il forte collegamento fra i tria munera pastorali, per recuperare in pieno la figura del ministero ecclesiale nel senso della tradizione antica e per valorizzare le chiese particolari (e non universali, come erroneamente a p. 265, undicesima riga). Il ministero disegnato dal concilio appare «impossibile» nella realtà quotidiana di una comunità viva e dunque degno di alta considerazione. Titoli e verve a parte, anche l’ottavo passaggio affronta uno snodo centrale per il concilio: Scrittura, tradizione, magistero e teologia in che rapporto stanno nella vita della chiesa? L’accesa discussione sulle otto stesure della Dei Verbum dice uno dei punti di cristallizzazione intorno ai quali si decise la sorte del concilio. Pesch narra la preistoria della costituzione nel preludio del movimento biblico e in due aspetti conflittuali: l’interpretazione storico-critica della Bibbia e il concetto di ‘tradizione’, a cui tuttavia non si riducevano i punti dolenti della disputa. In tre pagine stringate l’a. sintetizza le principali asserzioni del documento conciliare segnalando le ardue forme di compromesso, in cui alla fine il magistero viene difeso, la teologia dovrà difendersi argomentando, mentre viene tenuta aperta la questione del rapporto tra Scrittura e tradizione.
Il «Perfidi Judaei», risalente al Venerdì santo prima del concilio, non poteva non introdurre il capitolo su La chiesa, Israele e le religioni. La preistoria della dichiarazione sulle religioni non cristiane inizia nell’incontro tra papa Giovanni e lo storico ebreo Jules Isaac nel settembre 1960: l’incontro fa da sfondo alla sofferta storia di una dichiarazione conciliare anche per le interferenze politiche con gli stati arabi, sfociata alla fine in una positiva presa di posizione su tutte le religioni non cristiane, favorita anche dal viaggio di papa Paolo VI a Bombay con cauto riconoscimento dell’esperienza di Dio nelle religioni buddista e induista. In realtà la dichiarazione conciliare verrà presto superata nel dopo-concilio dai viaggi papali e dall’incontro di Assisi dell’ottobre 1986.
«L’arca di Noè» è un titolo indovinato per parlare della costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo. In quel documento, che diverrà la Gaudium et spes, provvisoriamente erano sistemati tutti quei temi che non avevano trovato posto altrove, in ordine a riforme e posizioni ecclesiali in grado di proporre una significativa testimonianza di fronte al mondo. Il testo in realtà inizia il suo profilo in dibattiti già prima del concilio, ma i nodi problematici arrivarono al pettine e furono progressivamente sciolti solo verso la fine del concilio, spesso con un coraggioso e indefesso lavoro notturno di padri conciliari e di teologici esperti specie di area francofona. Lo schema infine approvato fu il sesto della serie proposta. Alcuni punti focali, oltre alla inedita fisionomia di una costituzione pastorale, furono l’ateismo, il matrimonio e la famiglia, la guerra e la pace, su cui si poté verificare l’apertura della chiesa cattolica al mondo contemporaneo di un documento promotore di un nuovo stile.
Il capitolo conclusivo del volume sul significato permanente del concilio Vaticano II («La terza epoca della storia della chiesa») merita particolare attenzione ed è stato ripreso (parzialmente nelle pp. 384-412) come studio sintetico nel 40° del concilio da riviste come Il Regno-attualità 50 (20/2005) pp. 704-715. Pesch vi enumera anzitutto alcuni risultati positivi del concilio che egli considera in ogni caso permanenti: la riforma liturgica, la chiesa come popolo di Dio, l’apertura della chiesa al mondo e in particolare alle religioni non cristiane, dando dignità etica ad ogni coscienza. Non dimentica i risultati ambivalenti, dovuti all’asprezza dei dibattiti da cui i testi conclusivi furono condizionati: e tuttavia l’a concorda con K. Rahner nel leggere i testi conciliari come documenti che segnano il passaggio della chiesa alla terza fase della sua storia: una storia che è stata brevemente giudeocristiana, poi a lungo occidentale-mediterranea, ora umana-mondiale con l’apertura al mondo secolare e alle culture non europee. E tuttavia l’immediata epoca postconciliare in questi decenni è caratterizzata dalla restaurazione: l’antica minoranza conciliare può cantare vittoria additando l’enciclica Humanae vitae, il bloccaggio rigoroso del celibato, la ferrea disciplina penitenziale, matrimoniale ed eucaristica, la scarsa libertà del teologo nel suo cercare e interrogare, la collegialità dei vescovi in nomine e in sinodi scarsamente significativi, il nuovo Codice di diritto canonico, il dialogo ecumenico inaridito e il tema della donna nella chiesa. Tuttavia non sono tutte lacrime e spine: se c’è ombra, c’è anche luce. Permangono nella chiesa cattolica dei compiti particolarmente acuti, come la risposta all’ateismo, l’inculturazione della liturgia, la collegialità dei vescovi e un parlare rivedibile. La ventilata proposta di un terzo concilio Vaticano non darebbe al momento risposte adeguate. Piuttosto per l’a., c’è bisogno di sognare di nuovo con una certa intensità la chiesa alla luce del Vangelo. E nelle pagine conclusive anche O.H. Pesch sceglie proprio il genere letterario del «sogno», per ridire la chiesa del Vaticano II come la maggioranza dei 3000 padri conciliari l’ha disegnata a metà del secolo scorso: nel sogno è anticipato in qualche modo un possibile Vaticano III, o meglio la terza epoca della storia della chiesa. In tale sogno Pesch non si trova solo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Chi scrive queste righe trans Alpes, recensendo la edizione italiana, appartiene alla prima fascia, avendo vissuto il soggiorno romano di studio teologico come giovane prete nei primi anni ’60, in coincidenza con lo svolgersi dell'evento conciliare. Senza difficoltà condivide l’eco accentuatamente positiva che la lettura dell'impegnativo volume di Pesch ha provocato in ambito tedesco: le memorie del recensore italiano possono confermare, se ce ne fosse bisogno, quanto l’a. scrive nelle oltre quattrocento pagine. I miei ricordi personali ancora limpidi da quelle pagine vengono risvegliati, le speranze allora vivaci vengono riaccese, ritorna la gioia riconoscente di vivere tuttora la fede cristiana in una Chiesa cattolica, grazie a Dio, protagonista di quello «aggiornamento» storico, che in ogni caso non va messo tra parentesi quasi fosse un incidente di percorso nella millenaria storia cristiana. Nonostante la tardiva traduzione italiana (il testo è nato da lezioni tenute all'Università di Amburgo nella primavera 1985 e riformulate nell'inverno 1990/91 per essere editate in tedesco in prima battuta nel 1992), un grazie cordiale va detto all'editrice Queriniana, oltre che all’autore e anche al bravo traduttore altoatesino Paul Renner che sa rendere in un vivace italiano le battute e i detti idiomatici della lingua tedesca, nonché i «curiosi» titoli dei capitoli riecheggianti spesso battute significative di protagonisti al concilio.
Lo scopo del volume corre esplicitamente sul filo di una simpatica apologetica del concilio, valorizzato nella linea interpretativa della maggioranza dei padri conciliari: lo stile narrativo risulta sincero e talora pungente già nelle pagine introduttive, dove O.H. Pesch afferma: «Si deve in primo luogo aver cura che il concilio venga ricordato, non solo nella teologia specialistica ma anche nel ‘senso della fede dei credenti’. Alla soglia del terzo millennio si deve avere dinanzi agli occhi dove già la chiesa si trovava alla metà del XX secolo e da dove si è messa in cammino verso nuovi tempi e spazi con speranze di cui oggi è rimasto solo un pallido riflesso... Il mio interesse principale non consiste in alcune sottigliezze, bensì nel tentativo di tener desti certi ricordi ancor vivi, anche se ciò qui e là potrà comportare una visione d’insieme quasi intagliata nel legno, piuttosto che un fine lavoro di cesello nel rame» (pp. 6-7). Pur in profonda sintonia con le posizioni teologiche della maggioranza conciliare, O.H. Pesch sa avvalorare l'apporto della minoranza nei lunghi travagli di gestazione dei testi conciliari: sa anche rendere l'onore delle armi con simpatia per protagonisti conservatori come il cardinale Alfredo Ottaviani (cf. pp. 140-143).
Il sottotitolo del volume scandisce i progressivi passaggi storici a cui il docente di Amburgo si mantiene fedele in undici capitoli, aggiungendo alla fine di ogni passaggio suggerimenti per la lettura che si rivelano preziosi per l’approfondimento ragionato e per una documentazione opportuna. Un «sogno» infine conclude il lavoro (cf. pp. 411- 412). Nelle righe seguenti vogliamo ripercorrerne rapidamente il tracciato.
Il racconto comincia con la preistoria del concilio. Le radici vanno individuate in «un’intuizione sbocciata come un fiore» durante un colloquio di papa Giovanni XXIII con il segretario di Stato card. Domenico Tardini nel gennaio 1959: i due interlocutori parlarono della situazione della Chiesa universale, concludendo (almeno da parte del papa) che la chiesa doveva smetterla di chiudersi a riccio e aprirsi invece ai problemi del mondo moderno. Sboccia l’idea di un concilio ecumenico e per O.H. Pesch s’impone subito la necessità di descrivere cos’è un concilio, quale senso e autorità ha nella vita della Chiesa, e magari precisare la fisionomia di questo concilio che, per sé, si collegava spontaneamente al Vaticano I rimasto incompiuto. Ma papa Giovanni XXIII un concilio prevalentemente dottrinale e difensivo non lo avrebbe mai convocato.
La preparazione del concilio avvenne «con uno slancio che viene dal cuore» del papa contro ogni resistenza non solo della curia romana, bensì di quanti si rendevano conto delle prevedibili pesanti difficoltà che una simile assemblea episcopale avrebbe comportato. Ma l’annuncio del papa quel 25 gennaio 1959 scatenò nel popolo di Dio e in parecchi vescovi una marea di attese di riforma, in sintonia con il papa che affermava: «Ci aspettiamo dal concilio che faccia entrare aria fresca»: un rinnovamento della fede e della vita comunitaria della Chiesa che va sotto il termine giovanneo di aggiornamento. La Commissione antepreparatoria del maggio 1959 progetta il primo abbozzo di lavori e ne lancia la prosecuzione nel giugno del 1960 a dieci Commissioni. Il papa nomina presidenti i responsabili dei rispettivi organismi della curia romana: 827 persone, in stragrande maggioranza europei, si impegnano direttamente nella preparazione del concilio. Il papa era presumibilmente convinto che bastasse una sola sessione, dati gli schemi preparati in precedenza: deve essere stato un momento tragico per papa Giovanni quando avvertì con chiarezza che lui non avrebbe visto la fine del concilio dopo la bocciatura di quasi tutti gli schemata da parte della stragrande maggioranza dei padri del concilio inaugurato l’11 ottobre 1962. Ma il suo discorso inaugurale mostrava ancora una volta il paradosso di un papa anziano eppure pieno di fiducia nello Spirito Santo, invitante a preferire la medicina della misericordia al posto della severità.
Il faticoso avvio di un’assemblea così numerosa ed eterogenea si sintetizza nella battuta di un vescovo americano che funge da titolo al terzo capitolo: «Siamo un concilio e non scolaretti». Pesch enumera i primissimi problemi che subito si posero: pro e contro il latino, i rapporti con la stampa, gli osservatori delle altre confessioni cristiane, l’ordine del giorno dei lavori; ma anche il progressivo emergere di vescovi-leader capaci di affiancare il papa nell’impegnativo cammino assembleare.
Dal quarto capitolo, sempre con stile narrativo talora leggermente scanzonato, l’a. affronta il lavoro fruttuoso del concilio segnalando per prima l’opera di riforma più visibile e duratura del concilio: la riforma liturgica fisionomizzata da alcune caratteristiche da cui non si ritornerà più indietro: la madrelingua nella liturgia, la coscienza che la comunità è soggetto attivo, la nuova comprensione del prete che presiede la preghiera, la nuova coerenza della liturgia. Il frutto finale della costituzione non permette di dimenticare il cammino del movimento liturgico, la genesi e i punti focali del documento che lo rendono in fondo «un dono inatteso» (p. 121).
La concezione della chiesa viene affrontata al quinto passaggio del volume, con un richiamo iniziale alle varie immagini di chiesa lungo i secoli prima di descrivere la lotta per la concezione della chiesa nel concilio. Il travaglio parte dallo schema del 1962 (bersaglio acutamente centrato da padri occidentali europei dell’ovest e dell’est e mediorientali particolarmente preparati) al secondo schema e alla versione definitiva: i punti focali sono intuibili nella chiesa sacramento, chiesa popolo di Dio e sacerdozio dei fedeli, chiesa come communio, i laici, il rapporto con la Vergine Maria. Due intermezzi impreziosiscono il capitolo quinto: l’excursus sulle regole per interpretare il Vaticano II (pp. 145-157) e la critica da parte evangelica (pp. 200-208). Segue, come capitolo un po’ più pacato, il sesto sull’unità ecumenica della chiesa: le venti pagine con andamento a zig-zag narrano la genesi del decreto sull’ecumenismo, tornano sulla costituzione De Ecclesia individuando la novità del subsistit in Ecclesia catholica, e riprendono il decreto sulla «gerarchia delle verità».
La verve ritorna nel titolo del settimo passaggio: per esplicitare una breve ma puntuale esegesi dei testi del concilio su ministero e gerarchia (la costituzione sulla chiesa al cap. 3 e il decreto sull’attività pastorale dei vescovi). Pesch assume come titolo l’esclamazione di un vescovo durante il dibattito: «Liberateci da questi bottoni e fasce che nessuno vuole!». Erano in realtà le divise dei funzionari imperiali alla corte della Roma d’Oriente. La tematica della collegialità si rivela uno snodo tra i più dibattuti, come il rapporto tra ordine e giurisdizione e il forte collegamento fra i tria munera pastorali, per recuperare in pieno la figura del ministero ecclesiale nel senso della tradizione antica e per valorizzare le chiese particolari (e non universali, come erroneamente a p. 265, undicesima riga). Il ministero disegnato dal concilio appare «impossibile» nella realtà quotidiana di una comunità viva e dunque degno di alta considerazione. Titoli e verve a parte, anche l’ottavo passaggio affronta uno snodo centrale per il concilio: Scrittura, tradizione, magistero e teologia in che rapporto stanno nella vita della chiesa? L’accesa discussione sulle otto stesure della Dei Verbum dice uno dei punti di cristallizzazione intorno ai quali si decise la sorte del concilio. Pesch narra la preistoria della costituzione nel preludio del movimento biblico e in due aspetti conflittuali: l’interpretazione storico-critica della Bibbia e il concetto di ‘tradizione’, a cui tuttavia non si riducevano i punti dolenti della disputa. In tre pagine stringate l’a. sintetizza le principali asserzioni del documento conciliare segnalando le ardue forme di compromesso, in cui alla fine il magistero viene difeso, la teologia dovrà difendersi argomentando, mentre viene tenuta aperta la questione del rapporto tra Scrittura e tradizione.
Il «Perfidi Judaei», risalente al Venerdì santo prima del concilio, non poteva non introdurre il capitolo su La chiesa, Israele e le religioni. La preistoria della dichiarazione sulle religioni non cristiane inizia nell’incontro tra papa Giovanni e lo storico ebreo Jules Isaac nel settembre 1960: l’incontro fa da sfondo alla sofferta storia di una dichiarazione conciliare anche per le interferenze politiche con gli stati arabi, sfociata alla fine in una positiva presa di posizione su tutte le religioni non cristiane, favorita anche dal viaggio di papa Paolo VI a Bombay con cauto riconoscimento dell’esperienza di Dio nelle religioni buddista e induista. In realtà la dichiarazione conciliare verrà presto superata nel dopo-concilio dai viaggi papali e dall’incontro di Assisi dell’ottobre 1986.
«L’arca di Noè» è un titolo indovinato per parlare della costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo. In quel documento, che diverrà la Gaudium et spes, provvisoriamente erano sistemati tutti quei temi che non avevano trovato posto altrove, in ordine a riforme e posizioni ecclesiali in grado di proporre una significativa testimonianza di fronte al mondo. Il testo in realtà inizia il suo profilo in dibattiti già prima del concilio, ma i nodi problematici arrivarono al pettine e furono progressivamente sciolti solo verso la fine del concilio, spesso con un coraggioso e indefesso lavoro notturno di padri conciliari e di teologici esperti specie di area francofona. Lo schema infine approvato fu il sesto della serie proposta. Alcuni punti focali, oltre alla inedita fisionomia di una costituzione pastorale, furono l’ateismo, il matrimonio e la famiglia, la guerra e la pace, su cui si poté verificare l’apertura della chiesa cattolica al mondo contemporaneo di un documento promotore di un nuovo stile.
Il capitolo conclusivo del volume sul significato permanente del concilio Vaticano II («La terza epoca della storia della chiesa») merita particolare attenzione ed è stato ripreso (parzialmente nelle pp. 384-412) come studio sintetico nel 40° del concilio da riviste come Il Regno-attualità 50 (20/2005) pp. 704-715. Pesch vi enumera anzitutto alcuni risultati positivi del concilio che egli considera in ogni caso permanenti: la riforma liturgica, la chiesa come popolo di Dio, l’apertura della chiesa al mondo e in particolare alle religioni non cristiane, dando dignità etica ad ogni coscienza. Non dimentica i risultati ambivalenti, dovuti all’asprezza dei dibattiti da cui i testi conclusivi furono condizionati: e tuttavia l’a concorda con K. Rahner nel leggere i testi conciliari come documenti che segnano il passaggio della chiesa alla terza fase della sua storia: una storia che è stata brevemente giudeocristiana, poi a lungo occidentale-mediterranea, ora umana-mondiale con l’apertura al mondo secolare e alle culture non europee. E tuttavia l’immediata epoca postconciliare in questi decenni è caratterizzata dalla restaurazione: l’antica minoranza conciliare può cantare vittoria additando l’enciclica Humanae vitae, il bloccaggio rigoroso del celibato, la ferrea disciplina penitenziale, matrimoniale ed eucaristica, la scarsa libertà del teologo nel suo cercare e interrogare, la collegialità dei vescovi in nomine e in sinodi scarsamente significativi, il nuovo Codice di diritto canonico, il dialogo ecumenico inaridito e il tema della donna nella chiesa. Tuttavia non sono tutte lacrime e spine: se c’è ombra, c’è anche luce. Permangono nella chiesa cattolica dei compiti particolarmente acuti, come la risposta all’ateismo, l’inculturazione della liturgia, la collegialità dei vescovi e un parlare rivedibile. La ventilata proposta di un terzo concilio Vaticano non darebbe al momento risposte adeguate. Piuttosto per l’a., c’è bisogno di sognare di nuovo con una certa intensità la chiesa alla luce del Vangelo. E nelle pagine conclusive anche O.H. Pesch sceglie proprio il genere letterario del «sogno», per ridire la chiesa del Vaticano II come la maggioranza dei 3000 padri conciliari l’ha disegnata a metà del secolo scorso: nel sogno è anticipato in qualche modo un possibile Vaticano III, o meglio la terza epoca della storia della chiesa. In tale sogno Pesch non si trova solo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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