Le omelie battesimali e mistagogiche di Teodoro di Mopsuestia
(Convegni ricerche atti)EAN 9788886212656
Le Omelie catechetiche e mistagogiche di Teodoro ci sono giunte attraverso una versione siriaca, ritrovata in un manoscritto, il Mingana Syr 561. Sono state pubblicate in ottima traduzione inglese, a Cambridge nel 1932-33 (Commentary of Theodore of Mopsuestia on the Nicene Creed; Commentary... on the Lord's Prayer and on the Sacraments of Baptism and the Eucharist) dallo scopritore Alphonse Mingana (1878-1937), al quale si deve la vasta e preziosa ‘Mingana Collection' di manoscritti cristiani (660 in siriaco, 270 in arabo) e musulmani (circa 2000), custodita in Inghilterra presso l'Orchard Learning Resource Centre, University of Birmingham. Quindici anni più tardi, a cura di Raymond Tonneau in collaborazione con Robert Devreesse, vide la luce la riproduzione fotostatica dell'originale siriaco con la traduzione francese a fronte (Les Homélies catéchétiques de Théodore de Mopsueste, Città del Vaticano 1949; ristampa 1981).
Con il fortunato ritrovamento del manoscritto e le successive traduzioni in lingua inglese e francese, si sono moltiplicati gli studi sull'opera del vescovo mopsuesteno, che ne hanno rivisitato e adeguatamente rivalutato il pensiero (soprattutto in ambito cristologico), consentendone una miglio-re e piú ponderata comprensione.
Anche la letteratura siriaca dell'epoca patristica e tardoantica può annoverare, negli ultimi decenni, cultori competenti, anche se rari, il cui lavoro non è rimasto annidato solo nelle aule universitarie o nei consessi specialistici; anzi, esso ha consentito una diffusione a piú ampio raggio del pensiero teologico-esegetico-ascetico degli scritti siriaci con la pubblicazione di traduzioni in lingue moderne.
Il lettore del presente volume è avvertito fin dalle prime righe della Presentazione ad opera del curatore, che si tratta di traduzione italiana completa, in un unico volume, delle Omelie teodoriane, compiuta non sul manoscritto originale, bensí sulla traduzione francese del Tonneau-Devreesse. Impresa benemerita, certamente, che consegna nelle mani di molti un tesoro omiletico-catechetico, teologico-sacramentale e mistagogico di grande rilevanza anche per l'oggi. E bene ha fatto l'autore, docente di Catechetica presso l'Istituto Teologico «S. Tommaso» di Messina, a premettere nell'Introduzione, anche se brevemente, i contenuti di teologia e liturgia, che il lettore incontrerà nel percorso delle sedici Omelie.
Queste sono tradotte di seguito, con i soli riferimenti biblici nelle note a piè di pagina. Ma sono dell'opinione che Flavio Placida abbia le competenze necessarie e coltivi nell'animo il desiderio di una futura edizione degnamente e ampiamente annotata - i titoli della Nota bibliografica ne dimostrano le possibilità, facendo ben sperare - al fine di raggiungere un vasto pubblico di persone che intendono sempre piú rendersi consapevoli dell'eredità che ci hanno lasciato i padri e gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del cristianesimo: un tracciato di strade sicure sul piano del credo, un metodo di insegnamento e di comunicazione affascinante del messaggio evangelico, una esperienza cosciente della ritualità sacramentale e una partecipazione convinta ai misteri cristiani, un coinvolgimento protagonista degli uditori-attori nella storia della salvezza che ‘si compie' negli uomini di ogni epoca.
I destinatari del ‘corpus' omiletico teodoriano sono molti, se ne consideriamo anche l'evidente attualità: per la traditio symboli, con la spiegazione degli articoli del credo (hom. I-X); per la traditio orationis dominicae, che pone sulle labbra della comunità dei cristiani la preghiera del Padre nostro (hom. XI); per il significato simbolico-spirituale dei riti del battesimo (hom. XII-XIV) e dell'eucaristia (XV-XVI).
Opera da leggere, accanto ad altri analoghi ‘corpus' catechetici che ci narrano di comunità ecclesiali alle quali pastori solerti ed efficaci (Cirillo, Crisostomo, Ambrogio, ecc.) parlavano con la ragione e con il cuore, coinvolgendo testa ed emotività, coniugando fede e prassi sacramentale, non lasciando nulla di intentato per costruire, con l'adesione ai contenuti dottrinali e ai misteri celebrati, cristiani maturi e chiese testimonianti.
Una ricchezza da riscoprire, ora che la traduzione italiana ne facilita l'accesso.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2008, nr. 3
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Quando, circa quarant'anni or sono, mi trovavo nei banchi dell'Università ad ascoltare le lezioni di patrologia del prof. Calogero Riggi, Teodoro di Mopsuestia presentato come uno dei Padri più importanti dell'Oriente Cristiano. L'illustre docente, dopo un breve cenno ai tratti di personalità caratteristici di questo vescovo ed al suo impegno deciso e appassionato nelle dispute teologiche del tempo, ne metteva in risalto la profondità del pensiero all'interno della scuola esegetico-teologica antiochena ed illustrava poi la vicenda della condanna postuma come 'nestoriano'.
Le omelie 16 battesimali e mistagogiche di Teodoro di Mopsuestia, scritte in greco, ci sono pervenute in una versione siriaca scoperta nel 1932. Esse hanno consentito non solo una ricostruzione più esatta dell'autentico pensiero teologico di questo vescovo, ma anche una conoscenza meglio documentata delle modalità in cui avveniva l'iniziazione cristiana nell'ambiente antiocheno del V secolo. L'interesse di alcuni di questi testi per il liturgista è stato colto soprattutto dopo lo studio di H. Lietzmann (Die Liturgie des Theodor von Mopsuestia, Berlino 1933). In particolare le omelie 12, 13, e 14, riferite alla liturgia battesimale, meritano un'attenta lettura insieme alle due che si riferiscono all'Eucaristia (15 e 16).
Lo sforzo compiuto da Flavio Placida, in quanto traduttore del testo francese, è stato indubbiamente considerevole per la necessità di piegare la lingua italiana moderna allo stile di uno scrittore piuttosto libero nella sintassi, ma molto attento e scrupoloso sul piano lessicale. Di fronte ad opere di questo genere e di questo livello l'unico rammarico dello studioso viene dalla mancanza del testo originale greco. Esso avrebbe effettivamente creato le condizioni per «proiettare a ritroso il lettore, rendendolo quasi coevo di quell'assemblea di uditori presenti all'insegnamento teologico-catechetico del vescovo di Mopsuestia» (secondo il desiderio espresso dal curatore a pag. 3 della presentazione). Occorre riconoscere a Placida il merito di aver reso questo rammarico assai improbabile in chi si accosta all'opera per finalità teologiche e catechetiche.
C. C.
(RL 2008)
L’opera che presentiamo è semplice perché non ha e non vuole avere la pretesa di essere la scoperta di un testo ignoto, come neanche la presentazione in veste critica di un’opera datata, ma la traduzione dal francese dell’insieme delle omelie battesimali di Teodoro di Mopsuestia (350-428), vescovo a cavallo tra IV e V sec., offerte al lettore italiano in un unico volume. È evidente che l’autore non ambisca ad altro che a fornire un testo utile per l’avvio di una ricerca, intorno al pensiero di un controverso autore quale, appunto, Teodoro di Mopsuestia, vescovo della città omonima della Cilicia dal 392 al 428. Quando egli muore la sua persona è stimata dai suoi contemporanei «per la sua scienza, ortodossia e acume teologico» (cf. 14).
Accogliendo come meritevole di lode il lavoro di Placida, nessuno dichiara vano o inutile il lavoro di eminenti studiosi o patrologi o filologi; tuttavia, opere di questo tipo offrono la possibilità di farsi un’idea su un autore potendo conoscere il suo pensiero, la sua sensibilità teologica, le contingenze che ne hanno determinato gli interventi, che spesso emergono dai suoi scritti. Placida stesso mette in sufficiente evidenza nella sua Introduzione il grande lavoro operato dai traduttori francesi per fornire ai lettori un’edizione critica dei testi originali delle omelie conservate in versione siriaca e scoperte nel 1932 (pp. 20 ss.). La traduzione francese, cui l’autore del nostro libro fa riferimento è quella pubblicata nel 1949 da R. Tonneau e da R. Devresse, dopo che già nel 1932-1933, a opera del A. Mingana si poté beneficiare della traduzione inglese. Viene ricordato, inoltre, come la scoperte delle omelie del Vescovo della Cilicia, in originale siriaco abbiano «contribuito alla rinascita dell’interesse per lo studio della dottrina del Vescovo di Mopsuestia» (p. 21). Ritengo un bene, pertanto, che un uditorio più vasto di lettori possa frequentare direttamente uno scrittore ecclesiastico per l’acquisizione o l’affinamento di un metodo, di uno stile, come anche per la comprensione del ruolo della parola di Dio e del rapporto che la teologia nascente andava maturando rispetto a quest’ultima nel forgiarsi di categorie e forme espressive che potessero agevolare una comprensione dei misteri della fede. Le questioni non sono irrilevanti se si considera la difficoltà, ancora attuale, di ridonare alla teologia una sua propria identità, in un contesto di razionalità sminuita all’interno del quale la stessa teologia si trova spaesata quasi intimorita e succube di alcuni saperi apparentemente espressione di una razionalità trionfante e infallibile.
Quella che il Vescovo mopsuesteno esercita nell’indagare i misteri della fede, seppur nell’orizzonte di una scuola teologica, che fu quella di Antiochia, è una razionalità aperta al trascendente che fonda la sua speculazione sugli asserti della fede e della tradizione e ne cerca la comprensione aiutata da un’esegesi, in ambito antiocheno, più letterale. Di quanto vado affermando ne sarà riprova in modo del tutto particolare la lettura della I e della II Omelia, dedicate proprio alla fede trinitaria che in modo evidente e incontrovertibile per Teodoro sono il frutto della rivelazione neotestamentaria e dunque della parola, dell’opera e della persona di Cristo. Il tema trinitario è presente trasversalmente in tutte le omelie in un modo tale da poter fornire alla teologia attuale quell’orizzonte vitale tanto oggi anelato.
Da illustri studiosi considerato «il più significativo di tutti i rappresentanti dell’ambiente antiocheno» (M. Simonetti), si riscontra in questo vescovo dal temperamento impetuoso, dalla solida preparazione culturale, profondamente coinvolto nelle dispute teologiche, il desiderio di conciliare e porre in equilibrio le istanze di quelle che allora erano le scuole principali e contrapposte di Alessandria e Antiochia. Questa preoccupazione lo si può maggiormente notare nella sua produzione a carattere cristologico, dove Teodoro, più avanti comunemente considerato l’ispiratore e il maestro di Nestorio (ca. 381- ca. 451), si trova ad affrontare il delicato tema della costituzione di Cristo, quando ancora Calcedonia non s’intravede (451) ed Efeso neppure è prossimo (431). Siamo nelle fasi preparatorie di quello che sarà il ritorno della riflessione dei Padri, dopo Costantinopoli (381), sulla persona di Cristo.
All’interno di questo intricato contesto, su cui evidentemente non ci possiamo soffermare, va collocata la predicazione di Teodoro, il quale, con una certa probabilità, produsse le sedici omelie raccolte in questo volume unico, in un tempo pasquale, non precisato e verosimilmente quando era ancora sacerdote (383-392), anche in considerazione del fatto che ad Antiochia era prassi che la formazione prebattesimale fosse impartita dal presbitero e non dal vescovo. Le prime dieci omelie riguardano l’introduzione degli aspiranti al battesimo nei misteri della fede, in modo particolare la Trinità, di cui si è già scritto qualcosa, e la cristologia, su cui ci soffermeremo per un altro breve momento; le ultime sei, sono a carattere mistagogico e riguardano il Padre nostro (omelia XI), il Battesimo (Omelia XII-XIV) e l’Eucaristia (Omelia XV-XVI).
Evidentemente nelle omelie si scorge una certa imprecisione di linguaggio; dato indiscutibile. Tuttavia, penso che non vada misconosciuta, come sottolinea Placida, una notevole chiarificazione del pensiero di Teodoro grazie al ritrovamento di questi scritti. Di notevole interesse è l’Omelia VI, la quale affronta la tematica sintetizzata dal Credo nel passaggio sulla nascita di Gesù dalla Vergine Maria e la crocifissione sotto Ponzio Pilato, a sottolineare la vera umanità del Cristo. Il dato evidente è l’utilizzo sistematico di Giovanni e Paolo per spiegare ciò che i Padri conciliari riassunsero in pochissime ma significative battute. La nascita umana e la vera morte sono l’attestazione evidente della verissima umanità assunta dal Verbo. Si tratta di un’umanità non solo vera, quanto assunta in modo irreversibile, è resa vero strumento di salvezza: per «correggere la nostra natura», egli si sottomise alla legge della nostra natura umana, cioè l’assunse in tutto (cf. Omelia VI,2). L’associazione dell’uomo al mistero di Dio in Cristo, per mezzo del battesimo, non è altro che la reale possibilità donata all’uomo grazie all’unione inscindibile della natura divina e di quella umana nell’unico Figlio del Padre generato prima di tutti i secoli (cf. Omelia, VIII,10; Omelia XII,6). Le Omelie VI-VIII, lette insieme, donano del pensiero cristologico di questo antico autore un quadro assai differente da quanto molta manualistica propone. I tratti amabili dell’esposizione del suo pensiero rendono i suoi testi assai piacevoli al lettore. Teodoro ha chiara la distinzione delle nature e, al contempo, l’unità della persona assumente. Questo dato lo rende in pieno accordo con le future prese di posizioni conciliari.
Quello del catecheta Placida è un validissimo strumento di studio e di approssimazione a numerose tematiche teologico-catechetiche e storico-dogmatiche attuali. Ritengo che si possa accogliere con toni benevoli l’opera di chi ha dato con questo libro la possibilità di avere di Teodoro di Mopsuestia un’immagine molto viva di pastore che prepara alla ricezione dei sacramenti istruendo, ammaestrando, introducendo al mistero – è la mistagogia – per mezzo della spiegazione della Parola e della fede della Chiesa – il Credo – che la interpreta. La lezione che emerge dalla lettura di queste omelie ritengo sia utilissima da un punto di vista della prassi pastorale odierna in materia di iniziazione ai misteri della fede. Riallacciare legami forti tra Parola, sacramenti e vita penso sia una delle priorità più grandi del nostro cristianesimo e della nostra teologia. In questo cammino l’approfondimento della parola del Signore come unica porta di accesso al mistero, da leggere necessariamente alla luce della fede della Chiesa e con l’ausilio della teologia, ritengo sia colta tra le righe, una delle maggiori indicazioni contenutistiche ricavabili dalla lettura del libro. Penso utile concludere con alcune parole assai significative del Vescovo della Cilicia: «Per una coscienza ribelle anche una moltitudine di parole non avrebbe alcun profitto. Al contrario, di fronte, a una buona volontà, anche delle parole brevi sono sufficienti a dimostrare la verità, soprattutto quando esse sono prese dalla testimonianza dei libri santi».
Tratto da "Letteratura liturgica" n. 5/2009 della "Rivista liturgica"
(http://www.rivistaliturgica.it)
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Prof. Stefano Coccia il 21 gennaio 2013 alle 15:15 ha scritto:
Libro molto interessante con un ottima introduzione ed inquadratura del tempo e del personaggio.
L'ho usato per la mia tesi universitaria. Non conosco l'autore ma è stato davvero bravo.