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La nuova evangelizzazione dell'Europa
-La strategia di Giovanni Paolo II
(96)EAN 9788887307382
Esaurito
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DETTAGLI DI «La nuova evangelizzazione dell'Europa»
Tipo
Libro
Titolo
La nuova evangelizzazione dell'Europa - La strategia di Giovanni Paolo II
Autore
Benoist Alain de
Traduttore
Giaccio G.
Editore
Arianna Editrice
EAN
9788887307382
Data
2002
Collana
96
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Recensione di Ugo Sartorio della rivista Studia Patavina
Leggere il volumetto di de Benoist nel tempo in cui la chiesa, dopo le celebrazioni del venticinquesimo di pontificato di Giovanni Paolo II, comprende con sempre maggiore chiarezza l’apporto dato alla storia contemporanea da questo grande figura, è un modo efficace (coinvolgente e realistico) per conoscere da vicino e meglio valutare uno degli obiettivi principali perseguiti dal papa polacco nel suo lungo e perseverante servizio all’annuncio della fede. L’espressione “nuova evangelizzazione”, infatti, può essere considerata cifra sintetica del grande sforzo missionario del «primo papa dei tempi postmoderni» (p. 81).
In verità si tratta di un libro pubblicato in Francia nel 1992 e tradotto in italiano (a nostro giudizio opportunamente) con una succosa Postfazione dell’autore: qui, con grande schiettezza, si dice che le cose a distanza di un decennio (ma anche a partire dal 1978, se si vuole) non sono cambiate di molto; semmai si è rinforzata la tesi secondo la quale il progetto di “nuova evangelizzazione” non ha sortito gli effetti desiderati, e in qualche modo l’«atleta di Dio» (così l’autore appella il neopontefice Karol Wojtyla), ora «vecchio ricurvo dalle mani tremanti», si trova dopo un quarto di secolo a ribadire – con la medesima urgenza ma certamente su tempi più lunghi e forse con altre strategie – la necessità dell’impresa. «Diciamolo subito: il suo progetto non si è realizzato. Malgrado le folle radunate in occasione dei suoi viaggi, durante le Giornate mondiali della Gioventù (GMG), a Parigi e a Roma, o ancora in occasione del Giubileo del Duemila, la “rievangelizzazione” delle masse sulla base dell’“identità cristiana dell’Europa” resta in sostanza un pio desiderio. I dati essenziali che caratterizzavano la situazione venticinque anni fa sono sempre gli stessi: crollo della pratica, confusione della credenza, bricolage di una “spiritualità à la carte” su un mercato religioso mondializzato» (ibid.). E se il rimando diretto dell’autore, soprattutto per le statistiche e gli autori di riferimento, è all’ambito francese, egli si dimostra buon conoscitore del contesto europeo e internazionale sia a livello religioso che politico-culturale (garantisce su questo punto l’argomentata pubblicazione dello stesso Le sfide della postmodernità. Sguardi sul terzo millennio, Arianna Editrice, Casalecchio [BO] 2003: si consiglia, come assaggio, il capitolo Gli orizzonti della mondializzazione, pp. 263-289).
Perché, dunque, l’ambiziosa strategia di Giovanni Paolo II riassumibile nell’espressione (fin troppo sfruttata e quindi ormai frusta) “nuova evangelizzazione” non si sarebbe realizzata? Innanzitutto de Benoist coglie bene, nelle intenzioni del papa, la specificità della “nuova evangelizzazione” come restituzione dell’Europa alla fede cristiana (cristiana-cattolica per la precisione, visto che non mancano critiche circa una sua volontà di ri-cattolicizzazione del vecchio continente). La “nuova evangelizzazione” riguarderebbe innanzitutto i paesi di antica cristianità, quindi l’Europa in primis, ormai in balia di un ateismo pratico «né dottrinale, né aggressivo, né, soprattutto, militante, ma che si nutre al contrario di indifferenza e incuria» (p. 14). Troppi, però, i contrasti che hanno osteggiato e alla fine impedito tale progetto: il permanere di una forte ambiguità sul significato di “identità cristiana dell’Europa”; il mancato decollo dell’ecumenismo (particolarmente sofferto e conflittuale, a tutt’oggi, risulta essere il rapporto con le chiese ortodosse, nonostante l’impiego massiccio della metafora dei “due polmoni”); la crisi (endemica!) delle relazioni giudeo-cristiane; il faticoso (per certi versi fallimentare) dialogo con l’islam; i difficili rapporti con una tarda modernità che sempre più, e quel che conta in maniera a-problematica, prende congedo dal cristianesimo. «Si potrebbe dire – puntualizza l’autore guardando avanti con lucidità e per contestualizzare su uno sfondo più ampio il proprio discorso – che il mondo postmoderno non sarà né cristiano né anticristiano, ma semplicemente postcristiano» (p. 95), e che nel nuovo contesto la fede, più che come riferimento, sarà vissuta prevalentemente come opzione individuale con poca o nulla incidenza nella sfera pubblica, declassata quindi da credenza a opinione. La religione diventerà (ma lo è già in buona parte) un bene di consumo tra altri, quindi un bene consumato senza adesione o con adesione limitata (all’insegna del belonging without believing e del believing without belonging), e dal quale ci si attende più felicità che salvezza: comfort interiore, benessere psiso-fisico, effetti terapeutici per diffusi e imprecisati malesseri esistenziali, dal momento che ai nostri giorni «il movente primordiale della credenza non è più l’al di là, ma l’identificazione di sé in questo mondo» (p. 93). E soprattutto sarà isolato da ogni interferenza il binomio «Dio e io»: tutto è da giocare sul filo diretto, senza intermediari, senza l’appesantimento dell’istituzione e dei suoi in-credibili rappresentanti. Secondo alcune letture che de Benoist riporta, in particolare quella conosciuta di Marcel Gauchet, il cristianesimo sarebbe la «religione dell’uscita dalla religione» (cf. Le désenchantement du monde, Gallimard, Paris 1985), per cui – forzando verso il paradosso – ci troveremmo oggi in un mondo completamente cristianizzato (a motivo della recezione, per altro spuria, vale a dire in traduzione laica, di alcuni valori centrali per il cristianesimo stesso) e proprio per questo sempre più indifferente alla religione cristiana e sempre meno abitato da cristiani.
In sostanza, ritornando alla figura di Giovanni Paolo II, mentre il papa viene plaudito (con i dovuti, quasi sempre restrittivi, “distinguo”) quando si fa paladino di cause che la modernità ha già (o crede di avere già) recepito (pace, giustizia, diritti umani, ecc.), egli non trova udienza quando – sul fondamento della fede – insiste sul registro etico-morale (divorzio, omosessualità, nascite fuori dal matrimonio, manipolazione genetica, ecc.). Vi è grande distanza tra la sua buona immagine e la sua debole autorità, tra il suo efficace impatto mediatico e la sua reale influenza. Ogni interferenza con la sfera privata viene letta come attentato alla libertà individuale, così come ogni richiamo al peso specifico dell’istituzione religiosa a livello politico è sospettato di volontà egemonica, e in senso generale come incapacità della chiesa di coesistere con una società pluralista. Secondo qualcuno il vecchio sogno di restaurazione dell’Europa cristiana (ribattezzato come “il sogno di Compostella”, cf. R. Luneau [ed.], Le rêve de Compostelle, Centurion, Paris 1989) è duro a morire, e a tratti si riaccende, ma senza esito, anzi con il risultato di mostrare una chiesa sempre più impotente perché incapace di fare presa sulla realtà, sulle scelte di vita personali e collettive.
Senza fornire ricette de Benoist, dopo aver fotografato accuratamente la situazione socio-religiosa dell’Europa contemporanea (alle credenze, alle religioni, al cristianesimo, che non viene privilegiato rispetto ad altre esperienze religiose, si chiede – ancora secondo Gauchet – di trasmettere senso alla vita collettiva, restando però nell’ordine dell’opzione individuale: qui il cortocircuito!), e aver colto gli snodi più significativi e problematici del progetto di “nuova evangelizzazione” del papa polacco, al quale riconosce di portare con grande vigore il messaggio della fede, conclude avanzando una sua ipotesi: nel lacerante e diffuso disagio che la nostra civiltà occidentale sta vivendo, si cercano in tutti i modi vie percorribili per uscire dal non senso. Realisticamente la chiesa non sembra capace di rispondere ad una domanda di senso in modo diverso dalla produzione di una norma, il che è proprio ciò che la società civile non vuole da essa. Altre agenzie, al contempo, non risparmiano alla chiesa un’agguerrita concorrenza, proponendo per parte loro un’identificazione alternativa. «Il problema è di sapere all’insegna di quale idea il mondo sceglierà di uscire dal non senso» (p. 74), visto che una situazione di stallo permanente è impensabile.
Il giudizio sul libro è presto detto: esso fornisce al lettore informazioni di prima mano ed è caratterizzato da una notevole lucidità interpretativa. Registra senza mezzi termini la sconfitta sul campo del progetto di “nuova evangelizzazione”, e lo fa evitando i toni drastici e patetici. Riconosce la grandezza morale di Giovanni Paolo II e la sua inesausta passione evangelizzatrice. Nonostante i suoi molti limiti dichiara la chiesa realtà vitale e determinante per il futuro dell’umanità: «Tutto induce a credere che la chiesa cattolica conserverà un posto non trascurabile nel paesaggio religioso del XXI secolo» (p. 89). Probabilmente non insiste a sufficienza sui molti segnali che indicano una chiesa non ripiegata pur se minoritaria, non rassegnata anche se non sempre all’altezza delle sfide culturali del proprio tempo, non disposta comunque a lasciarsi censurare o emarginare. E questo non per una visibilità a tutti i costi, non per qualche interesse personale, ma per fedeltà ad una missione destinata a rimanere aperta e rivolta ai singoli, ai popoli e alle culture. Giovanni Paolo II, araldo della “nuova evangelizzazione”, ha seminato con generosità, perché questo nostro tempo è soprattutto tempo di semina: altri raccoglieranno! Ogniqualvolta si giudica l’avanzamento della causa del Vangelo unicamente con il criterio del successo e dei tempi brevi dentro i quali umanamente il successo si dispiega, si è fuori bersaglio. Ciò non toglie che è un buon servizio alla fede e al suo annuncio ogni serio impegno (come quello di de Benoist, qui considerato) per fare in modo che la teologia e la pastorale guardino in faccia la realtà, particolarmente quella che non corrisponde ai nostri desideri più legittimi e certamente non premia la quantità e la qualità degli sforzi messi in atto, che non si lascia circoscrivere dentro il perimetro dei nostri sofisticati progetti pastorali, che scivola lontano sfuggendo ad ogni confronto, che mette in fuorigioco le migliori strategie di evangelizzazione, che da una parte rimanda all’inutilità evangelica del servizio anche zelante al Vangelo e dall’altra rinvia alla croce, luogo per eccellenza di autentica evangelizzazione.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
In verità si tratta di un libro pubblicato in Francia nel 1992 e tradotto in italiano (a nostro giudizio opportunamente) con una succosa Postfazione dell’autore: qui, con grande schiettezza, si dice che le cose a distanza di un decennio (ma anche a partire dal 1978, se si vuole) non sono cambiate di molto; semmai si è rinforzata la tesi secondo la quale il progetto di “nuova evangelizzazione” non ha sortito gli effetti desiderati, e in qualche modo l’«atleta di Dio» (così l’autore appella il neopontefice Karol Wojtyla), ora «vecchio ricurvo dalle mani tremanti», si trova dopo un quarto di secolo a ribadire – con la medesima urgenza ma certamente su tempi più lunghi e forse con altre strategie – la necessità dell’impresa. «Diciamolo subito: il suo progetto non si è realizzato. Malgrado le folle radunate in occasione dei suoi viaggi, durante le Giornate mondiali della Gioventù (GMG), a Parigi e a Roma, o ancora in occasione del Giubileo del Duemila, la “rievangelizzazione” delle masse sulla base dell’“identità cristiana dell’Europa” resta in sostanza un pio desiderio. I dati essenziali che caratterizzavano la situazione venticinque anni fa sono sempre gli stessi: crollo della pratica, confusione della credenza, bricolage di una “spiritualità à la carte” su un mercato religioso mondializzato» (ibid.). E se il rimando diretto dell’autore, soprattutto per le statistiche e gli autori di riferimento, è all’ambito francese, egli si dimostra buon conoscitore del contesto europeo e internazionale sia a livello religioso che politico-culturale (garantisce su questo punto l’argomentata pubblicazione dello stesso Le sfide della postmodernità. Sguardi sul terzo millennio, Arianna Editrice, Casalecchio [BO] 2003: si consiglia, come assaggio, il capitolo Gli orizzonti della mondializzazione, pp. 263-289).
Perché, dunque, l’ambiziosa strategia di Giovanni Paolo II riassumibile nell’espressione (fin troppo sfruttata e quindi ormai frusta) “nuova evangelizzazione” non si sarebbe realizzata? Innanzitutto de Benoist coglie bene, nelle intenzioni del papa, la specificità della “nuova evangelizzazione” come restituzione dell’Europa alla fede cristiana (cristiana-cattolica per la precisione, visto che non mancano critiche circa una sua volontà di ri-cattolicizzazione del vecchio continente). La “nuova evangelizzazione” riguarderebbe innanzitutto i paesi di antica cristianità, quindi l’Europa in primis, ormai in balia di un ateismo pratico «né dottrinale, né aggressivo, né, soprattutto, militante, ma che si nutre al contrario di indifferenza e incuria» (p. 14). Troppi, però, i contrasti che hanno osteggiato e alla fine impedito tale progetto: il permanere di una forte ambiguità sul significato di “identità cristiana dell’Europa”; il mancato decollo dell’ecumenismo (particolarmente sofferto e conflittuale, a tutt’oggi, risulta essere il rapporto con le chiese ortodosse, nonostante l’impiego massiccio della metafora dei “due polmoni”); la crisi (endemica!) delle relazioni giudeo-cristiane; il faticoso (per certi versi fallimentare) dialogo con l’islam; i difficili rapporti con una tarda modernità che sempre più, e quel che conta in maniera a-problematica, prende congedo dal cristianesimo. «Si potrebbe dire – puntualizza l’autore guardando avanti con lucidità e per contestualizzare su uno sfondo più ampio il proprio discorso – che il mondo postmoderno non sarà né cristiano né anticristiano, ma semplicemente postcristiano» (p. 95), e che nel nuovo contesto la fede, più che come riferimento, sarà vissuta prevalentemente come opzione individuale con poca o nulla incidenza nella sfera pubblica, declassata quindi da credenza a opinione. La religione diventerà (ma lo è già in buona parte) un bene di consumo tra altri, quindi un bene consumato senza adesione o con adesione limitata (all’insegna del belonging without believing e del believing without belonging), e dal quale ci si attende più felicità che salvezza: comfort interiore, benessere psiso-fisico, effetti terapeutici per diffusi e imprecisati malesseri esistenziali, dal momento che ai nostri giorni «il movente primordiale della credenza non è più l’al di là, ma l’identificazione di sé in questo mondo» (p. 93). E soprattutto sarà isolato da ogni interferenza il binomio «Dio e io»: tutto è da giocare sul filo diretto, senza intermediari, senza l’appesantimento dell’istituzione e dei suoi in-credibili rappresentanti. Secondo alcune letture che de Benoist riporta, in particolare quella conosciuta di Marcel Gauchet, il cristianesimo sarebbe la «religione dell’uscita dalla religione» (cf. Le désenchantement du monde, Gallimard, Paris 1985), per cui – forzando verso il paradosso – ci troveremmo oggi in un mondo completamente cristianizzato (a motivo della recezione, per altro spuria, vale a dire in traduzione laica, di alcuni valori centrali per il cristianesimo stesso) e proprio per questo sempre più indifferente alla religione cristiana e sempre meno abitato da cristiani.
In sostanza, ritornando alla figura di Giovanni Paolo II, mentre il papa viene plaudito (con i dovuti, quasi sempre restrittivi, “distinguo”) quando si fa paladino di cause che la modernità ha già (o crede di avere già) recepito (pace, giustizia, diritti umani, ecc.), egli non trova udienza quando – sul fondamento della fede – insiste sul registro etico-morale (divorzio, omosessualità, nascite fuori dal matrimonio, manipolazione genetica, ecc.). Vi è grande distanza tra la sua buona immagine e la sua debole autorità, tra il suo efficace impatto mediatico e la sua reale influenza. Ogni interferenza con la sfera privata viene letta come attentato alla libertà individuale, così come ogni richiamo al peso specifico dell’istituzione religiosa a livello politico è sospettato di volontà egemonica, e in senso generale come incapacità della chiesa di coesistere con una società pluralista. Secondo qualcuno il vecchio sogno di restaurazione dell’Europa cristiana (ribattezzato come “il sogno di Compostella”, cf. R. Luneau [ed.], Le rêve de Compostelle, Centurion, Paris 1989) è duro a morire, e a tratti si riaccende, ma senza esito, anzi con il risultato di mostrare una chiesa sempre più impotente perché incapace di fare presa sulla realtà, sulle scelte di vita personali e collettive.
Senza fornire ricette de Benoist, dopo aver fotografato accuratamente la situazione socio-religiosa dell’Europa contemporanea (alle credenze, alle religioni, al cristianesimo, che non viene privilegiato rispetto ad altre esperienze religiose, si chiede – ancora secondo Gauchet – di trasmettere senso alla vita collettiva, restando però nell’ordine dell’opzione individuale: qui il cortocircuito!), e aver colto gli snodi più significativi e problematici del progetto di “nuova evangelizzazione” del papa polacco, al quale riconosce di portare con grande vigore il messaggio della fede, conclude avanzando una sua ipotesi: nel lacerante e diffuso disagio che la nostra civiltà occidentale sta vivendo, si cercano in tutti i modi vie percorribili per uscire dal non senso. Realisticamente la chiesa non sembra capace di rispondere ad una domanda di senso in modo diverso dalla produzione di una norma, il che è proprio ciò che la società civile non vuole da essa. Altre agenzie, al contempo, non risparmiano alla chiesa un’agguerrita concorrenza, proponendo per parte loro un’identificazione alternativa. «Il problema è di sapere all’insegna di quale idea il mondo sceglierà di uscire dal non senso» (p. 74), visto che una situazione di stallo permanente è impensabile.
Il giudizio sul libro è presto detto: esso fornisce al lettore informazioni di prima mano ed è caratterizzato da una notevole lucidità interpretativa. Registra senza mezzi termini la sconfitta sul campo del progetto di “nuova evangelizzazione”, e lo fa evitando i toni drastici e patetici. Riconosce la grandezza morale di Giovanni Paolo II e la sua inesausta passione evangelizzatrice. Nonostante i suoi molti limiti dichiara la chiesa realtà vitale e determinante per il futuro dell’umanità: «Tutto induce a credere che la chiesa cattolica conserverà un posto non trascurabile nel paesaggio religioso del XXI secolo» (p. 89). Probabilmente non insiste a sufficienza sui molti segnali che indicano una chiesa non ripiegata pur se minoritaria, non rassegnata anche se non sempre all’altezza delle sfide culturali del proprio tempo, non disposta comunque a lasciarsi censurare o emarginare. E questo non per una visibilità a tutti i costi, non per qualche interesse personale, ma per fedeltà ad una missione destinata a rimanere aperta e rivolta ai singoli, ai popoli e alle culture. Giovanni Paolo II, araldo della “nuova evangelizzazione”, ha seminato con generosità, perché questo nostro tempo è soprattutto tempo di semina: altri raccoglieranno! Ogniqualvolta si giudica l’avanzamento della causa del Vangelo unicamente con il criterio del successo e dei tempi brevi dentro i quali umanamente il successo si dispiega, si è fuori bersaglio. Ciò non toglie che è un buon servizio alla fede e al suo annuncio ogni serio impegno (come quello di de Benoist, qui considerato) per fare in modo che la teologia e la pastorale guardino in faccia la realtà, particolarmente quella che non corrisponde ai nostri desideri più legittimi e certamente non premia la quantità e la qualità degli sforzi messi in atto, che non si lascia circoscrivere dentro il perimetro dei nostri sofisticati progetti pastorali, che scivola lontano sfuggendo ad ogni confronto, che mette in fuorigioco le migliori strategie di evangelizzazione, che da una parte rimanda all’inutilità evangelica del servizio anche zelante al Vangelo e dall’altra rinvia alla croce, luogo per eccellenza di autentica evangelizzazione.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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