Un popolo nella storia
(Gestis Verbisque)EAN 9788830814424
E. Brancozzi, docente di teologia dogmatica all’Istituto Teologico Marchigiano, mantiene la parola. L’avvicinarsi del 50° dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano (1962-2012) aveva sollecitato il giovane teologo fermano a dedicare la sua ricerca all’insieme dell’evento conciliare, con una particolare attenzione alle questioni storiche, ermeneutiche e alla recezione dei documenti. L’impresa, come è noto, ha già al suo attivo una vastissima bibliografia. Avventurarsi in questo mare magnum non deve essere stato semplice, tanto più che il triennio appena trascorso (2012-2015) si è ulteriormente arricchito di studi e saggi legati ai vari giubilei tanto dei singoli documenti conciliari come delle diverse fasi del Concilio fino alla ricorrenza del 50° della sua conclusione (8 dicembre 2015). Ci sembra che l’Autore sia riuscito a navigare con maestria in questo fiume in piena portando un contributo originale. Ed è su questo che vogliamo fermare la nostra attenzione.
La parola chiave o, per stare nella metafora della navigazione, la bussola che permette tanto all’Autore come al lettore di orientarsi nel viaggio proposto, è detta con chiarezza nel sottotitolo del volume: Introduzione alle questioni ecclesiologiche del Concilio Vaticano II. È solo una tra le altre opzioni possibili (antropologiche, cristologiche, …)? A noi sembra che la prospettiva scelta, quella ecclesiologica, risponda più da vicino alle istanze che hanno permeato costantemente l’evento conciliare e la recezione dei suoi insegnamenti. La chiave di lettura ci pare pertanto centrata e metodologicamente idonea a dischiudere le questioni aperte che toccano il vissuto della vicenda ecclesiale contemporanea.
La lettura del volume permette inoltre di apprezzare lo stile espositivo: chiaro, ben argomentato e aggiornato (abbondanti in nota i riferimenti alla letteratura recente in lingua tedesca). L’Autore tocca numerosi nervi scoperti, senza timore di metterne in luce, con franchezza e accuratezza di riflessione, i lati più problematici, i tratti dialettici e, talvolta, anche polemici. È un testo che non ha pudore di svelare le precomprensioni che muovono e ispirano tra le righe i passi della ricerca e le eventuali prese di posizione sui problemi da parte dell’Autore. Va apprezzato per questa passione unita alla competenza!
Veniamo ora al percorso proposto che si articola in dieci capitoli preceduti da una prefazione e introduzione a cura dello stesso Autore e seguiti da una conclusione e da un epilogo nella forma di un breve “augurio”. La bibliografia (297-315), ampia e aggiornata, chiude il volume. Una piccola lacuna: tra gli autorevoli commenti alla Lumen Gentium è sfuggita la doverosa menzione dello studio di Mons. Gérard Philips (peraltro citato in nota a p. 233). A questo insigne perito conciliare si fa riferimento (cf.106-107) nel capitolo quinto (il più ampio del volume) dedicato alla Costituzione dogmatica sulla Chiesa ma senza rinviare alla sua opera fondamentale: L’Église et son mystère (or. in francese: Paris 1967; trad. italiana: Milano 1975 con successive ristampe).
Il susseguirsi dei capitoli può essere descritto, a nostro avviso, come un viaggio in direzione di una meta, i capitoli quinto e sesto (rispettivamente: Una Chiesa di popolo. Introduzione alla Lumen Gentium, 103-153; Un nuovo rapporto con il mondo: linee contenutistiche generali di Gaudium et Spes, 155-200), da cui si riparte per affrontare una serie di questioni tematiche implicite nelle due Costituzioni conciliari e in agenda nel dibattito ecclesiologico contemporaneo: sinodalità (capitolo settimo), chiesa locale/universale (capitolo ottavo), laicità (capitolo nono), ministero ordinato (capitolo decimo). E i primi quattro capitoli?
Prima del viaggio il lettore è invitato a sedersi per ricevere alcune istruzioni. La prima concerne la questione della interpretazione dei testi conciliari e dell’evento conciliare nel suo complesso (cf.15-38). È il primo capitolo, denso e strategico per l’insieme del volume, che affronta opportunamente e in modo chiaro il tema della storicità e storicizzazione del Concilio, alla luce del recente dibattito sulla ermeneutica della “continuità vs. discontinuità” a partire dal magistero di Benedetto XVI. Già in questo primo studio Brancozzi mostra le sue propensioni che, al di là dei bisticci linguistici, vanno verso la messa in luce della grande novità del Concilio rispetto alla prassi conciliare precedente (cf.22-26). Non si può livellare questo evento alla piatta cronologia che lo ascrive a XXI Concilio ecumenico della storia della Chiesa! Questa ermeneutica, volendo salvare la continuità, appiattisce la novità che in molti casi ha significato indubitabilmente anche una chiara e auspicata riforma (rottura?) rispetto a metodi e prassi ecclesiali precedenti.
La seconda istruzione getta uno sguardo sul linguaggio. Conformemente alla ispirazione basilare di Papa Roncalli l’evento conciliare si è misurato con una delle questioni fondamentali del rapporto della Chiesa cattolica con la modernità: non poteva essere ritardato il passaggio da un linguaggio/pensiero magisteriale deduttivo, apologetico e prescrittivo ad un altro stile, pena la perdita di incidenza della perenne novità del Vangelo nella vita concreta dell’uomo contemporaneo e nella sua cultura. In questa opera fu decisivo l’apporto dei due pontefici: di Papa Giovanni XXIII e di Paolo VI. La finalità pastorale dei documenti e quindi del messaggio del Concilio nel suo complesso costituisce il punto di svolta attorno a cui viene ad essere modulato uno stile dialogico, simpatetico e fraterno. Brancozzi dà opportunamente rilievo, sulla scorta degli studi di G. Routhier, all’emergere di un «nuovo genere letterario» (49) maturato attraverso un percorso di cui possono essere individuati i passaggi e gli sviluppi. Rimane aperta la valutazione del tenore del vincolo magisteriale non tanto dei documenti conciliari principali, chiara ed evidente specialmente quando si tratta di Costituzioni, ma delle affermazioni contenute in testi che hanno una forte valenza pastorale più che dogmatica, come è il caso della Gaudium et spes. A questo proposito l’Autore sottolinea che i padri conciliari «scelgono un percorso dialogico, che, sebbene più complesso, tuttavia viene riconosciuto come più adatto a generare interesse e condivisione» (49). Il tempo della recezione sta dicendo ancora la sua parola, anch’essa complessa, sulla scelta fatta. Rimane l’indubitabile guadagno della presentazione effettiva della Chiesa non solo come maestra ma anche come madre e direi ancor più come compagna di strada nella sequela dell’unico Maestro.
Queste due istruzioni fondamentali, ermeneutica e linguaggio, lasciano spazio nei capitoli terzo e quarto alla considerazione del profilo storico del ruolo dei due Papi al Concilio: Roncalli e Montini. Entriamo così nel vivo delle vicende storiche conciliari. La pertinenza di questi quadri a questo punto del percorso/viaggio risulta più che evidente: i due Papi con le loro distinte personalità sono stati senza dubbio, su versanti diversi, due attori fondamentali del Concilio. Anche le questioni introduttive esposte nei primi due capitoli, a più riprese, rinviano alla necessità di una pausa più meditata e articolata su questi protagonisti. La pausa non offre niente di edulcorato e patinato, l’Autore si mostra capace, pur nei limiti di una introduzione, di muoversi con perizia nel campo della recente storiografia ecclesiastica, valorizzando in modo corretto tutta una serie di recenti ed aggiornate ricerche in materia (frequente il riferimento agli studi di G. Alberigo e A. Melloni). Questo livello della ricerca, proprio per la complessità e diversità di impostazione dovuta all’approccio storiografico, avrebbe forse richiesto uno sguardo più ampio, aperto a recensire (o almeno segnalare) anche posizioni in dissonanza con le letture offerte dai due noti ed apprezzati studiosi appena citati. Un piccolo rilievo critico può essere fatto per il capitolo terzo, dedicato a Papa Roncalli, ove, diversamente da quello dedicato a Papa Montini, si può osservare una diversità di trattamento: nel secondo caso la prima nota a piè di pagina offre un’abbondante rassegna bibliografica introduttiva mentre nel primo caso non troviamo una eguale ricchezza di indicazioni bibliografiche. Tra gli sudi da segnalare meritava una menzione il volume a cura di Philippe Chenaux, Giovanni Paolo II e Paolo VI. I due papi al Concilio (LUP, Città del Vaticano 2013), pubblicato nella collana del Centro studi sul Concilio Vaticano II della Pontificia Università Lateranense. Il testo raccoglie gli atti di un Convegno internazionale tenutosi presso la stessa Università nel 2012.
Siamo così arrivati al cuore del viaggio: i due capitoli, a nostro avviso, centrali di questa opera introduttiva, il capitolo sulla Lumen Gentium e quello sulla Gaudium et Spes. L’esposizione è chiara sia nel trattare le questioni storiche relative alla lunga gestazione delle due Costituzioni conciliari, sia nel muoversi all’interno del fitto ginepraio di questioni che hanno punteggiato in modo diverso la recezione degli stessi. Merita un particolare apprezzamento, nella scansione del capitolo quinto, la ripetuta messa a fuoco della «visione sacramentale della Chiesa» (cf.109-123; 136-143). Non manca poi l’Autore di mostrare i collegamenti tra la Lumen Gentium e altri testi conciliari che, nella forma di Decreto o Dichiarazione, entrano nel vivo di temi scottanti della comprensione della Chiesa e della sua missione (l’evangelizzazione, la collegialità episcopale, il ministero ordinato e il sacerdozio battesimale, il laicato, i religiosi, l’ecumenismo, la libertà religiosa, …). Su qualche punto, precisamente di ordine ecclesiologico, andava segnalata anche qualche significativa discontinuità tra alcune indicazioni della Costituzione e i relativi approfondimenti a livello dei Decreti. Un refuso di stampa va menzionato: a p. 152 si fa riferimento al Cardinale F. König, Arcivescovo di Vienna (e non di “Colonia” come erroneamente riportato). La Lumen Gentium, con le sue opzioni programmatiche, viene così presentata quale fonte ispiratrice per la trattazione di tante tematiche all’ordine del giorno nell’agenda conciliare. Già in questa Costituzione l’Autore vede chiaramente tratteggiato il nuovo modo di concepire il rapporto Chiesa/mondo che diventa poi l’oggetto precipuo della Gaudium et Spes.
Il capitolo sesto, benché un po’ più breve del precedente, fa il pari con questo per la buona capacità di sintesi e la chiarezza espositiva. Come già il saggio sulla Lumen Gentium questo nuovo sviluppo permette di gustare in modo più esplicito la ponderazione dell’analisi e nello stesso tempo la peculiare ottica interpretativa del teologo fermano. La riflessione proposta non fa misteri nel disvelare al lettore le precomprensioni dell’Autore. A questo proposito è sufficiente scorrere le scelte bibliografiche citate nelle note al testo. La connotazione “pastorale” della Costituzione viene così ad essere intesa non come un punto di debolezza del documento conciliare ma come un suo punto di forza. Se taluni temi analizzati appaiono, a distanza di decenni, superati per il loro aspetto contingente, non è invece così per il metodo di approccio che rimane esemplare (normativo?) per il presente della vicenda ecclesiale (cf.197-200). La lettura di questo saggio produce un senso di freschezza e di novità che giova a chi cerca criteri fondati e autorevoli per dialogare criticamente con la cultura post-moderna. In questa ottica rimando al paragrafo dedicato al tema dei segni dei tempi (cf.166-172). Trattandosi tuttavia di una introduzione alle questioni ecclesiologiche (e non alla Gaudium et Spes come tale) sarebbe stata utile, in chiusura del saggio, una ripresa sulla autocomprensione globale che la Chiesa offre di sé in un documento in cui si parla della sua relazione con il mondo: alcune linee sarebbero state sufficienti. Il lettore le può indovinare tra le righe.
Lo sviluppo dei capitoli successivi esibisce in modo diretto e talvolta anche pungente la verifica degli elementi portanti di questa ecclesiologia alla prova di alcune questioni aperte del dibattito post-conciliare. A noi sembra la parte più intrigante e coinvolgente del volume. Forse perché la vicenda teologica e biografia dell’Autore si colloca in questa fase (la recezione) piuttosto che nella prima (l’evento e la promulgazione dei documenti). Si tratta di questioni che attraversano chi scrive in modo più immediato e vivo. Qualche accesa pennellata di attualità si può cogliere a più riprese nel corso della riflessione. Ma procediamo passo dopo passo.
La prima tematica in gioco è la sinodalità (capitolo settimo), categoria particolarmente pertinente per dare volto concreto alla comprensione della Chiesa come popolo di Dio. Si entra nel vivo delle dinamiche ecclesiali (diocesane e parrocchiali in particolare) per constatare quanto sia ancora lungo il cammino da compiere per realizzare una prassi o meglio uno stile sinodale emancipato dalle sue secolari forme gerarcocentriche (sia a livello locale come a livello universale).
Tra le articolazioni di questo percorso di riflessione viene opportunamente messa in luce la questione della iniziazione cristiana. È da qui che dovrebbero emergere figure di laici corresponsabili ai quali non si ritira (con il diritto canonico) quanto si è riconosciuto con il magistero conciliare. Gli organismi di partecipazione del laicato alla vita ecclesiale segnano il passo purtroppo (cf.215)! Mettere il dito nella piaga comporta proprio, a nostro avviso, una riforma degli attuali processi di iniziazione cristiana in atto e un adeguamento della normativa canonica alle nuove premesse ecclesiologiche (il complesso rapporto tra consultivo e deliberativo). In questo contesto andrebbe segnalata anche la disciplina dell’altra parte del diritto canonico, quella orientale contenuta nel rispettivo Codice (si fa invece riferimento al solo CIC). Il capitolo si chiude con la recensione accurata della proposta ecclesiologica di H. Legrand, presentata in Italia in occasione del memorabile XIX Congresso dell’ATI sul tema della sinodalità del 2005 a Camposampiero (Padova), a cui erano presenti anche alcuni docenti dell’ITM (Florio, Giacchetta). In questo contesto il discorso si apre al rapporto tra Chiesa locale e universale.
Su questo punto, più di una volta emerso tra le righe dei primi sette capitoli del volume, l’Autore può finalmente soffermarsi in modo più pacato ed esteso nel capitolo ottavo. Vengono riportati i dibattiti recenti sulla questione (Ratzinger-Kasper) alla luce del magistero post-conciliare (in particolare Communionis notio). Brancozzi non cela, sulle orme degli studi di H. Legrand e di
D. Vitali (ripetutamente citati in nota), di mostrare le criticità dell’ermeneutica della Lumen Gentium contenute in questo documento della Congregazione per la dottrina della fede. Chi ne esce piuttosto malconcio è il profilo del vescovo diocesano rispetto al cosiddetto governo centrale della Chiesa universale (cf.241). Spunti significativi per una ermeneutica di altro segno sono offerti in coda al capitolo (Prospettive per un ripensamento, 241-245). Nell’affrontare il tema della corresponsabilità dei laici andava menzionato il contributo rilevante della Christifideles laici (1988).
Con questi due studi la riflessione gravita prevalentemente sulla Lumen Gentium, con il seguente (capitolo nono) si passa ad una delle questioni più complesse affrontate dalla Gaudium et Spes: l’autonomia delle realtà terrene. Il taglio rimane ecclesiologico e si dirige a chiarificare il tema della laicità (nel Concilio e nella recezione dello stesso) come emblema del rapporto Chiesa/ mondo. Il campo della letteratura in materia è sconfinato e non è facile offrire uno sguardo sintetico. L’Autore dà prova di riuscire a muoversi nei meandri di questa vexata quaestio portando in luce, come nello stile dei precedenti capitoli, un proprio contributo propositivo, dopo avere recensito le proposte di alcuni studiosi in materia (G. Dalla Torre e C. Cardia). Non manca una sottolineatura critica sul post-concilio: «Il cammino di comprensione e di interiorizzazione della laicità da parte della Chiesa è ancora lungo. Per certi versi, si ha l’impressione che si siano fatti addirittura dei passi indietro rispetto alle affermazioni audaci di Gaudium et Spes» (269). Ma la categoria di laicità, a distanza di decenni, non trova più in GS 36 un semplice testo, autorevole e decisivo, ma un ipertesto da decodificare anche alla luce di altri testi, a loro volta ipertesti, come ad es. tra i più pertinenti, anche se non citato, il paragrafo 44 della stessa Costituzione (… ciò che il mondo può offrire alla Chiesa e non solo l’inverso).
Il tema dell’ultimo capitolo sembra rappresentare, nella sua specificità (il ministero ordinato), il punto di verifica della prospettiva ecclesiologica enucleata nel corso del volume. La ricognizione sullo stato di salute del ministero ordinato, affrontata alla luce di recenti studi sociologici (F. Garelli, L. Diotallevi), delimita l’attenzione alla situazione italiana. Pur partendo nel titolo da una prospettiva ariosa e speranzosa (si cita una parte di 2Cor 1,24: “Collaboratori della vostra gioia”), lo sviluppo successivo presenta un’analisi ove le ombre sembrano superari le luci (crisi delle vocazioni, invecchiamento del clero, reclutamento del clero da altri continenti, defezioni e abusi sessuali, …). Si veda a titolo di esempio la realistica e impietosa situazione descritta alle pp. 279-280. L’Autore sembra conoscere le dinamiche descritte in modo concreto e non solo da studi e letture. È in gioco il tramonto di un modello di chiesa: dove occorre coraggiosamente e profeticamente dirigersi? Verso l’evangelizzazione. Ma come? Superando innanzitutto l’isolamento sacrale o burocratico in cui finisce per chiudersi il prete, per non parlare del vescovo. «L’isolamento ministeriale – se è già evidente e strutturato per i presbiteri – diviene radicale nell’episcopato» (285). Il testo si sofferma opportunamente sui profili concreti che assume il ministero episcopale, rilevandone le criticità e segnalando le vie di superamento tra cui la promozione di una autentica corresponsabilità del laicato e della sinodalità effettiva (non solo verbale o di facciata). Manca un dovuto riferimento al diaconato permanente come parte integrante del ministero ordinato, nella linea della riforma voluta dal Vaticano II. Un ministero, questo, che potrebbe condurre oltre una visione e prassi clericocentrica del ministero.
Non possiamo che ringraziare Enrico Brancozzi per averci condotto in questa introduzione a rimeditare un progetto di Chiesa pieno di futuro. Lo potrà ringraziare in particolare tutta quella generazione di studenti di teologia e di credenti che, non avendo vissuto in diretta il periodo storico del Concilio e del primo post-concilio, si trova a dover e volere accogliere quel magistero in modo corretto e creativo al contempo. Inoltre gli studiosi di ecclesiologia potranno apprezzare una voce nuova che si inserisce con competenza e passione nella ricerca e nel dibattito contemporaneo. Con questo dodicesimo volume la collana Gestis Verbisque dell’Istituto Teologico Marchigiano offre certamente uno strumento di riflessione anche alle diocesi marchigiane per affrontare con discernimento e fedeltà al Concilio le istanze emergenti da questa nuova stagione della evangelizzazione.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2016
(http://www.pul.it)
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