Migliaia di persone, ogni giorno, varcano la soglia della Basilica di San Francesco ad Assisi, il tempio che custodisce il corpo del Santo. In questo luogo unico al mondo, l'intensa spiritualità e le meraviglie dell'arte permeano il cammino del visitatore, suscitando emozioni profonde. La Basilica e l'annesso Sacro Convento hanno ospitato visite ufficiali e incontri riservati, messaggi pubblici e testimonianze private. In questo libro sono raccolti e raccontati alcuni di tali momenti, vissuti da personaggi famosi o da semplici donne, uomini e ragazzi arrivati fin qui per placare la loro ansia e cercare risposte non effimere ai loro interrogativi sul vivere. In un arco di tempo che copre cinquantuno anni (dal viaggio ad Assisi di papa Giovanni XXIII, il 4 ottobre 1962, a quello di papa Francesco, il 4 ottobre 2013), il lettore entra così nel cuore del francescanesimo attraverso gli occhi e le parole di persone - credenti o non credenti, ricche o povere, giovani o anziane - che sono state sempre accolte dalla comunità dei frati con il motto di Francesco d'Assisi "Il Signore ti dia pace": da Madre Teresa di Calcutta a Bruce Springsteen, da Michail Gorbaciov a Franco Zeffirelli, da Roberto Benigni a Renato Zero, da Andrea Bocelli a Shimon Peres, solo per citare alcuni dei protagonisti di queste pagine.
PREFAZIONE
di Gianfranco Ravasí
Questa, in realtà, non è una prefazione. Vuole, invece, essere semplicemente un ulteriore profilo tra i tanti che popolano le pagine di questo libro. Sarà, quindi, una sorta di autoritratto, accompagnato da una riflessione personale, così che nella galleria di figure che padre Enzo Fortunato ha disegnato possa collocarmi anch'io. Sono stato, infatti, più volte nella folla di pellegrini noti e ignoti che hanno superato la soglia della Basilica di San Francesco, sia nella chiesa superiore sia in quella inferiore, con gli stessi occhi incantati dalla bellezza dell'arte di Giotto e col cuore e la mente dominati dalla presenza di un Santo così straordinario e universale.
Non per nulla Dante, quando deve mettere in bocca a Tommaso d'Aquino la celebrazione di Francesco, non trova altro simbolo se non quello cosmico del Sole, colto nel picco estivo del suo splendore o nella mirabile iridescenza di un'aurora: «Nacque al mondo un sole / come fa questo tal volta di Gange» (Paradiso XI, 50-51); Assisi, allora, dovrebbe chiamarsi «Oriente» per l'ascesa di un astro così luminoso: «Non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente» (53-54). Guidata appunto da questa luce - che è il riverbero di quella di Cristo, così come il corpo del Santo ne fu l'icona vivente crocifissa, attraverso le stimmate - s'avanza ininterrottamente «una moltitudine immensa», simile a quella cantata nell'Apocalisse, «che nessuno potrebbe contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (7,9).
Per usare un'altra suggestiva immagine biblica, è come se fosse una «nube di testimoni» (Eb 12,1), nella quale ogni goccia è irradiata dalla luce di quel sole. Se vogliamo continuare la metafora, potremmo dire che padre Enzo fissa il suo ideale obiettivo narrativo su alcune di quelle gocce, cercando idealmente di ricomporle in un arcobaleno dai colori mutevoli e differenti. Sono alcuni dei numerosi volti dei pellegrini che hanno raggiunto, come me e come tanti altri uomini e donne, il grandioso complesso della Basilica e del Sacro Convento. Certo, ci sono visi che si sono affacciati nella storia della politica e negli schermi televisivi; altri che sono saliti alla ribalta della cronaca oppure si sono presentati davanti a sterminate platee di fan attratti dalle loro canzoni, dalla loro musica, dalle loro recite o dal loro sport; ci sono, poi, personaggi che sono stati al centro di vicende capitali di nazioni e imperi.
Si incontrano in questa sequenza straordinaria quattro Papi, a partire da Giovanni XXIII in quell'indimenticabile 4 ottobre 1962, per passare poi attraverso Giovanni Paolo II con le sue due giornate decisive per l'incontro tra le religioni del 27 ottobre 1986 e del 9 gennaio 1993, e approdare al 27 ottobre 2011 quando Benedetto XVI decise di ripetere il gesto del suo predecessore, coinvolgendo anche alcuni non credenti ugualmente attratti dalla luce di Francesco. E naturalmente, alla fine, ecco il Papa che ha scelto lo stesso nome del Santo di Assisi per delineare la fisionomia profonda del suo ministero. Eppure, i privilegiati di questa «nube di testimoni» agli occhi di Francesco sono gli anonimi, ossia la maggioranza in assoluto dei pellegrini di Assisi. Una massa enorme, fatta di persone semplici, di malati, di sofferenti, di poveri, di madri coraggiose, di padri preoccupati, di giovani disoccupati e così via, in una sequenza che è la quotidianità, povera e modesta, prediletta dal Santo.
Da quel giorno in cui abbracciò e baciò il lebbroso, simbolo di tutti gli emarginati della Terra, Francesco sta continuamente ritto qui nella sua patria ad attendere con le braccia spalancate tutte le persone con i cuori feriti, smarriti o in ricerca. Ed è per questo che anche le figure famose che popolano le pagine dei ritratti di padre Fortunato rivelano la loro fragile umanità, ponendosi spalla a spalla ai tanti innominati, ignoti e oscuri viandanti di Assisi. Alla Basilica, così come alle altre chiese francescane della città umbra, alla Porziuncola, a Santa Maria degli Angeli, a Santa Chiara, all'Eremo delle Carceri, potremmo applicare l'esclamazione che si legge in una delle testimonianze di questo libro e che riguarda uno spazio umile e sobrio del Sacro Convento: «Se quel parlatorio potesse veramente parlare, se potesse in qualche modo restituire tutte le voci che ha assorbito, dal povero al ricco, dal marginale allo statista, dalla rockstar all'uomo di fede!».
Paradossalmente, anche per me, i momenti più intensi che rimangono nello scrigno della memoria sono quelli in cui mi sono recato ad Assisi da pellegrino sconosciuto. Anche oggi, da cardinale, amico sincero e affezionato dei frati del Convento, l'esperienza più vivida ed emozionante che provo è quella della comune partecipazione alla mensa eucaristica nella chiesa inferiore o al pranzo frugale sulla nuda tavola di legno all'interno del vasto refettorio, accanto ai frati nella spontaneità, essenzialità e purezza dello spirito francescano. E il racconto a più voci che padre Enzo Fortunato ha dispiegato nella sua raccolta di testimonianze vuole appunto illustrare questo spirito autentico di Francesco. Esso unisce in sé tanti temi, dalla cristologia all'amore, dalla fraternità con l'intera umanità alla tenerezza, dall'apertura universale alla custodia del creato.
Tra questi e altri «colori» della spiritualità francescana, vorrei ora far brillare soltanto una piccola costellazione di tre parole tipiche dell'esperienza che si può vivere ad Assisi. La prima è insita nell'universalità stessa della figura di san Francesco, ossia il dialogo. Giovanni Paolo II e, sulla sua scia, Benedetto XVI e papa Francesco hanno reso Assisi l'emblema del confronto tra fedi, culture, tradizioni, etnie diverse. Anche per me il Cortile di Francesco, celebrato il 5 e 6 ottobre 2012, con il mio dialogo con il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, è rimasto un'esperienza straordinaria di incrocio armonico di visioni differenti, ma alte e coerenti dell'essere e dell'esistere.
Proprio come dice questo straordinario termine di matrice greca, dialogare è l'intrecciarsi (dià-) di due logoi, di pensieri, di sentimenti, di concezioni differenti, così che brilli in pienezza quella verità che è unica come il diamante, ma ha molte facce. Il contrappunto, come il duetto, in musica suppone proprio la diversità per creare consonanza, sintonia, grazia, bellezza, armonia. In questa luce san Francesco, che giunge fino a Damietta, in Egitto, nel 1219 per incontrare il sultano Malik al-Kamil, diventa non solo il grande patrono del dialogo interreligioso ma anche di quel «Cortile dei Gentili» ove i credenti e i non credenti si ascoltano e interloquiscono tra loro senza fondamentalismi, integralismi, arroganze, paure e rigetti, attuando in senso pieno quel simbolo spaziale presente nel tempio di Gerusalemme. Esso, appunto, recava il nome di «Cortile dei Gentili», cioè dei pagani, delle genti diverse da Israele, un luogo di primo confronto accanto all'area sacra del santuario di Sion, in attesa della prospettiva ulteriore cristiana secondo la quale «non c'è più giudeo né greco, schiavo o libero, maschio o femmina, ma tutti sono uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Il frutto che deriva da questo dialogo reca il nome della seconda stella che idealmente brilla nel cielo di Assisi e nelle pagine di questo volume, cioè l'incontro. La città di Francesco non è solo un «cortile», ove i pensieri, le parole, le speranze si intersecano tra loro: è anche un crocevia ove realtà e persone differenti si abbracciano e le mani si uniscono in un segno di pace e di operosità comune. Là si intuisce in modo diretto la verità di quanto scriveva un grande poeta inglese vissuto tra il Cinquecento e il Seicento, John Donne: «Nessun uomo è un'isola, completo in sé. Ciascuno di noi fa parte di un continente, è un pezzo di terraferma». Noi tutti, infatti, nonostante i sussulti di ogni becero razzismo, apparteniamo a un orizzonte generazionale unico, l'umanità, che è il «continente» di cui siamo una porzione. Invano erigiamo le frontiere artificiose delle razze, delle classi, delle caste sociali, culturali e religiose: prima di tutto e sopra tutto noi siamo figli di Adamo, deboli e gloriosi al tempo stesso, capaci di infamie ma anche di eroismo e santità.
I personaggi che tra poco scorreranno davanti ai nostri occhi, attraverso l'evocazione di padre Enzo, sono l'attestazione di questa umanità che, pur nella molteplicità dei caratteri e delle esperienze, può incontrarsi in sintonia di ideali e di opere. Si ripete in pratica il miracolo divino della creazione come lo esprimeva un antico aforisma rabbinico: «Gli uomini con un unico conio producono monete tutte uguali, il Creatore con un unico conio [l'essere creature umane] fa gli uomini e le donne tutti uguali e tutti diversi».
Ma c'è un'ultima stella che si accende nel cielo di san Francesco e di tutti coloro che si mettono in viaggio per raggiungere la sua città. Essa si riflette già nel titolo suggestivo del libro: Vado da Francesco.
È il cammino, vocabolo tipico per descrivere gli antichi pellegrinaggi verso i santuari ove si custodivano i corpi degli apostoli e dei martiri (celebre è il «cammino di Santiago»). Ora sappiamo che la via è urta metafora della vita, che ha anch'essa una partenza, un percorso e una meta. Il grande pensatore francese Montaigne nei suoi Saggi confessava: «A chi mi domanda ragione dei miei viaggi solitamente rispondo che so bene quello che fuggo, ma non quello che cerco». È qualcosa di vero anche per alcuni protagonisti di queste pagine. Essi sono andati ad Assisi come visitatori, attratti forse dalla curiosità o da un interesse generico o dalla fama e bellezza del luogo. Alla fine, però, sono divenuti anch'essi pellegrini. Il loro viaggio si è trasformato in una ricerca, l'ingresso nella Basilica è stato un varcare la soglia del mistero per penetrare in un orizzonte inatteso e inesplorato.
Per loro si è compiuto, in chiave spirituale, quello che un grande romanziere del secolo scorso, Robert Musil, annotava nel suo capolavoro, L'uomo senza qualità: «Non è vero che il ricercatore insegue la verità, è la verità che insegue il ricercatore». Già san Paolo, scrivendo ai cristiani di Roma, si stupiva lui stesso di una frase del profeta Isaia che, per altro, anticipava la stessa vicenda personale dell'Apostolo: «Il profeta osa dire: Io — dice il Signore — mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano, ho risposto anche a quelli che non mi invocavano» (Rm 10,20). Ecco, allora, le tante epifanie interiori e persino esteriori che sono testimoniate in questo libro. È a una di esse, quella vissuta da un famoso personaggio dello spettacolo — la cui voce ascolterete direttamente nella pagina a lui dedicata — che vorrei affidare la conclusione di questa mia testimonianza.
Egli aveva lasciato scritto questo messaggio dopo il suo «cammino» spirituale ad Assisi, un messaggio costruito su quattro virtù francescane che sono come i punti cardinali dell'Assisi dell'anima, virtù che si possono comporre nell'acronimo PACE: «La Povertà genera Amore, la Carità conduce all'Estasi. Se metti insieme le quattro iniziali delle virtù, ne nasce un'altra, PACE, che vola senz'ali verso le porte del Paradiso».
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Vado da Francesco
Premessa - Lo spirito di Assisi e il Sacro Convento
In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo radunato, augurava la pace, dicendo: «Il Signore vi dia la pace!» (2Ts 3,16). Questa pace egli annunciava sempre sinceramente a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui. In questo modo molti che odiavano insieme la pace e la propria salvezza, con l'aiuto del Signore abbracciavano la pace con tutto il cuore, diventando essi stessi figli di questa pace e desiderosi della salvezza eterna. - TOMMASO DA CELANO, Vita del beato Francesco, 23, FF 359
Negli anni, il Sacro Convento d'Assisi — una comunità che esprime una forte testimonianza religiosa e che ha il compito di custodire il corpo di san Francesco — è diventato progressivamente un luogo di incontro e di dialogo, assumendo sempre più un ruolo diplomatico «sui generis».
Non è stato forse Francesco d'Assisi il primo vero «ambasciatore» — non di uno Stato, ma di una visione del mondo e della vita — a sfidare, nel 1219, i tempi di crociate, violenze e miserie, recandosi dal sultano d'Egitto, Malik al-Kamil, per contrastare la guerra ed esaltare la convivenza fra i popoli?
Quasi otto secoli dopo, Assisi, culla e tomba di Francesco, è stata al centro di un evento diplomatico universale molto particolare: quattro incontri dei leader di tutte le religioni (negli anni 1986, 1993, 2002, 2011) per la pace nel mondo. Quattro appuntamenti inediti — certamente lo è stato il primo, frutto dell'intuizione magistrale di Giovanni Paolo II —, impensabili fino ad allora, destinati a entrare nella Storia dell'umanità, cambiandola per sempre. Quattro.