Identità dissolta. Il cristianesimo, lingua madre dell'Europa
(Saggi)EAN 9788804587408
Il mancato riconoscimento delle comuni radici cristiane dei popoli europei può condurre alla disgregazione della stessa Unione, proprio mentre la crisi di valori rende più urgente un’alleanza a tutto campo per dare un futuro ai giovani e a tutto il Continente. Questo il nucleo dell’ultimo libro di mons. Rino Fisichella – rettore dell’Università Lateranense e presidente della Pontificia Accademia della Vita – presentato il 21 aprile 2009 alla presenza del ministro della Cultura Sandro Bondi e del segretario generale dell’Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione) Enrico Letta.
Mons. Fisichella spiega come ci sia stato un tempo «in cui l’identità dei popoli che costituivano l’attuale Unione Europea era evidente, chiara e subito riconoscibile»: un’identità nata dai pellegrini cristiani, come osservò Wolfgang Goethe, i quali, viaggiando per pregare, scambiavano anche conoscenze tecniche, usi, idee. «Oggi non è più così. Negli ultimi decenni si è creata progressivamente una condizione di dissolvimento di questa identità, che appare drammatica in quanto a essere in gioco è la sorte delle giovani generazioni».
Soffocata dall’edonismo, dalla tecnolatria e da un crescente individualismo, l’identità secolare «si è sciolta come neve al sole». E la stessa Unione Europea, negando le sue radici cristiane, rischia di rimanere senza radici tout court e di smarrire il senso della sua sopravvivenza. Soprattutto le ultime generazioni, ammonisce il rettore della Lateranense, rischiano di perdere i riferimenti necessari per esprimere appieno un ideale di libertà vera, fatta di rispetto per la vita, dignità della persona, responsabilità e senso critico. Riferimenti che vengono in primis dalla religione, ma pure da un dialogo costante tra credenti e laici.
Mons. Fisichella nega di essere un pessimista e propone un confronto aperto e senza pregiudizi sui temi etici e i beni indisponibili, nonché una «alleanza formativa» tra famiglia, istituzioni civili e comunità cristiana finalizzata alla trasmissione della tradizione. Urge però – conclude – un chiarimento previo sul senso di concetti come “vita”, “dignità della persona”, “libertà”, “ragione”, “laicità”, “integrazione”. E accettare che «la formazione deve accogliere in sé l’istanza religiosa», principale garanzia dei valori fondanti dell'Europa. (Emanuele Gagliardi)
Tratto dalla rivista Radici Cristiane n. 46 - Giugno 2009
L’autore in questo suo originale lavoro sottolinea la complessità e l’ambiguità che caratterizzano le discussioni sull’Europa di oggi già nel titolo stesso del suo saggio, dove assimila la cultura alla lingua ed eleva il cristianesimo in quanto cultura a sistema modellizzante primario, a lingua madre dell’Europa. Scelta sicuramente felice e in piena consonanza con il vivace dibattito aperto dalle riflessioni dei semiologi russi V.V. Ivanov, Ju.M. Lotman, B.A. Uspenskij e altri sulla stretta relazione esistente tra lingua e cultura. La distribuzione della materia nel testo mette subito il lettore nella condiziona di individuare il nucleo primigenio da cui nasce e prende vita l’identità dell’Europa, facilitato in questo anche da una corposa riflessione intorno al senso di una storia altra, quella di un’Europa che attualmente sta vivendo una sorta di lento dissolvimento spirituale. Orbene, con questo suo scritto Fisichella si prefigge non solo di affermarne la presenza, ma anche di rendere maggiormente evidente l’essenza stessa della natura di codesta identità. A tal fine egli ripercorre la storia della civiltà europea nella quale popoli migratori di stirpi diverse, quasi tutte provenienti dal nord Europa e dall’Asia settentrionale, si sono scontrati, confrontati e infine assimilati sotto il comune denominatore di una sana vocazione cristiana, fortemente condivisa, nel tempo, dalla totalità dei popoli riemersi, pian piano, dalla dissoluzione dell’Impero Romano. Lo studio si fonda su un’argomentazione vera e reale. Alla base della nascita e della crescita spirituale e culturale dell’Europa di oggi c’è la cristianizzazione, in tempi diversi, di tutti i suoi popoli e le relative loro culture autoctone. E se questo è vero, è anche vero che il cristianesimo è stato, è, e sarà, l’elemento portante e incancellabile dell’identità europea e il punto di partenza privilegiato da cui far iniziare la ricerca della nostra specifica identità continentale. Questo implica, come ci suggerisce lo stesso autore, la riscoperta di quel senso etico, propriamente europeo, che investe il senso morale di ciascuna delle sue nazionalità. La relazione è di tutta evidenza: il cristianesimo sta ai paesi Europei come l’islamismo sta ai paesi arabi, o come il buddismo sta alla Cina o l’induismo all’India. E questo ci pare essere un punto fermo sul quale c’è poco da discutere. La sua riflessione sottolinea proprio, anche se in forma più articolata, questa nozione di verità. Il suo scritto non è un trattato sul cristianesimo né la sola testimonianza di un proprio personale convincimento né una trattazione apologetica della fede cristiana della quale Rino Fisichella è un eminente rappresentante. Tenendosi agilmente lontano dai tecnicismi retorici, in questa sua riflessione egli affronta e cerca solo di dimostrare, a nostro avviso riuscendoci, la “questione del fondamento” dell’Europa e se questo “fondamento” sia riconducibile al cristianesimo. Lo svolgimento diacronico della sua ricerca è vivacizzato da copiose annotazioni e argomentazioni di carattere storico, teologico, filosofico, etico e giuridico che costituiscono, considerate le fonti, già di per se stesse la prova provata di quel senso primariamente cristiano su cui ancora continua a fondarsi l’identità dell’Europa di oggi. Le ragioni dell’altro hanno anch’esse una forza logico-argomentativa che non può essere ignorata. Ma, intanto, ci si chiede in quali registri culturali si faccia valere, con tanta evidenza, il senso dell’alterità e in riferimento a quali tipi di problematicità codesta alterità sia realmente riconducibile. Secondo l’autore è impensabile potere affermare che l’Europa di oggi avrebbe l’identità che ha se non ci fosse stato il collante culturale del cristianesimo. La ricerca storica presente nel testo non è fine a se stessa, ma è caratterizzata da un approccio realistico ai fatti dietro ai quali, talvolta, la verità fa solo capolino. Particolarmente evidente è la cura e l’oggettività con cui l’autore osserva il mondo e ciò che vi accade. A questa oggettività fa da contrappasso l’aspetto soggettivo, emotivo, che lo vede interprete e al tempo stesso giudice imparziale dei dati storici. La lettura che egli fa della storia è già una meditazione sul “perché” degli eventi stessi e ha il pregio di stimolarci alla ricerca dei principi costitutivi che hanno fatto dell’Europa un orizzonte spirituale di alta civiltà per tutto il mondo occidentale. E non solo! Alieno, al presente, da qualsivoglia monismo culturale o confessionale, il nostro continente, ieri come oggi, continua serenamente a confrontarsi con culture diverse dalla propria in maniera equilibrata e costruttiva. Attenta nell’ascolto e attiva nella ricezione, la composita e complessa realtà europea, pur nella sua apparente identità dissolta, è tanto solidamente radicata nella propria storia, ormai millenaria, da non temere contraccolpi di alcun genere. E l’autore va anche oltre. Non si tratta per lui di presentare un luminoso quadro storico-culturale dell’Europa, né di fare un panegirico delle sue virtù teologali. Ciò cui l’autore è interessato è di dimostrare e di affermare con forza che l’essenza dell’identità europea è nel cristianesimo e che esso è, al tempo stesso, suo principio costitutivo non solo spirituale, ma anche culturale. Ed è proprio questa “spiritualità” che fa problema e fa discutere. Fa problema perché si tratta di uno “spazio spirituale” che è rimasto nel tempo fedele a se stesso, ai propri principi, alla propria dottrina, alla propria identità. Fa discutere perché viene vissuto, fortunatamente solo da certe minoranze, come “spazio” di libertà negata e/o come “spazio” di libertà da rivendicare. Dunque, l’idea di cristianesimo di cui l’autore si fa portavoce e che mette a fondamento della nascita di una cultura europea fortemente monolitica va molto al di là dell’idea di un cristianesimo inteso nel suo valore strettamente confessionale. Infatti, a tale proposito egli si esprime in questi termini: «Il cristianesimo […] s’inserisce nelle culture e nelle società non distruggendo il bene di ciò che trova, frutto della saggezza e dell’intelligenza dei popoli ma rinnovandolo e indirizzandolo perché sfoci verso la pienezza della verità» (p. 21). Quindi, l’Europa sociopolitica ed il suo cristianesimo non sono entità separabili l’una dall’altra. Se qualche volta il cristianesimo è stato interpretato come portatore di una cultura di valori di censura o di cesura, ciò è avvenuto per una sorta di meccanismo di difesa messo in atto da coloro che non sono riusciti a fare propri i suoi più alti valori assiologici che si sintetizzano, in ultimo, nel concetto di persona e dell’essere un cristiano. L’autore si richiama spesso al concetto di persona che è implicato ed è implicito nella nozione stessa di identità cristiana. Tuttavia, se il concetto di persona è universale, esso non può essere vissuto come universalmente identico a se stesso in quanto formalmente dipendente dal testo e dal contesto culturale da cui trae la propria univoca, significativa peculiarità. Quindi, la persona e la sua storia sono i dati da cui partire per arrivare a una corretta comprensione del tutto dell’identità europea. Il tono esortativo del saggio si rivolge a coloro che, dimentichi di quanto appena detto sopra, tentano, assurdamente, di frammentare l’Europa in questa o quell’Europa. E ciò non riguarda solo una certa Europa, come quella cristiana o quella laica o quella di altre confessioni. La storia dell’Europa implica di diritto e di fatto il concetto di popoli, i popoli dell’Europa del Nord, dell’Europa orientale, dell’Europa occidentale e dell’Europa mediterranea. Il concetto di un’Europa laica è assai convenzionale e non dà ragione né teorica né pratica della negazione dell’esistenza di un’incontestabile identità spirituale tra tutti i popoli che costituiscono l’antico continente. La questione dell’identità dissolta coincide in gran parte con lo smarrimento della coscienza, quella privata e quella pubblica. A questo proposito l’autore ci fa notare che «Tolto il concetto di persona, si allontana anche quello della sua inviolabilità e sacralità […] Ne deriva la pretesa di imporre il diritto individuale alla società nella sua interezza e la conseguente distruzione dei modelli sui quali l’Occidente si è venuto a fondare. L’imposizione di alcuni diritti individuali induce a improntare la società alla volontà del singolo, vanificando di conseguenza il concetto stesso di persona come relazione» (p. 30). Le eventuali risposte fanno capo al concetto di persona e alla sua natura essenzialmente relazionale e sociale. Lo smarrimento di questa identità relazionale può perfino arrivare a mettere in discussione il concetto stesso di esistenza che viene percepita come negazione dell’intrinseca natura relazionale e come affermazione del proprio contrario, la triste solitudine. Ciò comporta un’implicita negazione dell’esistenza di Dio, ma, guarda caso, non del suo concetto. Le argomentazioni dell’autore trovano riscontro veritativo proprio nelle riflessioni filosofiche non lontane dai nostri tempi e orientano il lettore verso alcune proposte del pensiero ebraico del secolo XX che, grazie ai contributi della Stein, di Buber e di Lévinas, sviluppa un inequivocabile senso metafisico dell’identità della persona come identità necessariamente relazionale. In definitiva, l’autore di questo saggio, di fronte alla crisi dell’identità europea, sostiene la tesi di un concetto di persona che è essenzialmente veicolo di verità. La verità logica degli uomini, accolta nella verità ontologica divina, si esprime nel senso relazionale con l’altro. L’apertura trascendentale all’alterità è la legge dell’identità della persona. Un altro tema interessante trattato dal nostro autore e legato al concetto di identità è quello che attiene alla distinzione tra etica e morale, sfere nelle quali la persona pensa ed agisce. Infatti, l’autore ci ricorda che «quando si parla di “etica” non si ha bisogno di aggiungere alcuna specificazione. L’etica è etica sic et simpliciter. Distinta dall’etica è la “morale”. Con questo termine si indica l’agire della persona consequenziale alla sua fede. In questo senso esiste una morale cattolica, luterana, musulmana ed ebrea […] Non necessariamente le due si contrappongono, anzi; tuttavia non si identificano. Se l’etica possiede principi che sono universali per la forza della ragione che li produce, la morale cattolica possiede principi universali per la verità rivelata da Gesù Cristo, che ha valore universale. La prima si accoglie tramite la ragione, la seconda per mezzo della fede. L’etica mostra la via della felicità, la morale quella della salvezza» (pp. 81-82). Quindi, esiste una relazione tra i due termini che deve essere riconosciuta come “fondamento”, ma ciascuno di essi possiede una natura propria che lo contraddistingue peculiarmente. Si tratta di termini che sono interpretabili sul piano dell’equivocità o dell’univocità. E ciò è causa di falsi problemi o di false verità. Il bene comune è proprio l’oggetto della volizione da parte della persona ed è anche l’espressione, sul piano pragmatico, del suo relazionarsi all’altro. Sulla linea di un approfondimento della sfera pragmatica in cui la persona pensa ed agisce, l’autore allarga il contesto in cui riposa il concetto di persona. Infatti, codesto concetto è percepito, oggi, come un “concetto sopravvissuto”, sopravvissuto alla storia, ma anche a quella parte di storia privata in cui maggiormente si scavano i solchi profondi della solitudine. La coscienza storica è fondamentalmente coscienza dell’esperienza, nella quale il senso del contingente non è affatto separato dal senso del necessario. La persona non può non confrontarsi con la storia di un privato devastato in cui essa non è più un ente inviolabile. Ed è a questo proposito che l’autore del saggio ripropone la necessità di una riflessione più consapevole sulla legge naturale, che «non è un’invenzione cattolica, come sostiene chi cerca di liquidare sommariamente la questione per non affrontare nei termini dovuti l’importanza e l’attualità del tema. Dietro questa espressione si cela il processo di maturazione della ragione umana […] Le prime esperienze filosofiche, d’altronde, sono legate proprio alle domande riguardanti la natura. Prima di qualsiasi altra questione, la ragione ha dovuto cercare di rispondere all’interrogativo su cosa fosse la physis, la natura» (p. 105). E a questo proposito ci pare intelligente l’invito che l’autore ci fa di ritornare a rileggere i testi di Fisica e di Metafisica di Aristotele, dove è possibile cogliere la prima definizione di natura, che è un principio, una causa del movimento e della quiete. Insomma, la natura è intesa in riferimento a tutto ciò che esiste di per sé e non per accidente. Quindi, essa indica tutto ciò che viene generato, che nasce e che muore. Ciò che ha forma e sostanza è racchiuso nel termine natura. Si tratta di un realismo metafisico che costituisce il fondamento del diritto naturale. Il tentativo riuscito dell’autore è quello di svincolare il senso equivoco del termine “natura” dal contesto della legge naturale che riguarda la realtà costitutiva delle cose. Un altro aspetto interessante di codesto studio, che attiene sempre al piano pragmatico-giuridico, è la riflessione sul diritto di matrice teologica cui, molto di rado, si fa riferimento in sede di analisi del concetto di diritto. Secondo la letteratura biblica, «il diritto non si limita alla sola legge, ma è concepito come un ordine che Dio stesso ha posto nel creato» (p. 106). La particolare attenzione che l’autore mette su questa definizione è una sorta d’invito a concentrarci sull’essenza del diritto e sul fatto che esso è fonte di conoscenza. Si tratta di un ordine reale duplice delle cose che sono e dell’essere delle cose. Da ciò deriva l’essere-giusto su cui si fonda la giustizia. È chiaro che il diritto naturale e il tema della giustizia percorrono spesso la medesima via. Invece, meno evidente è il fatto che altre nozioni di diritto non prendano in considerazione il tema centrale della giustizia. A supporto di quanto afferma il nostro autore, possiamo ricordare che già nel Novecento, sebbene il diritto naturale abbia accolto molte variazioni eterogenee rispetto al suo sviluppo originario, Giuseppe Capograssi ha trattato diffusamente proprio il tema della persona giuridica e dell’esperienza comune. Secondo la dottrina dell’esperienza giuridica di questo autore, il vero principio del diritto è nell’interiorità, nella volontà del soggetto e nell’agire perfetto in cui si esprime la vita. In conclusione, è palese che il saggio si ponga come obiettivo di evidenziare, attraverso il concetto cristiano di persona e la validità del diritto naturale, la solida identità culturale, religiosa e spirituale di un’Europa che è ciò che è in quanto figlia del pensiero cristiano. Non riconoscere ai popoli europei questo specifico fondamento spirituale è un subdolo modo di negare le proprie origini e la propria specifica identità storica.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2009
(http://www.pul.it)
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