Il titolo di questo volume trasferisce all’opera di san Giovanni della Croce la definizione («Divino Cantico») che egli dava del biblico Cantico dei Cantici. Per secoli questo sacro poema era stato commentato per offrire ai credenti splendidi «trattati» sul mistero della Chiesa e sulla mistica unione dell’anima con Dio.
Poi, sul finire del XV secolo, la cristianità si era lacerata e la teologia aveva cominciato a indurirsi nelle controversie e nelle sottigliezze esegetiche, al punto da dimenticare (o perfino temere) l’antico Cantico, cuore della Scrittura. Giovanni della Croce assunse allora la missione di commentarlo in forma nuova, anche poetica (per la prima volta!): così il testo sacro rivisse nel suo Cántico Espiritual, un poema che «arde di passione più di qualsiasi poesia profana», ma in cui si sente aleggiare «lo Spirito di Dio che è passato di qui, abbellendo e santificando tutto» (Damaso Alonso). In seguito, commentando ripetutamente il proprio Cantico (e aggiungendovi altri poemi), egli poté annunciare alla Chiesa la centralità assoluta dell’amore sponsale che Dio offre a ogni singola creatura umana. Un Dio «inaudito» che, dalle pagine del mistico spagnolo, può parlarci così: «Io sono tuo e per te; sono felice di essere come sono, per essere tuo e donarmi a te» (L 3,6).
L’Autore di questo volume, ripercorrendo tutto l’itinerario spirituale offerto da san Giovanni della Croce (a partire da una nuova traduzione dei suoi poemi), ha inteso sottolineare con rara insistenza che nessun dramma o problema ecclesiale può essere davvero compreso e vissuto, se ci si colloca a un’altezza inferiore di questa e a una minore profondità. Il carisma del Santo carmelitano (e di chi si fa suo discepolo) è tutto in questa esperienza offerta come principio pedagogico: quando l’uomo si lascia attrarre dal Cuore di Dio, egli va, contemporaneamente, verso la massima profondità del proprio cuore e verso i più lontani confini, là dove ogni creatura umana può essere riconosciuta e accolta.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
L'identità dei Santi ci sfugge ogni voltah ci c e ci sfugge il senso, lo scopo e la bellezza della loro missione ecclesiale.
Ed è questo il limite di molte biografie e, perfino, di molti volumi dedicati a esporre la dottrina spirituale di certi grandi Santi, o a sviscerarne la vita, le opere e gli scritti dal punto di vista storico: la loro missione ecclesiale viene troppo facilmente trascurata.
A noi sembra che anche san Giovanni della Croce abbia sofferto di tale trascuratezza, nonostante la mole imponente degli studi che gli sono stati finora dedicati.
Se è vero che, nei secoli XVl-XVII, il modello agiografico corrente colloca il Santo in un alone meraviglioso, nel quale contano soprattutto i miracoli e gli avvenimenti straordinari, è ovvio che il nostro Santo non sia potuto sfuggire a questa barocca rappresentazione. Anzi, lui meno di ogni altro, dato il carattere «assolutizzante» della sua esperienza e della sua dottrina.
A questo stile agiografico — che abbiamo ereditato fino a qualche decennio fa — si è reagito, in seguito, con un gusto ritrovato per le esatte ricostruzioni storiche e per le approfondite analisi psicologiche, sociologiche e antropologiche.
Forse a entrare in crisi, ora, dovrebbe essere la nostra persuasione, tutta moderna, che i Santi debbano per forza risultare imitabili.
Ciò è già parzialmente contraddetto dal fatto che lo Spirito Santo distribuisce i suoi doni «a ciascuno in particolare, come piace a Lui» (Cor 12,11), ma rischia ancor più di farci dimenticare che, nella vita dei Santi, una sola cosa è proposta davvero all'imitazione di tutti i fedeli indistintamente: l'obbedienza e l'amore con cui hanno aderito alla volontà di Dio.
Resta invece inimitabile il dono che ognuno personalmente riceve, secondo la missione a cui Dio lo destina nella Chiesa e nel mondo.
Questa missione non va «imitata», va solo compresa e accolta.
Gli antichi agiografi, che si accingevano, con entusiasmo, a tuffare i loro eroi in un continuo bagno soprannaturale, forse non ce li rendevano imitabili (e forse ci scoraggiavano dal credere che la santità fosse una «vocazione universale»), ma per lo meno trasmettevano abbondantemente la persuasione che Dio aveva agito nella Chiesa e l'aveva inondata di grazia e di messaggi.
Purtroppo, però, si presta assai meno attenzione all'elemento unificatore di tutte le prospettive.
Possiamo esporlo qui brevemente, a partire da uno sguardo «trinitario».
Nel Figlio divino e incarnato, Persona e Missione coincidono: non solo perché la coscienza di Gesù è interamente riempita dalla missione che il Padre gli ha affidato; non solo perché Egli la realizza «fino al perfetto compimento» (a prezzo cioè della sua stessa vita); ma soprattutto perché la missione terrena è il riflesso della sua «eterna generazione», del suo eterno «procedere» dal Padre. Il Figlio, anche sulla terra, è «relazione» col Padre che lo genera e lo invia, disponendo totalmente di Lui.
La volontà del Padre celeste è un disegno eterno e universale di benedizione e di salvezza (è Dio che «opera tutto in tutti»! ). È il Padre che «ci ha scelti già prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,4). Tale «paterna e divina volontà» contiene dunque in sé la santità di ogni singolo uomo e la prevede al modo di una «esatta e obbediente occupazione» del posto che Egli ci ha assegnato da tutta l'eternità.
Lo Spirito Santo infonde, poi, in ogni credente il dovere e la passione di «edificare il corpo di Cristo».