INDICE
Rino'Fisichella
Presentazione ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
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Roberto Tamanti
Introduzione ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
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Domenico ''Paoletti
METODO IN TEOLOGIA
E VITA FRATERNA IN COMUNITÀ ' . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1. Il metodo in teologia ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 16
2. a teologia è una scienza'
L
Satuto epistemologico della teologia ' . . . . . . . . . . . . . . . 19
Che cos'è la scienza' ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
3. Il paradigma teologico ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 23
4. Il metodo tra teologia e vita teologale ' . . . . . . . . . . . . .
. 25
Primato della parola di Dio ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 27
Primato della fede sulla teologia ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Primato dell'esperienza di fede sulla teoria teologica ' . . . 28
5. «Fare teologia» in comunità: uno stile teologico ' . . . . . . 30
Il Seraphicum un laboratorio di ricerca
di un nuovo paradigma teologico ' . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 30
Giuseppe Ruggieri''
LA «TAXIS» DEL TEOLOGARE
Appunti sul metodo ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
.
1. a conoscenza teologica
L
come evento sinfonico-ecclesiale ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
2. iconoscere l'unità personale e teologica
R
tra il Gesù storico e il Cristo della fede ' . . . . . . . . . . . . 44
.
161
3. Il rapporto tra fede e ragione ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 47
4. La questione filosofica del linguaggio religioso ' . . . . . . . 53
5. l cristianesimo come conversione dei linguaggi
I
per «dire» e «dirsi» in Cristo ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 54
6. Conclusione ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 59
Piero Coda
L'«Itinerarium mentis in Deum»
di san Bonaventura
Il cristocentrismo trinitario francescano:
per un recupero dell'oggetto e del metodo in teologia ' . . . 61
1. Introduzione ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 61
2. San Francesco come «luogo teologico»
in cui emerge la centralità di Cristo ' . . . . . . . . . . . . . . .
. 62
3. 'interpretazione cristologica di san Francesco
L
stimmatizzato nell'«Itinerarium» ' . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 64
4. La specificità cristocentrica della teologia ' . . . . . . . . . . . 68
5. a teologia francescana come espressione
L
nel dimorare in-Cristo come fratelli ' . . . . . . . . . . . . . . .
. 74
Maurizio Malaguti'
Audientes faciemus
L'operosa contemplazione nella sequela
del «Christus medius»: la via di san Bonaventura ' . . . . . . . 77
1. Introduzione ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 77
2. L'apertura alla metafisica '. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
3. Tra memoria prima e fine ultimo:
l'itinerario della «mens» ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 82
4. La «mens» nel dono di luce ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 83
5. l nuovo e l'antico: Bonaventura
I
nella tradizione platonico-agostiniana ' . . . . . . . . . . . . . .
. 90
6. Il Centro che abbraccia l'infinito ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
7. Più pura e più intensa: la «Caritas in veritate» ' . . . . . . . 96
8. La conoscenza nell'unità teandrica di Cristo ' . . . . . . . . . 98
162
9. Cristo via e termine della sapienza ' . . . . . . . . . . . . . . . .
. 102
10.'''l simbolo della luce ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I . 104
11.''' 'incarnazione del Verbo e il senso della storia ' . . . . .
L . 106
12.'''Conclusione ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
Roberto Repole
Pensiero umile
in prospettiva metodologica ' . . . . . . . . . . . . . .
. 109
1. Pensiero sim-patetico ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 110
2. Soggetto del pensare: coinvolgimento e relazione ' . . . . . 112
3. Il primato dell'economia salvifica '. . . . . . . . . . . . . . . . . 116
4. Funzione anti-ideologica del pensiero ' . . . . . . . . . . . . . . 120
Bruno Forte
La teologia sapienza dell'amore ' . . . . . . . . . . 127
1. Sapienza e storia ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 128
2. Il linguaggio della teologia, sapienza dell'amore ' . . . . . 133
3. L'esistenza teologica ' . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. 137
Timothy Radcliffe
L'immaginazione cristiana ' . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
.
163
È un insieme di saggi, presentati in occasione di appuntamenti accademici da autorevoli studiosi, intorno al teologare in comunità di ispirazione francescana. Si tratta del programma di riflessione della Facoltà teologica san Bonaventura in Roma, impegnata da alcuni anni nello sviluppo di tale tematica. Il volume in esame raccoglie sette interventi, riconducibili, per semplificazione e brevità, a tre linee che ben compendiano il pensare francescano o comunque ne lasciano intravvedere l’efficacia.
La prima, elaborata da D. Paoletti (pp. 15-59), ispiratore del disegno e guida della riflessione comunitaria, è offerta in pagine intense e riguardano il ‘facere veritatem’ giovanneo o il paolino ‘veritates facientes in caritate’ o l’agostiniano ‘non intratur in veritatem nisi per charitatem’, oltre la spartizione classica tra l’essere e l’agire. Si tratta di prendere coscienza che siamo in quella operatività che è ben oltre la distinzione e la subordinazione tradizionali dell’agire all’essere. L’atto creativo per un verso e l’atto redentivo per l’altro costituiscono l’anima dinamica dell’essere – la fonte della sua dialettica – estraneo alla separazione tra l’essere in quanto essere (filosofia) e l’essere in quanto vive, progetta e opera (teologia). In quest’ottica l’impegno non è di contemplare la verità, quasi fosse già definita e compiuta, ma di ‘farla’, e cioè di mettere in moto quanto giace nel fondo dell’essere, nell’assunto filosofico-teologico che il dover essere è nel cuore dell’essere: la parola divina con l’Incarnazione del Verbo ha preso posto nella storia. Il che non esonera dal compito di ‘conoscere la verità’ descrivendola, come sottolinea B. Forte, per il quale però la verità non può e non deve soltanto essere espressa, ma anche fatta (p. 130ss). ‘Fare’ e ‘conoscere’ la verità si riferiscono a due registri che la Scuola francescana ha cercato di tenere congiunti favorendone l’interazione. L’uno è detto ‘emet’ o credibilità o fedeltà, l’altro ‘aletheia’ o svelamento; due momenti non omologabili e insieme, anche se a fatica, da tenere in comunione. Non si trascuri che per Bonaventura è strutturale l’interazione tra filosofia (aletheia) e teologia (emet), l’una entro l’altra, grazie alla logica della gratuità o logica senza logica, entro cui sono da collocare sia la creatura che la sua redenzione. Alle radici non c’è la giustizia o la soddisfazione di un qualche diritto, ma l’inatteso, l’imprevisto o anche il trans-logico, e cioè la misericordia di Dio.
La seconda linea, cui sono riconducibili i contributi di G. Ruggieri (pp. 41-60), P. Coda (pp. 61-76) e M. Malaguti (pp. 77-108), ci immette nella teologia come discorso che viene da Dio (a Deo), tratta di Dio (de Deo), è conforme a Dio (ad Deum) e ha Dio per fine (propter Deum) (Breviloquium prol. 6, n. 6). Si intravvede la grandiosità di tale pensare, esemplato sull’autore del testo. Il metro valutativo della sua correttezza è Dio stesso, in rapporto al quale aprire, con coraggio e creatività, l’arco significativo dei fenomeni. Dio è accondiscendente, nel senso che si adatta al nostro sguardo e insieme ne trascende i tentativi di categorizzazione. Ciò che conta più che il cercarlo, il farsi-trovare, creando le condizioni del mutuo riconoscimento – e qui il ruolo comunitario è insostituibile in parallelo al trascendimento di quel tratto impersonale o meglio neutrale del Dio dei filosofi (Pascal) che caratterizza il pensare occidentale. Con Bonaventura si ha il coinvolgimento del finito nell’infinito, entrambi indissociabili. Bonaventura esplicita il suo pensiero allorché afferma che non è possibile vivere fino in fondo il proprio essere senza collegarlo alla fonte, rispetto a cui i tratti della propria insufficienza e della transitorietà sono canali di comunione, non di umiliazione. In questo spazio di differenza strutturale ha luogo la dialogicità esistenziale come anche è da riporre la radice del divenire, dei cambiamenti, delle trasformazioni e dunque della storia, non come ripetizione dell’identico, ma come catalogo dell’inedito e dell’imprevedibile. La terza linea, a cui sono riconducibili gli interventi di R. Repole (pp. 109126), B. Forte (pp. 127-146) e di T. Radcliffe (pp. 147-159), è costituita dal carattere umile e nascosto del pensare teologico, nel senso che allude al bene che sorge senza clamore e si afferma nel silenzio. Il francescano non ha bisogno di storie che si concludano nel ‘plauso’ della vittoria del bene sul male. Purtroppo la gelosia per la prosperità dei ‘cattivi’ e le perplessità per la sconfitta dei ‘buoni’ hanno ancora come sorgente il primato della potenza. Si evoca la commozione, estremamente significativa, che ha suscitato il film Uomini di Dio (Des hommes et des dieux): in un villaggio plurireligioso e multietnico si scatena il fondamentalismo omicida musulmano. Un gruppo di monaci discute se rimanere nel villaggio – uno dei residenti dice loro: noi siamo gli uccelli che riposano sui rami, voi i rami. Dopo uno scambio di pareri, i monaci decidono di restare. La notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996 tutti, tranne due, sono rapiti e poi, il 21 maggio, decapitati. Il film si conclude con la sconfitta dei monaci – il simbolo della preghiera, della solidarietà, della convivenza fraterna… Il male ha vinto. Eppure gli spettatori non ‘sentono’ la rappresentazione così. Le loro immaginazioni sono state toccate da una sconcertante vittoria della bontà, dalla forza della tenerezza, pur di fronte alla morte, che pare trionfi. All’orizzonte si intravvede una bontà silenziosa, umile, che la violenza clamorosa fa emergere in misura che si impone.
La parola di Dio attraversa la storia grazie alle traduzioni da parte delle comunità che, come tante isole nel cuore dell’oceano, guardano con preoccupazione i tanti naviganti della storia, offrendo loro un approdo, a qualsiasi ora e in qualsiasi circostanza. Non c’è nulla che possa arrestare l’andare di questa parola. È divina. Nulla può ammaliarla arrestandone il cammino. I teologi, riscaldati dal suo calore, la meditano assieme ai poveri, i viandanti del mondo, sorretti da quella luce che resiste alla forza del vento. Quale luce? Noi amiamo definirla, vogliamo circoscriverla, per poterla piegare a questa o a quella logica. Vogliamo la stabilità, non l’itineranza, la fruibilità, non la profondità e dunque un certo modo d’essere, che poi idolatriamo. Noi per lo più amiamo il Chistus victor – il trionfatore – colui che ci dice come e quando prevalere. Forse è questa la ragione per cui lo portiamo via dalla mangiatoia e lo proiettiamo nei cieli, lo sottraiamo al tempo e lo contempliamo nell’eterno. Il francescano predilige il Christus viator, quello delle strade polverose della Palestina. A Francesco, che le aveva confidato l’amarezza per la piega che i frati durante il capitolo delle stuoie del 1222 stavano dando al suo originario ‘propositum’, Chiara replica in modo fermo: “Francesco, la famiglia, che tu hai voluto, non è tua”. Fu il tocco purificatorio finale. Dopo, le stimmate, e cioè il passaggio dal Christus victor al Christus patiens, lontano da ogni clamore, nel silenzio dei boschi della Verna.
Tratto dalla rivista "Miscellanea Francescana" n. III-IV/2015
(http://www.seraphicum.com)
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