Pagine di storia contemporanea. La Santa Sede alla Conferenza di Helsinki
EAN 9788882725372
«Senza Casaroli non si sarebbe arrivati ad Helsinki», rispose Kurt Waldeim – che fu Segretario Generale dell’Onu tra il 1972 ed il 1981 –, ad una precisa domanda di Luigi Accattoli (in 30 giorni, 30 marzo 1986, 56 e s.) sul significato della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), che fu convocata per la prima volta ad Helsinki il 3 luglio 1973, con i rappresentanti (eccetto l’Albania) di tutti i paesi europei i quali si riunirono nuovamente lì, il 1° agosto 1975, per la firma dell’Atto finale della CSCE. In effetti, solo la scelta di un papa come Paolo VI, che aveva optato per il «confronto come strumento di pacificazione», assieme al grande valore umano e culturale di un suo valido collaboratore come l’allora monsignore Agostino Ca-saroli, fecero sì che la Santa Sede partecipasse, per la prima volta full member in un consesso di Stati dopo il Congresso di Vienna del 1815, per rivendicare la li-bertà religiosa per tutti, credenti e non credenti, offrendo un decisivo contributo all’affermazione del diritto alla libertà di pensiero e di coscienza, strumento pre-zioso oltrecortina nelle mani non solo dei dissidenti russi, ma anche dei promoto-ri di Carta ’77 nell’allora Cecoslovacchia e di Solidarnosc in Polonia. «Nessuno, forse, più della Santa Sede è interessato al capitolo dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo (e non soltanto al paragrafo relativo alla li-bertà della religione). Ciò corrisponde alla sua natura e all’oggetto della sua mis-sione», ribadì del resto lo stesso Casaroli a neppure un anno di distanza dalla conclusione della Conferenza. E aggiunse ancora: «Ma risponde anche alla per-suasione della importanza fondamentale che la piena e fedele osservanza, da par-te di tutti gli stati europei, degli impegni assunti a tale riguardo, ha per l’instaurazione di quel clima di fiducia e di serenità che è la condizione indispen-sabile per una reale sicurezza e tranquillità in Europa» (A. Casaroli, Nella Chiesa per il mondo. Omelie e discorsi, Rusconi editore, Milano 1987, 368 e s.). Fu dunque considerevole il ruolo svolto dalla Santa Sede in quel consesso e uno studio attento ed oltremodo documentato sul ruolo del Vaticano negli equilibri europei viene ora da Giovanni Barberini, un giurista di grande spessore che, all’insegnamento universitario del diritto ecclesiastico e del diritto canonico, ha unito significative esperienze di lunghi soggiorni nell’allora Europa comunista ed ha partecipato dal 1987 alle riunioni CSCE, poi OSCE. Non è la prima volta, del resto, che Barberini affronta queste tematiche; già nel 1987 (Aggiornamenti sociali, 4, 307-326) si era soffermato su La partecipa-zione della Santa Sede alla conferenza di Helsinki e significative pagine ha poi dedicato, in questo decennio, alla Ostpolitik vaticana, dando conto di spogli di carte di archivio, di nuovi documenti, tutti capaci di descrivere un ordito più am-pio che viene proprio da queste pagine. Egli, in queste chiare pagine, parte dall’analisi dei motivi di interesse della Santa Sede per l’Europa e per la sua sicurezza, quindi focalizza tutta la sua atten-zione sui lavori della Conferenza di Helsinki, dedicando pagine importanti a «i lavori della seconda fase a Ginevra» ed alla «definizione dei testi per la libertà religiosa» (89-104) ed osservando, tra l’altro: «Si può affermare che per la Santa Sede la conferenza di Hensinki rappresentò, fra l’altro, una conferma alla effica-cia della linea di ostpolitik già attuata e, nello stesso tempo, l’occasione per aper-ture e relazioni con gli Stati dell’est i quali via via cominciarono a far cadere ri-serve e diffidenze nei confronti del Vaticano» (111-112). «I seguiti della Conferenza di Helsinki» occupano quindi l’intero terzo capi-tolo, nelle cui pagine si riflette anche sul ruolo di Papa Wojty?a (125-129), sulla Conferenza di Madrid, sul X anniversario dell’Atto solenne, per poi lasciare spa-zio, nel quarto capitolo, allo studio del passaggio «dalla CSCE all’OSCE» (163-186), affrontando, con contesto amplissimo dei rapporti diplomatici e nell’ambito di un’estrema conflittualità regnante nell’epoca contemporanea, il tema del «diritto/dovere di ingerenza umanitaria» (186-192). Lo studioso ricorda il Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2000 ed osserva come «gli interventi intendevano dare una scossa all’opinione pubblica internazionale, ri-chiamare la necessità di rispettare regole etiche e ricordare il dovere della Comu-nità internazionale e in particolare dell’ONU di intervenire efficacemente» (191). E dunque, in questo libro si ripercorre logicamente e cronologicamente «il ruolo che la Santa Sede ha avuto nell’Europa divisa in blocchi contrapposti, il peso che essa ha avuto nella caduta dei regimi comunisti e nella definizione dei rapporti con l’Unione Sovietica: dalla scelta di Papa Pio XII di non dialogo con i regimi comunisti, alla scelta di Paolo VI , al ruolo di Giovanni Paolo II che, pro-tagonista del Concilio Ecumenico Vaticano II proprio sui temi della libertà reli-giosa, da «principale rappresentante dell’ambiente culturale di Cracovia, dava molta fiducia al processo di Helsinki e riteneva che la diffusione dell’Atto Fina-le, avrebbe rappresentato un argomento a favore delle istanze di libertà, un soste-gno indiretto alla dissidenza nei confronti dei regimi autoritari, che mortificava-no, insieme ai diritti dell’uomo e alle sue libertà fondamentali, anche la libertà religiosa». Ecco spiegata la perfetta sintonia tra Wojty?a e Casaroli, efficacemente raffi-gurata nella foto di copertina de Il martirio della pazienza, che il cardinale pia-centino pubblicò per Einaudi nel 2000. Correlando le fonti più disparate, descrivendo appieno il clima della guerra fredda di quegli anni e ben documentando il ruolo dell’Unione Sovietica circa la partecipazione della Santa Sede alla Conferenza, l’autore conferma l’importanza del ruolo della diplomazia vaticana in quella temperie, sia perché seppe inserirsi sulla scena internazionale in un momento particolarmente difficile e delicato, tanto da confermare appieno le aspettative, dell’Unione sovietica innanzi tutto, circa il ruolo che la Santa Sede avrebbe avuto nelle relazioni internazionali per la distensione e la pace; sia per la formulazione dello storico «settimo principio del decalogo di Helsinki», quello che reca la rubrica: «Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo». Il memorabile incipit «Gli Stati partecipanti rispettano i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o cre-do, per tutti senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione», non poneva una rivendicazione particolare, «una rivendicazione non di carattere generale o meno che meno in favore della fede cattolica, ma costituì la base ideologica per tutti i movimenti di dissenso che poi portarono gradualmente alla caduta dei re-gimi comunisti». E qui è la storia degli anni successivi a dargli la più efficace conferma. «Per quanto concerne la dimensione umana certamente la presenza della Santa Sede ha un preciso significato ma soltanto su alcune questioni, non su quelle che mostrano una rilevanza politica nelle relazioni, talora molto difficili, fra i due mondi che all’interno dell’OSCE, seppur non rispondenti più a caratteri ideologici e con diversità di confini, di fatto ancora esistono», osserva l’autore, in conclusione (198) e si ricollega alle più stringate, ma non meno efficaci parole usate dal cardinale Achille Silvestrini della Prefazione: «La presenza della S. Se-de ad Helsinki ha rappresentato un segno concreto della concezione della pace fra le nazioni come valore morale prima ancora che come questione politica, e una occasione per rivendicare la libertà religiosa come una delle libertà fonda-mentali di ogni persona e come valore di correlazione nei rapporti fra i popoli». Come a dire che, mutando pure i soggetti e la geografia nelle questioni politiche, il tema di fondo non muta.
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose di Brindisi "Parola e Storia" n.2-2010
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