L’atto di pregare e la preghiera attraversano la Bibbia dall’inizio alla fine. Al di là delle differenze cresciute nella storia e nella cultura delle diverse confessioni di fede, la venerazione del Dio comune a tutti supera quello che divide. Non c’è infatti un modo di pregare veterotestamentario e uno neotestamentario: esiste solo la preghiera biblica. Il vol. fa parte di una collana che illustra i contenuti dell’Antico e del Nuovo Testamento sui temi fondamentali della fede. Ogni tema è presentato da due aa.: uno per l’AT e uno per il NT, che poi, in un dialogo conclusivo, discutono come le idee centrali dell’uno vengono filtrate, assunte o modificate nell’altro.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2011 n. 16
(http://www.ilregno.it)
I due esegeti tedeschi, G. Fischer e K. Backhaus, docenti, il primo, alla Facoltà teologica cattolica dell’Università di Innsbruck e, il secondo, alla Facoltà teologica cattolica dell’Università di Monaco, hanno già lavorato insieme sul tema della «Espiazione e riconciliazione» nella stessa collana: I temi della Bibbia.
Nel presente volume, Fischer ha studiato la preghiera nella Torah, nei libri storici e profetici, neI libri sapienziali, e soprattutto nel Salterio. È richiamata la preghiera di intercessione di Abramo (Gn 20,17), quella di Isacco per la moglie sterile (Gn 25,21) e la supplica del servo di Abramo alla ricerca della futura moglie del figlio. Dal grido degli israeliti schiavi in Egitto si passa al canto dopo il passaggio del Mar Rosso in Es 15. Durante il cammino nel deserto Mosè assume il ruolo dell’intercessore. Nei libri storici Fischer ricorda le preghiere di madri, profeti e re. In particolare egli si sofferma sulla piú lunga preghiera di una donna nella Bibbia ebraica, la preghiera di Anna (1Sam 1,10-13).
Nel rapporto interiore con Dio, Samuele segue la madre Anna. Un esempio che influisce anche nell’atteggiamento orante di due re, Davide e Salomone. Davide si domanda se la sua preghiera non sia forse superflua dal momento che Dio conosce sempre tutto. La preghiera in realtà esprime l’incomparabilità di Dio e la singolarità del popolo di Israele, che può ascoltare e rispondere alla sua parola. Salomone imita da vicino le orme del padre nell’amore per il Signore, la generosità nei suoi confronti. Di lui si tramanda una lunga preghiera in occasione della consacrazione del tempio in 1Re 8, dove il re implora l’ascolto di Dio in necessità fondamentali della comunità. Anche i profeti sono uomini in intimità con Dio e curano il contatto interiore con lui. Sono chiamati uomini di Dio. In particolare Elia ed Eliseo possono essere chiamati profeti oranti.
Tra i discendenti di Davide un grande orante è il re Ezechia (purtroppo, per una svista – credo – del traduttore il testo a p. 43 parla di Acaz, che sappiamo fu tutt’altro che un orante!). Davanti a una minaccia nazionale il re sa esprimere il suo intimo legame con Dio in una preghiera che va dalla lode alla richiesta di salvezza (2Re 19,15-19). In parallelo l’autore presenta la fioritura della preghiera nei libri delle Cronache, considerate come una storia pregata. Viene ricordata giustamente la preghiera di Iabez (1Cr 4,10), la cantata festiva di Davide in occasione del trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme in 1Cr 16,7 e la sua ultima preghiera in 1Cr 29,10-20.
Anche re stranieri come Chiram di Tiro e la regina di Saba lodano il Signore. Si ricorda anche la preghiera di un re trattato solo negativamente dallo storico deuteronomista, Manasse, che trova ascolto presso Dio con la sua supplica, ottenendone la libertà dalla prigionia, il ritorno in patria e il dono di riprendersi il regno. In un ulteriore capitolo l’autore si sofferma sulle preghiere dei profeti, che sono vissuti in momenti drammatici della storia di Israele, in cui il popolo, guidato dai suoi capi, si allontanava sempre piú dall’alleanza. La preghiera in questi tempi riusciva a conservare il contatto con Dio. Il libro di Isaia testimonia la forza della preghiera. Il suo punto di partenza è la commemorazione dell’essere e dell’agire di Dio.
La comunità, nonostante i grandi errori, mantiene un’incrollabile fiducia in lui unico salvatore e non resterà delusa. In Geremia emerge chiaramente, rispetto altrove nella Bibbia, che le preghiere possono riflettere dei rapporti logorati. Nelle preghiere di questo profeta possiamo ascoltare delle accuse verso Dio e verso gli uomini. Il ventaglio delle sue preghiere è molto ampio. Con i diversi stati d’animo, esse abbracciano l’aspro lamento e la lode sublime. I contenuti, oltre a Dio, riguardano anche la comunità e il suo destino, il profeta e la sua missione, l’atteggiamento verso gli altri, il dolore che la parola di Dio comporta. La preghiera è un tema dominante per il libro di Geremia. L’autore non si sofferma su Ezechiele e passa subito al libro dei dodici profeti.
In questi profeti le preghiere mostrano un’accresciuta intensità, sia per l’aumento della frequenza che per la molteplicità dei motivi, come anche per l’inasprimento dei contrasti su tutti i piani: personale, con se stessi o in lotta con Dio, in questioni sociali, o addirittura internazionali. In fondo è il legame con Dio che appare portante. La preghiera opera degli effetti ampiamente positivi. Per un verso Dio dona la salvezza, d’altra parte le preghiere rivelano la situazione degli oranti, i loro pensieri, contribuendo a risollevarli e a renderli migliori. Nella terza parte della Bibbia, negli Scritti, l’autore nota una caratteristica evidente in paragone ai libri già trattati: una forte proliferazione dellE preghiere, anche se non si osserva sempre, come, per esempio, in Qoèlet, nel Cantico e nei Proverbi. In particolare l’autore ricorda tre grandi preghiere penitenziali (Esd 9; Ne 9; Dn 9) e le preghiere di tre figure in cui la comunità postesilica si identifica: la regina «diventata pia», Ester, Tobia e Giuditta. Le preghiere innalzate a Dio in grande necessità nel libro delle Lamentazioni, in Giobbe, in Baruc. La preghiera durante il combattimento in 1Mac e la preghiera di grandi oranti in 2Mac. Gli scritti sapienziali trattano il tema della preghiera in modo differente. Qoèlet mette in guardia dall’esagerare nelle cose religiose (Qo 4,17-6,6); Ben Sira invita, invece, a lodare il Signore.
Il centro del libro della Sapienza è costituito dalla preghiera di Salomone per ottenere la sapienza (Sap 9,1-19). Il massimo splendore della preghiera si trova però nel Salterio. Nella storia della letteratura dell’umanità non esistono altri testi che abbiano influenzato la preghiera nel corso dei millenni in differenti culture, lingue e perfino confessioni tanto quanto i Salmi. Ancora oggi sono l’asse della liturgia delle ore della chiesa. Vi si esprime la gioia per la vicinanza di Dio ed esperienza della sua lontananza (Sal 42-43), la convergenza di molte tradizioni (Sal 77 e 104), la «corporeità» (Sal 63 e 139), il sentimento di colpevolezza e di innocenza (Sal 15 e 51), il passaggio dal «lui» al «tu» nel dialogo con Dio (Sal 23 e 62). Il tutto viene espresso in immagini molto vivide come, per esempio, Dio «sole» e «scudo» (Sal 84 e 85).
Prima di passare al NT l’autore si sofferma a riguardare il percorso fatto nei primi cinque capitoli, che danno una testimonianza impressionante del dialogo durato secoli tra credenti di Israele e il Signore. Vi appare il desiderio di Dio di instaurare un rapporto con l’uomo. Il Signore stesso vive l’amore, la verità e la giustizia e a sua volta richiede lo stesso da coloro che credono in lui. Sono preghiere a volte complesse. Talvolta anticipano il futuro, altre volte riprendono motivi e formulazioni precedenti, altre volte ancora vogliono spingere a qualcosa non solo Dio ma anche gli uomini. Secondo la struttura abituale della collana «I temi della Bibbia», la seconda parte del libro è dedicata al NT. Backhaus inizia la sua esposizione dando uno sguardo generale alla preghiera nel NT, indicandone i tratti fondamentali: carattere dialogico, frammentario e drammatico, ma pieno di speranza. Essenziale quindi è un dialogo vivo con il Dio vivente. Per il cristiano, Dio parla in Cristo, diventando personalmente concreto. Nella preghiera si può sentire pulsare da vicino il cuore. La preghiera del NT non è affatto una novità. Se c’è un luogo nel quale la continuità tra primo giudaismo e cristianesimo primitivo diventa tangibile, quel luogo è la prassi della preghiera, la coerenza dei generi e l’armonia dei contenuti (cf. ad esempio il Magnificat e il Benedictus).
L’autore quindi si sofferma sulla preghiera di Gesú, per il quale pregare è relazione. Egli è il maestro di preghiera, in particolare nella «preghiera del Signore», che costituisce il cuore del Discorso della montagna. Il cristianesimo primitivo non ha dato inizio a una nuova prassi di preghiera, ma ha continuato senza soluzione di continuità quella del primo giudaismo. La struttura di pensiero all’interno della quale si sviluppa la preghiera cristiana primitiva è l’orientamento monoteistico. Il fattore di sviluppo essenziale è tuttavia l’evento Cristo. Dio, in quanto destinatario della preghiera cristiana primitiva, in Gesú Cristo si è definitivamente comunicato e «reso visibile». Difficilmente Gesú Cristo è destinatario di preghiere neotestamentarie. Ciononostante egli è sottilmente presente in ogni preghiera. Egli è il Kyrios esaltato accompagnatore e mediatore della preghiera; risiede accanto a Dio in trono, sommo sacerdote che intercede per i suoi, luogo di rapporto con Dio, centro di rotazione, cardine di un cielo geocentrico, «Dio da Dio».
La preghiera probabilmente piú antica della cristianità è costituita dagli inni cristologici del Corpus paulinum. Sono inni che fanno da battistrada al senso della fede. Nella storia dell’infanzia del vangelo di Luca sono conservati salmi cristiani. Il Magnificat (Lc 1,46b-55) è stato composto, probabilmente, in antichi circoli giudeo-cristiani secondo modelli veterotestamentari, in particolare il cantico di Anna (cf. 1Sam 2,1-10). Il Benedictus (Lc 1,68-79) proviene dallo stesso contesto giudeo-cristiano del Magnificat e gli è vicino anche per la modalità teologica di composizione. L’Apocalisse di Giovanni disegna uno scenario apocalittico, nel quale sta decadendo un mondo che non ha meritato di essere. A questo caos terreno, il veggente Giovanni contrappone il Cielo, in cui si celebra una liturgia celeste nella quale risuonano numerosi inni.
In essi è il Redentore crocifisso, nel segno dell’Agnello immolato, a rendere leggibile il mondo, a definire nuovamente il Cielo e a indicare la direzione e il contenuto della preghiera (Ap 5,8-10). Dopo aver studiato le varie preghiere del NT, Backhaus tenta di entrare nell’anima di Paolo e di Giovanni. Paolo mostra tratti sconcertanti per noi: era un visionario. L’incontro con Cristo non fu il coronamento della sua spiritualità, ma il fondamento della sua esistenza cristiana. È Cristo che afferra la sua vita e la trasforma secondo i suoi criteri. Pregare per Paolo non è un’appendice alla vita reale: è la realtà stessa della vita (2Cor 5,17). Il racconto di Gesú fatto dal quarto vangelo può essere considerato secondo Backhaus una visione conclusiva d’insieme dei motivi incontrati attraversando il NT. Soprattutto conferisce loro un’impronta dovuta all’unità tra teologia e preghiera, caratteristica della percezione giovannea di Cristo. Nell’atto di lettura, il racconto di Cristo diventa immediatamente un incontro con Cristo.
Il capitolo conclusivo del libretto è intitolato «Dialogo». I due autori sintetizzano il cammino fatto attraverso le due parti della Bibbia sul tema delle «preghiere». Sotto molti aspetti l’AT e il NT si mostrano armonicamente all’unisono. La preghiera «neotestamentaria» rimane rivolta a Dio. Un tratto distintivo particolarmente evidente è che nel NT ritorna la vicinanza delle preghiere alla teologia. Le preghiere nel NT sia nelle loro caratteristiche fondamentali che nella loro forma, sono strettamente connesse a quelle dell’AT. Vi è quindi una continuità, perché la maggior parte delle preghiere del NT possono stare anche nell’AT, e una concentrazione, derivata dall’esperienza di novità del cristianesimo. Concludendo, il percorso sulle preghiere nella Bibbia fatto da Fischer e Backhaus è stato certamente veloce, ma non superficiale. Il lettore viene stimolato a rivolgersi di piú e in modo nuovo a Dio con la preghiera. Ed era ciò che gli autori si proponevano.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Partendo dalla constatazione che l’«atto di pregare e la preghiera attraversano la Bibbia dall’inizio alla fine» (p. 9) due brillanti esegeti, l’uno (Fischer), gesuita e ordinario di Antico Testamento a Innsbruck, l’altro (Backhaus), ordinario di Nuovo Testamento a Monaco, si cimentano in un serrato confronto per argomentare e riflettere sulle forme di preghiera presenti nell’uno e nell’altro Testamento, sui loro contesti letterari e narrativi, sulla loro importanza teologica e spirituale.
Anche se l’inventario risulta essere amplissimo (solo per l’Antico Testamento, Fischer – affermando però che se si tiene conto dei semplici accenni il numero sarebbe molto più alto – conta circa 470 preghiere), in realtà l’analisi dei testi mostra come il dinamismo della preghiera biblica comporti sempre un progressivo avvicinamento e una relazione con Dio. Questa dinamica si conferma nel Nuovo Testamento, secondo due caratteristiche messe ben in luce da Backhaus (pp. 191-192): la continuità (le preghiere neotestamentarie sono molto simili a quelle dell’Antico Testamento) e la concentrazione (l’esperienza della novità cristiana si esplica attraverso il riconoscimento che l’opera di Dio magnificata nell’AnticoTestamento è Gesù stesso).
Il libro, corredato di utilissimi indici scritturistico e bibliografico, è utilissimo per la meditazione e la preghiera, ma è anche un duttile strumento (sia sotto il profilo metodologico, sia sotto il profilo teologico) per approfondire un tema affascinante, che – al di là dello specifico religioso – ha una dimensione antropologica e culturale fondamentale.
Tratto dalla rivista "Parole di Vita" n. 1 del 2014
(https://www.queriniana.it/parole-di-vita)
Partendo dalla constatazione che l’«atto di pregare e la preghiera attraversano la Bibbia dall’inizio alla fine» (p. 9) due brillanti esegeti, l’uno (Fischer), gesuita e ordinario di Antico Testamento a Innsbruck, l’altro (Backhaus), ordinario di Nuovo Testamento a Monaco, si cimentano in un serrato confronto per argomentare e riflettere sulle forme di preghiera presenti nell’uno e nell’altro Testamento, sui loro contesti letterari e narrativi, sulla loro importanza teologica e spirituale. Anche se l’inventario risulta essere amplissimo (solo per l’Antico Testamento, Fischer – affermando però che se si tiene conto dei semplici accenni il numero sarebbe molto più alto – conta circa 470 preghiere), in realtà l’analisi dei testi mostra come il dinamismo della preghiera biblica comporti sempre un progressivo avvicinamento e una relazione con Dio. Questa dinamica si conferma nel Nuovo Testamento, secondo due caratteristiche messe ben in luce da Backhaus (pp. 191-192): la continuità (le preghiere neotestamentarie sono molto simili a quelle dell’Antico Testamento) e la concentrazione (l’esperienza della novità cristiana si esplica attraverso il riconoscimento che l’opera di Dio magnificata nell’AnticoTestamento è Gesù stesso). Il libro, corredato di utilissimi indici scritturistico e bibliografico, è utilissimo per la meditazione e la preghiera, ma è anche un duttile strumento (sia sotto il profilo metodologico, sia sotto il profilo teologico) per approfondire un tema affascinante, che – al di là dello specifico religioso – ha una dimensione antropologica e culturale fondamentale.
Tratto dalla rivista "Parole di Vita" n. 1 del 2014
(https://www.queriniana.it/parole-di-vita)
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39,00 €→ 37,05 € -
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