"Accolta per la Sua infinita carità in questa Casa... sento sopire la mia angoscia, sento sorgere la mia speranza". Così scrive nella prima lettera, nel dicembre 1943, la pediatra ebrea Mafalda Pavia a san Giovanni Calabria che l'ha ospitata nel Suo Istituto per salvarla dalla deportazione. Nell'ambiente familiare di questa Casa, ella rimase in veste monacale e sotto il nome di suor Beatrice, per 18 mesi. Proprio qui tiene con don Calabria un rapporto epistolare intenso (il primo volume Shalom Beatrice), fecondo e significativo che continuerà anche negli anni seguenti. Vi leggiamo il meraviglioso intreccio di quel "divino" che si fonde nell'"umano", di quello "straordinario" che si disegna nell'"ordinario", di quell'Infinito che entra nello spazio e nel tempo della storia e che, a posteriori, ci rivela il profondo, intimo, vero significato della nostra esistenza. Il secondo volume, Saulo di Tarso (S. Paolo) "Ebreo, figli di ebrei", è il libro scritto da Mafalda Pavia, suor Beatrice, durante il periodo presso l'Istituto di don Calabria e rappresenta lo specchio di un'anima in continua ricerca spirituale. "E in Saulo, l'ebreo, potranno i cristiani, che venerano il loro san Paolo, più amare gli Ebrei? Ma vi è forse antitesi tra cristiano ed ebreo? Saulo con la sua presenza ci dice che dinanzi a Dio non vi è parzialità (Rm 2,11).