Verso la metà del XII secolo, un ancora per noi sconosciuto autore - probabilmente un monaco cisterciense - raccolse in un libro tutto il sapere allora noto, tanto dei classici quanto della tradizione cristiana, sulla cruciale questione di cosa l'anima sia, quale sia la sua essenza, quali le sue facoltà, quale il suo rapporto con il corpo e quale quello con la sua parte più alta - lo spirito, appunto - in relazione con Dio. Per molto tempo creduto opera di sant'Agostino, di cui in effetti utilizza molte pagine, il Liber de spiritu et anima godette di grandissima fortuna, fornendo il materiale necessario alla discussione sull'anima, in un tempo in cui la nuova scienza di impronta aristotelica cominciava ad affacciarsi sulla scena culturale dell'Occidente. Come si può leggere qui nell'Appendice, lo stesso Tommaso d'Aquino lo cita, con approvazione o no, moltissime volte. Il fine che l'anonimo autore si proponeva, infatti, era senza dubbio quello di consegnare al suo tempo una sintesi delle conoscenze disponibili sull'argomento, quasi una sorta di manuale, ma anche, e probabilmente in primo luogo, quello di far presente la ricchezza di esperienza che proveniva dalla tradizione mistica monastica, cui era ben nota la realtà spirituale dell'anima, che rischiava di andare perduta. Il Liber de spiritu et anima, qui presentato nella prima traduzione italiana, è perciò di grande importanza, tanto storica, quanto filosofica. In un tempo quale quello attuale, in cui le neuroscienze ci pongono di fronte al cosiddetto body-mind problem e a tematiche assai simili a quelle affrontate in questo straordinario testo, mentre anima e spirito sembrano concetti obsoleti, il suo interesse è infatti duplice: imprescindibile sotto il profilo della storia della scienza e delle idee, ma anche sotto quello, ben più importante, della conoscenza di sé stessi.