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Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo
(Saggi)EAN 9788817016391
Esaurito
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DETTAGLI DI «Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo»
Tipo
Libro
Titolo
Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo
Autore
Bloom Harold
Traduttore
Didiero S.
Editore
BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
EAN
9788817016391
Pagine
279
Data
2007
Collana
Saggi
COMMENTI DEI LETTORI A «Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Gesù e Yahvè. La frattura originaria tra Ebraismo e Cristianesimo»
Recensione di Giuseppe Segalla della rivista Studia Patavina
In breve qualificherei questo libro: superficiale sotto il profilo storico (almeno per quanto riguarda il Gesú storico), serio e molto interessante sotto il profilo di critica letteraria estetica, ironico di una ironia tagliente sotto quello teologico. Non c’è dubbio che sia un libro intelligente, scritto dal più celebre e influente critico letterario americano, che dimostra una cultura letteraria universale, ma soprattutto anglo-americana, innamorato di W. Shakespeare. Un libro di una altissima retorica in cui coinvolge se stesso nel dialogo con il lettore. Più volte parla di sé, ma dove si presenta nel modo più completo è a p. 130: «Arrivato all’età di sessantaquattro anni, inizio a domandarmi quale sia il mio genere di libri. Amo da sempre la grande letteratura e scrivo saggi di critica letteraria, mescolandola però con quella che ho imparato a chiamare ‘critica religiosa’…Non sono uno storico né della letteratura né della religione», e aggiungerei della storia propriamente detta, quella dell’Antico e del NT che egli identifica con «miti ai quali diamo il nome di ‘storia’».
Inoltre egli si dichiara più volte un ebreo, però un ebreo scettico che non crede all’Alleanza con Dio, e sembra non creda neppure in Dio, dato che si ferma alle forme letterarie religiose in cui Dio viene espresso; si dichiara inoltre gnostico (p. 269) e ciò spiega la sua simpatia per il Vangelo di Tommaso, di tinta gnostica; per cui egli afferma in forma soggettiva e affatto argomentata (come sempre per quanto concerne la storia): «Almeno due diverse versioni di Gesú, quella del Vangelo quasi gnostico di Tommaso e quella dello straordinariamente criptico Vangelo di Marco, mi danno l’impressione di essere autentiche, pur essendo spesso l’una in antitesi con l’altra» (p. 36). Che sia un ebreo lo si percepisce dappertutto, ma per quanto concerne il NT per la sua «considerevole avversione nei confronti di Paolo e del Vangelo di Giovanni» (p. 49) e della inconciliabilità fra il Tanach (Bibbia ebraica) e l’Antico Testamento-Nuovo Testamento cristiano (pp. 264-67), e perciò fra cristianesimo e giudaismo; per cui a suo avviso non sarebbe mai esistito il giudeo-cristianesimo in quanto secondo la sua ideologia critica giudaismo e cristianesimo sono inconciliabili. Perciò arriva a fare una storia del cristianesimo delle origini inventata da lui, quando dice che Gesú si rivolse solo agli ebrei e i suoi discepoli solo ai gentili. Evidentemente o non ha letto i primi quindici capitoli degli Atti o per lui quanto raccontano non è storico. Si sa molto bene che gli apostoli annunciarono il vangelo per primi agli ebrei e solo faticosamente passarono ai gentili. La ricerca del Gesú storico la liquida con l’ironia verso i ricercatori, ironia che vale forse per gli Stati Uniti, ma non per il resto del mondo. Anche qui di rivolge ai lettori in forma retorica: «A meno che non siate dei ricercatori professionisti di Gesú - persone che dipendono da questa loro vocazione per quanto riguarda il proprio sostentamento, l’autostima e la salute spirituale -, per dedicarvi a tale curiosa impresa dovreste cambiare tutti i vostri piani» (p. 31), perché è un’impresa donchisciottesca. Invece di rivolgersi a Neusner come rappresentante dello scetticismo nei confronti del Gesú storico, il quale paragona la ricerca del Gesú storico a quella di Hillel, basterebbe che avesse letto il libro di un altro ebreo, David Flusser, uno storico serio, esimio professore all’università di Gerusalemme il quale ha scritto un libro su Gesú, che inizia così. «Questo libro è nato soprattutto per mostrare come sia possibile scrivere una storia della vita di Gesú… Gesú è l’ebreo del periodo immediatamente successivo a quello anticotestamentario sulla cui vita e idee sappiamo di più» (Jesus, Brescia 1997). Credo sia sufficiente per dimostrare la superficialità del Bloom sotto il profilo storico. L’ironia è il modo più facile di distruggere l’avversario, ma non è detto che sia il più argomentato e fondato.
Come critico letterario, quale lui spesso si professa (ad es. pp. 94,118,130), tanto di cappello anche per quanto riguarda i suo giudizi sugli scritti del NT. Riporto solo un esempio; egli ritiene il Vangelo di Giovanni «potente sotto il profilo estetico», ma poi aggiunge (e questo è il suo giudizio come «ebreo») «e al contempo spaventoso sotto quello spirituale, anche mettendo da parte l’antisemitismo cristiano da cui è segnato» (p. 64).
La sua tesi di critica religiosa appare già nelle prime parole della introduzione: «Questo libro è incentrato su tre figure: un personaggio più o meno storico, Yeshua di Nazareth, un Dio teologico Gesú Cristo, e un Dio umano troppo umano, Yahwè, com’è presentato soprattutto nel grande e sublime documento Yahwista» (p. 9). Il Gesú più vicino a Yeshua è quello di Marco, mentre Yahvè con una personalità più spiccata sarebbe appunto quello dello Yahvista, e Gesú Cristo sarebbe invece il personaggio che occupa tutto il Nuovo Testamento. Nessun rapporto fra i tre.
Bloom pur pensando con sicurezza di essere scevro da pregiudizi, e quindi un critico neutro, in realtà basterebbe avesse letto qualsiasi trattato elementare di ermeneutica per rendersi conto che è impossibile leggere un libro o formulare un giudizio senza una «preocomprensione», e tale precomprensione può divenire «pregiudizio» che giustifica una ideologia, pur ironicamente negandola. A mio avviso è il caso di Bloom. Egli riflette nel suo libro l’ambiente americano ove si ha il supermercato delle religioni e dove Gesú effettivamente per alcuni, e lo Spirito Santo per altri, finisce per eclissare la figura di Dio e sostituirla. Inoltre vi gioca molto il fatto di essere ebreo anche se non credente. Per comprendere il significato inteso da Antico e Nuovo Testamento occorre invece partire da quella fede da cui sono nati e non semplicemente da una altissima esperienza religiosa ed estetica.
Occorre tuttavia aggiungere alla fine che è un libro intelligente scritto da una persona molto intelligente. Basti leggere ad esempio il capitolo sulla Trinità, su cui si rivela molto ben informato, e del resto anche sul Gesú storico ancorché seleziona sempre quanto contribuisce alla sua tesi. Per chi ha senso critico e chiede argomentazioni e non solo brillanti affermazioni venate di ironia, il libro può essere utile per vedere le debolezze del nostro punto di vista credente.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Inoltre egli si dichiara più volte un ebreo, però un ebreo scettico che non crede all’Alleanza con Dio, e sembra non creda neppure in Dio, dato che si ferma alle forme letterarie religiose in cui Dio viene espresso; si dichiara inoltre gnostico (p. 269) e ciò spiega la sua simpatia per il Vangelo di Tommaso, di tinta gnostica; per cui egli afferma in forma soggettiva e affatto argomentata (come sempre per quanto concerne la storia): «Almeno due diverse versioni di Gesú, quella del Vangelo quasi gnostico di Tommaso e quella dello straordinariamente criptico Vangelo di Marco, mi danno l’impressione di essere autentiche, pur essendo spesso l’una in antitesi con l’altra» (p. 36). Che sia un ebreo lo si percepisce dappertutto, ma per quanto concerne il NT per la sua «considerevole avversione nei confronti di Paolo e del Vangelo di Giovanni» (p. 49) e della inconciliabilità fra il Tanach (Bibbia ebraica) e l’Antico Testamento-Nuovo Testamento cristiano (pp. 264-67), e perciò fra cristianesimo e giudaismo; per cui a suo avviso non sarebbe mai esistito il giudeo-cristianesimo in quanto secondo la sua ideologia critica giudaismo e cristianesimo sono inconciliabili. Perciò arriva a fare una storia del cristianesimo delle origini inventata da lui, quando dice che Gesú si rivolse solo agli ebrei e i suoi discepoli solo ai gentili. Evidentemente o non ha letto i primi quindici capitoli degli Atti o per lui quanto raccontano non è storico. Si sa molto bene che gli apostoli annunciarono il vangelo per primi agli ebrei e solo faticosamente passarono ai gentili. La ricerca del Gesú storico la liquida con l’ironia verso i ricercatori, ironia che vale forse per gli Stati Uniti, ma non per il resto del mondo. Anche qui di rivolge ai lettori in forma retorica: «A meno che non siate dei ricercatori professionisti di Gesú - persone che dipendono da questa loro vocazione per quanto riguarda il proprio sostentamento, l’autostima e la salute spirituale -, per dedicarvi a tale curiosa impresa dovreste cambiare tutti i vostri piani» (p. 31), perché è un’impresa donchisciottesca. Invece di rivolgersi a Neusner come rappresentante dello scetticismo nei confronti del Gesú storico, il quale paragona la ricerca del Gesú storico a quella di Hillel, basterebbe che avesse letto il libro di un altro ebreo, David Flusser, uno storico serio, esimio professore all’università di Gerusalemme il quale ha scritto un libro su Gesú, che inizia così. «Questo libro è nato soprattutto per mostrare come sia possibile scrivere una storia della vita di Gesú… Gesú è l’ebreo del periodo immediatamente successivo a quello anticotestamentario sulla cui vita e idee sappiamo di più» (Jesus, Brescia 1997). Credo sia sufficiente per dimostrare la superficialità del Bloom sotto il profilo storico. L’ironia è il modo più facile di distruggere l’avversario, ma non è detto che sia il più argomentato e fondato.
Come critico letterario, quale lui spesso si professa (ad es. pp. 94,118,130), tanto di cappello anche per quanto riguarda i suo giudizi sugli scritti del NT. Riporto solo un esempio; egli ritiene il Vangelo di Giovanni «potente sotto il profilo estetico», ma poi aggiunge (e questo è il suo giudizio come «ebreo») «e al contempo spaventoso sotto quello spirituale, anche mettendo da parte l’antisemitismo cristiano da cui è segnato» (p. 64).
La sua tesi di critica religiosa appare già nelle prime parole della introduzione: «Questo libro è incentrato su tre figure: un personaggio più o meno storico, Yeshua di Nazareth, un Dio teologico Gesú Cristo, e un Dio umano troppo umano, Yahwè, com’è presentato soprattutto nel grande e sublime documento Yahwista» (p. 9). Il Gesú più vicino a Yeshua è quello di Marco, mentre Yahvè con una personalità più spiccata sarebbe appunto quello dello Yahvista, e Gesú Cristo sarebbe invece il personaggio che occupa tutto il Nuovo Testamento. Nessun rapporto fra i tre.
Bloom pur pensando con sicurezza di essere scevro da pregiudizi, e quindi un critico neutro, in realtà basterebbe avesse letto qualsiasi trattato elementare di ermeneutica per rendersi conto che è impossibile leggere un libro o formulare un giudizio senza una «preocomprensione», e tale precomprensione può divenire «pregiudizio» che giustifica una ideologia, pur ironicamente negandola. A mio avviso è il caso di Bloom. Egli riflette nel suo libro l’ambiente americano ove si ha il supermercato delle religioni e dove Gesú effettivamente per alcuni, e lo Spirito Santo per altri, finisce per eclissare la figura di Dio e sostituirla. Inoltre vi gioca molto il fatto di essere ebreo anche se non credente. Per comprendere il significato inteso da Antico e Nuovo Testamento occorre invece partire da quella fede da cui sono nati e non semplicemente da una altissima esperienza religiosa ed estetica.
Occorre tuttavia aggiungere alla fine che è un libro intelligente scritto da una persona molto intelligente. Basti leggere ad esempio il capitolo sulla Trinità, su cui si rivela molto ben informato, e del resto anche sul Gesú storico ancorché seleziona sempre quanto contribuisce alla sua tesi. Per chi ha senso critico e chiede argomentazioni e non solo brillanti affermazioni venate di ironia, il libro può essere utile per vedere le debolezze del nostro punto di vista credente.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2006, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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