Ragione e fede in dialogo
(I libri di Reset)EAN 9788831787833
Quando ancora era cardinale Joseph Ratzinger il 19 gennaio del 2004 si incontrò con J. Habermas a Monaco presso la Katholische Akademie in Bayern per rispondere alla domanda: La democrazia liberale ha bisogno di premesse religiose? Ne nacque un dialogo in cui si ritenne di concordare tra ragione e fede la necessità di autolimitarsi a vicenda per avvantaggiarsene reciprocamente.
Entrambi, infatti, si trovarono d’accordo nell’individuare nella nostra epoca una svolta “postsecolare” che obbliga a porsi domande nuove e tentare delle soluzioni: il laico deve riconoscere una maggiore presenza del discorso religioso nella sfera pubblica, il religioso, d’altro canto, deve prendere atto che ciò lo costringe a misurarsi con le regole laiche della democrazia e con i problemi di tolleranza e convivenza posti dalla pluralità delle religioni e delle culture. Ratzinger, a partire dall’11 settembre si rese conto dell’urgenza di ripensare al fanatismo religioso in genere, visto che il fanatismo islamico ha scatenato violenza e terrorismo in nome della religione.
E si avvide che l’unico rimedio non sta in una guerra di religione o di civiltà, bensì nell’alleanza di fede e ragione, evitando le tentazioni esclusiviste. Pertanto non è del tutto esatto parlare di reciproche “concessioni” sorprendenti in questo famoso dialogo, in quanto le cose che dicono i due interlocutori – come giustamente rileva il curatore del libro, Giancarlo Bosetti - «sono coerenti con il procedere della loro personale riflessione e anche molto aggiornate agli sviluppi più recenti della letteratura filosofica e sociologica sul tema dei rapporti tra religione e politica. Più che “concessioni” del laico al religioso e del religioso al laico si tratta di “concessioni” di entrambi alla realtà di questa svolta “postsecolare”» (pp. 9-10).
D’altra parte suonano chiare le parole di Habermas: «I cittadini secolarizzati non possono, finché compaiono nel loro ruolo di cittadini dello Stato, disconoscere un potenziale di verità in linea di principio alle concezioni religiose del mondo, né contestare ai propri concittadini credenti il diritto di contribuire alle discussioni pubbliche in lingua religiosa. Una cultura politica liberale può persino richiedere ai cittadini secolarizzati di partecipare allo sforzo di traduzione di materiali significativi dalla lingua religiosa a una lingua accessibile a tutti» (pp. 62-63). Anche il Cardinale – dopo aver denunciato la pericolosità della ragione quando, travalicando i suoi poteri, produce la bomba atomica, e produce lo stesso essere umano, assoggettandolo ad esperimenti, e al contempo la pericolosità della religione quando diventa intollerante – avviandosi alla conclusione del suo discorso riconosce: «Per ciò che riguarda le conseguenze pratiche, mi trovo in ampio accordo con ciò che Habermas ha esposto sulla società post-secolare, riguardo la disponibilità ad apprendere e l’autolimitazione da entrambe le parti. Vorrei riassumere la mia opinione personale in due tesi. In primo luogo, abbiamo visto che ci sono patologie nella religione, che sono assai pericolose e che rendono necessario considerare la luce divina della ragione come un organo di controllo, dal quale la religione deve costantemente lasciarsi chiarificare e regolamentare; questo era anche il pensiero dei Padri della Chiesa.
Ma nelle nostre riflessioni si è mostrato che esistono patologie anche nella ragione […]. Perciò anche alla ragione devono essere rammentati i suoi limiti ed essa deve imparare la capacità di ascolto nei confronti delle grandi tradizioni religiose dell’umanità […]. Di conseguenza parlerei della necessità di un rapporto correlativo tra ragione e fede, ragione e religione, che sono chiamate alla reciproca chiarificazione, a far uso l’una dell’altra e riconoscersi reciprocamente. In secondo luogo, questa regola di base deve essere messa in pratica nel contesto interculturale della contemporaneità » (pp. 79-80). Ciononostante per il Cardinale la secolarizzazione europea resta sempre una deviazione da correggere rispetto a una cultura in cui la fede illuminando la ragione fungeva da fondamento prepolitico degli ordinamenti mondani. E in questo la posizione di Habermas è diversa (cf la Postfazione di Massimo Rosati, pp. 85-93).
Tratto dalla Rivista di Scienze dell'Educazione n. 2/2008
(www.pfse-auxilium.org)
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