Il pazzo sacro nell'Islam
(Biblioteca medievale. Saggi)EAN 9788879842259
Esaurito
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DETTAGLI DI «Il pazzo sacro nell'Islam»
Tipo
Libro
Titolo
Il pazzo sacro nell'Islam
Autore
Bausani Alessandro
A cura di
Pistoso M.
Editore
Luni
EAN
9788879842259
Pagine
380
Data
2000
Collana
Biblioteca medievale. Saggi
COMMENTI DEI LETTORI A «Il pazzo sacro nell'Islam»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Il pazzo sacro nell'Islam»
Recensione di Carlo Saccone della rivista Studia Patavina
Questa bella raccolta di saggi e articoli di Alessandro Bausani costituisce indubbiamente una prima importante risposta, a oltre dieci anni dalla morte, al bisogno di fare un bilancio sulla eredità del grande iranista e islamologo.
I saggi qui raccolti sono stati opportunamente divisi dall’ottimo curatore, Maurizio Pistoso professore di lingua e letteratura persiana all’università di Bologna, in tre sezioni: islamologia, estetica e stilistica, singoli autori (di letteratura persiana). Nella prima sezione, troviamo un articolo, “La tradizione arabo-islamica nella cultura europea”, che fa un accurato bilancio sugli scambi tra Islam e Europa medievale e un altro, “Breve storia dei pregiudizi anti-islamici in Europa”, che tratta indubbiamente una materia resa di scottante attualità dai fatti recenti a tutti ben noti. Il primo articolo, con grande chiarezza e capacità di sintesi, con rara semplicità e efficacia di stile, tocca alcuni dei nodi della storiografia medievale relativa al mondo islamico, riassumibili nella questione del mancato o insufficiente riconoscimento del contributo delle scienze e della filosofia araba tra il IX e il XIII sec. al decollo dell’umanesimo europeo. Questo aspetto si lega certamente alla materia del secondo articolo citato. Ossia al pregiudizio anti-musulmano del medioevo europeo che perdura in varie forme, anche peggiorative, sino ai nostri giorni. Quanto necessario sia riprendere criticamente ancor oggi questi temi non è necessario sottolinearlo più di tanto: una seria , pacata, riflessione sul rapporto tra tipo culturale cristiano e tipo culturale islamico, sulla storia delle complesse ma feconde relazioni tra due mondi vicini e insieme, ancora oggi, troppo lontani è cosa appena iniziata in questi ultimi decenni, anche grazie alle coraggiose aperture conciliari. Ma tutto ciò si scontra giornalmente con la massa viscida e viscosa del pregiudizio e del sentimento para-razzista che informa tanta parte dell’opinione pubblica e dei media. I due articoli di Bausani, scritti in un periodo certamente più tranquillo del nostro, costituiscono un eccellente, pacato e equilibrato contributo in questa direzione e rappresentano a mio avviso due primizie della presente raccolta.
Nella stessa sezione troviamo il saggio che dà il titolo alla raccolta e che ci mostra un’altra interessantissima direzione, di tipo diremmo antropologico-religioso, della variegata e ricca riflessione di Alessandro Bausani. Il titolo, che oggi assume involontariamente un’eco distorta alla luce dei fatti recenti collegati al “terrorismo” internazionale, allude qui piuttosto a una figura che è tipica della mistica musulmana, il vir Dei reso folle dall’amore mistico, figura che non è certamente priva di paralleli in quasi ogni sistema religioso conosciuto e che l’A. esplora attentamente nell’ambito musulmano.
Nella seconda sezione troviamo alcuni lavori importanti che mostrano alcune delle migliori caratteristiche del Nostro. Mi riferisco ad esempio alle “Considerazioni sulle origini del ghazal” e alla riflessione sulla vecchia questione dell’apparente assenza di un’epica nelle lettere arabo-persiane e di area islamica in generale. Il primo articolo ha fatto epoca con la sua ipotesi, brillantemente argomentata, circa l´esistenza di una forma di antico frammento lirico di area centro-asiatica che spiegherebbe certe straordinarie coincidenze formali tra il ghazal persiano, l´ode amorosa araba e l´ottava cinese di epoca Táng. Si tratta di una ipotesi di “diffusione per contagio”, esposta con la consueta chiarezza, quasi parlando a braccio, ma si tratta anche di un esempio di quella straordinaria capacita del Nostro di saper guardare con perspicacia e curiosità anche oltre l´orticello di competenza. Né com’é noto Bausani si fermò a qualche ipotesi soltanto. Studiò o si interessò praticamente a ogni lingua del globo, e produsse approfonditi studi e lavori di sintesi non solo sulla letteratura persiana ma anche su altre letterature dell’Asia (si pensi ai due ben noti volumi, rispettivamente sulle letterature del Pakistan e su quelle del sud-est asiatico usciti da Sansoni-Accademia).
Questa proiezione a tutto campo sull’Asia si vede molto bene nel secondo saggio citato, “Elementi epici nelle letteratura islamiche”. Qui il Nostro, parte dall’ipotesi che, se si cerca l’epica là dove –condizionati dalla nostra formazione e origine geografica- siamo abituati a cercarla, ossia nei poemi tipo Iliade o Odissea, non si troverà granché né si faranno passi in avanti. Il tipo culturale islamico – è la tesi, forse alquanto discutibile, di Bausani- sarebbe profondamente anti-mitologizzante: in esso il mito tenderebbe sistematicamente a ridursi vuoi a “storia” , vuoi a “favola”. Un caso del primo tipo (mito ridotto a storia) è visto nelle cronache di al-Tabari (X sec.), in cui la leggenda arcaica dei primi re del mondo verrebbe “storicizzata”, riletta e presentata appunto come storia; e questo si osserverebbe persino nel Libro dei Re di Ferdowsi, certamente poeta epico, ma che tenderebbe sistematicamente a ridurre tutto a “storia”, persino il mito dei primi re iranici inventori della lavorazione dei metalli, dell’arte della tessitura, della scrittura ecc. Il secondo caso (mito ridotto a favola), nell’analisi di Bausani, è tipificato dai lunghissimi dastan o racconti infiorettati di avventure esotiche o meravigliose -di solito in prosa- che ritroviamo già nella letteratura araba. Ma che conoscono uno straordinario sviluppo anche nelle lettere iraniche e, soprattutto, in quella indostana (urdu) dove l´arte del dastan-gu (cantastorie), che racconta a puntate ogni volta ri-creandole le storie -quasi tutte anonime- di eroi di ogni specie, si tramanda sino ai nostri giorni. E con significative appendici anche in area malese-indonesiana, attentamente indagate da Bausani che mostra nella conclusione una interessantissima tavola sinottica di comparazione dei diversi tipi “epici” riscontrati nel suo percorso tra l’Arabia e la Malesia.
Dicevamo che questa tesi è forse discutibile. Ad esempio, mi sembra che talora emerga nel discorso certo affascinante e documentatissimo di Alessandro Bausani una non sempre giustificata sovrapposizione tra concetti come “epica”, “leggenda arcaica” e “mito”. Inoltre, esempi di miti puri certamente esistono, quantomeno in area iranica. Si pensi al mito di Simurgh, mito teologico per eccellenza e che ha le sue radici nella letteratura religiosa antica e medio-persiana, ampiamente ripreso e sviluppato in epoca islamica non solo nel ben noto Mantiq al-Tayr (Il verbo degli uccelli) di ‘Attar (XII-XIII sec.), ma anche in opere di una miriade di altri poeti e scrittori persiani e turchi. Ma si potrebbe andare oltre: che dire del mito iniziatico (universale) della fonte miracolosa dell’acqua di vita, custodita in certi testi dall’islamico profeta Khidr, sorta di rediviva “divinità della vegetazione”, mito che talora certo “si leggendarizza” -come accade nel celeberrimo episodio di Alessandro alla ricerca della predetta fonte nel Paese delle Tenebre- ma che spesso, in tanti autori mistici, funziona semplicemente come mito e basta? Sono solo due esempi, ma non di poco conto, coinvolgendo la sfera della teologia e dell’iniziazione, così fondamentale (specie l’ultima) per comprendere un certo tipo di islam. Si potrebbe obiettare, e a ragione, che nessuno dei due esempi citati ci presenta un mito di pura origine arabo-islamica, ma è un fatto che entrambi sono recepiti, rielaborati e soprattutto “funzionano” ampiamente nelle letterature araba, persiana, urdu, malese ecc. Se poi si allargasse il discorso alla storia più generale del mondo islamico, che dire di quello straordinario perdurante mito delle origini che è costituito dalla idealizzata prima comunità musulmana di Medina, “città virtuosa” e “città perfetta” senza paragoni, che sembra tuttora animare, anche talora con esiti perversi i movimenti riformisti e fondamentalisti contemporanei?
Johann Christoph Buergel, un attentissimo lettore di Alessandro Bausani, in relazione al Libro dei Re di Ferdowsi, si chiedeva se invece di “storicizzazione del mito” non si potesse parlare piuttosto di “mitizzazione della storia”, dato che “le figure storiche come Alessandro e i re sassanidi sono avvolte nella leggenda, nel Libro dei Re, alla stessa stregua dei loro mitici predecessori”. Nella terza sezione, troviamo una serie di studi dedicati a singole opere di celebri autori, soprattutto poeti, della letteratura persiana: Áttar, Nezami, Rumi, Sana’i, Hafez.
Non è qui possibile darne conto singolarmente, ma ci preme segnalare ancora una volta una caratteristica comune a questi saggi: lo stile volutamente anti-esoterico, quasi si direbbe da “ non addetto ai lavori”, in realtà da grande studioso che si propone di interessare una cerchia ben più vasta di quella costituita dagli specialisti della materia e che, sistematicamente, spazia oltre, va “fuori campo”.
Ecco, questo andare “fuori campo” è stato una caratteristica fondamentale dell’opera e della ricerca di Alessandro Bausani che per esempio si interessò di “lingue inventate” (codici segreti, militari ecc.) e trovò il tempo persino di scrivere la prima versione in dialetto romanesco del Vangelo!
Bausani è convinto che di letteratura persiana si deve parlare anche perché questa letteratura –come aveva felicemente intuito Italo Pizzi, il fondatore dell’iranistica moderna in Italia, oggi a torto trascurato o peggio bistrattato- può interessare da vicino la nostra, l’italiana, e in generale le letterature romanze medievali. Così il saggio sul viaggio ultraterreno di un Sana’i ha sullo sfondo il confronto con il viaggio di Dante; l’articolo su Hafez ci riporta un po’ a atmosfere stilnoviste. Lo splendido articolo su “Aspetti filosofico-etici dell’opera di Nezami” ci riporta invece all’affascinante questione del rapporto tra Islam e eredità greca attraverso l’analisi di un noto episodio dell’Alessandreide nezamiana: il colloquio di Alessandro nella sala del trono con i più grandi filosofi greci anacronisticamente con-presenti (Platone, Socrate, Aristotele, Porfirio, Talete, Ermete, Apollonio) e animatamente disputanti sul tema del principio del mondo. Attraverso Nezami, Bausani mette in luce molto bene il complesso rapporto tra mondo islamico e mondo greco. Ci fu certamente un atteggiamento intimamente contraddittorio: da un lato rifiuto, specie negli ambienti religiosi più conservatori, di una “saggezza straniera” e pagana; dall’altro, è il caso di Nezami fra gli altri, accoglienza della saggezza dei greci come “antico testamento” della più recente saggezza di Maometto. Anche in questa sezione Bausani non rinuncia a stupirci con un raffinato lavoro su “Nezami di Ganja e la Pluralità dei Mondi”, ove egli si interroga, a partire da un oscuro verso del poeta persiano e da precisi confronti con passi coranici, sulla visione del mondo e sulla cosmologia dell’Islam medievale. Un articolo, questo, che ci mostra molto bene la capacità di Bausani di fare fruttuosamente interagire due diverse competenze, quella dell’iranista e quella dell’islamologo (opera sua è la migliore traduzione italiana del Corano e un eccellente manuale di introduzione all’Islam), un tratto metodologico che si riscontra in quasi tutti gli studi qui presentati.
Ottima ci sembra la scelta dei saggi (e quanti altri saranno venuti in mente al Curatore, certamente costretto a dolorose esclusioni!); unico grosso neo la mancata segnalazione delle ormai numerose traduzioni italiane degli autori presentati nella terza parte, anche dello stesso Bausani (Rumi, Nezami), che avrebbero fornito al lettore non specialista una possibilità immediata di riscontro e approfondimento degli stimoli ricevuti.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2004, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
I saggi qui raccolti sono stati opportunamente divisi dall’ottimo curatore, Maurizio Pistoso professore di lingua e letteratura persiana all’università di Bologna, in tre sezioni: islamologia, estetica e stilistica, singoli autori (di letteratura persiana). Nella prima sezione, troviamo un articolo, “La tradizione arabo-islamica nella cultura europea”, che fa un accurato bilancio sugli scambi tra Islam e Europa medievale e un altro, “Breve storia dei pregiudizi anti-islamici in Europa”, che tratta indubbiamente una materia resa di scottante attualità dai fatti recenti a tutti ben noti. Il primo articolo, con grande chiarezza e capacità di sintesi, con rara semplicità e efficacia di stile, tocca alcuni dei nodi della storiografia medievale relativa al mondo islamico, riassumibili nella questione del mancato o insufficiente riconoscimento del contributo delle scienze e della filosofia araba tra il IX e il XIII sec. al decollo dell’umanesimo europeo. Questo aspetto si lega certamente alla materia del secondo articolo citato. Ossia al pregiudizio anti-musulmano del medioevo europeo che perdura in varie forme, anche peggiorative, sino ai nostri giorni. Quanto necessario sia riprendere criticamente ancor oggi questi temi non è necessario sottolinearlo più di tanto: una seria , pacata, riflessione sul rapporto tra tipo culturale cristiano e tipo culturale islamico, sulla storia delle complesse ma feconde relazioni tra due mondi vicini e insieme, ancora oggi, troppo lontani è cosa appena iniziata in questi ultimi decenni, anche grazie alle coraggiose aperture conciliari. Ma tutto ciò si scontra giornalmente con la massa viscida e viscosa del pregiudizio e del sentimento para-razzista che informa tanta parte dell’opinione pubblica e dei media. I due articoli di Bausani, scritti in un periodo certamente più tranquillo del nostro, costituiscono un eccellente, pacato e equilibrato contributo in questa direzione e rappresentano a mio avviso due primizie della presente raccolta.
Nella stessa sezione troviamo il saggio che dà il titolo alla raccolta e che ci mostra un’altra interessantissima direzione, di tipo diremmo antropologico-religioso, della variegata e ricca riflessione di Alessandro Bausani. Il titolo, che oggi assume involontariamente un’eco distorta alla luce dei fatti recenti collegati al “terrorismo” internazionale, allude qui piuttosto a una figura che è tipica della mistica musulmana, il vir Dei reso folle dall’amore mistico, figura che non è certamente priva di paralleli in quasi ogni sistema religioso conosciuto e che l’A. esplora attentamente nell’ambito musulmano.
Nella seconda sezione troviamo alcuni lavori importanti che mostrano alcune delle migliori caratteristiche del Nostro. Mi riferisco ad esempio alle “Considerazioni sulle origini del ghazal” e alla riflessione sulla vecchia questione dell’apparente assenza di un’epica nelle lettere arabo-persiane e di area islamica in generale. Il primo articolo ha fatto epoca con la sua ipotesi, brillantemente argomentata, circa l´esistenza di una forma di antico frammento lirico di area centro-asiatica che spiegherebbe certe straordinarie coincidenze formali tra il ghazal persiano, l´ode amorosa araba e l´ottava cinese di epoca Táng. Si tratta di una ipotesi di “diffusione per contagio”, esposta con la consueta chiarezza, quasi parlando a braccio, ma si tratta anche di un esempio di quella straordinaria capacita del Nostro di saper guardare con perspicacia e curiosità anche oltre l´orticello di competenza. Né com’é noto Bausani si fermò a qualche ipotesi soltanto. Studiò o si interessò praticamente a ogni lingua del globo, e produsse approfonditi studi e lavori di sintesi non solo sulla letteratura persiana ma anche su altre letterature dell’Asia (si pensi ai due ben noti volumi, rispettivamente sulle letterature del Pakistan e su quelle del sud-est asiatico usciti da Sansoni-Accademia).
Questa proiezione a tutto campo sull’Asia si vede molto bene nel secondo saggio citato, “Elementi epici nelle letteratura islamiche”. Qui il Nostro, parte dall’ipotesi che, se si cerca l’epica là dove –condizionati dalla nostra formazione e origine geografica- siamo abituati a cercarla, ossia nei poemi tipo Iliade o Odissea, non si troverà granché né si faranno passi in avanti. Il tipo culturale islamico – è la tesi, forse alquanto discutibile, di Bausani- sarebbe profondamente anti-mitologizzante: in esso il mito tenderebbe sistematicamente a ridursi vuoi a “storia” , vuoi a “favola”. Un caso del primo tipo (mito ridotto a storia) è visto nelle cronache di al-Tabari (X sec.), in cui la leggenda arcaica dei primi re del mondo verrebbe “storicizzata”, riletta e presentata appunto come storia; e questo si osserverebbe persino nel Libro dei Re di Ferdowsi, certamente poeta epico, ma che tenderebbe sistematicamente a ridurre tutto a “storia”, persino il mito dei primi re iranici inventori della lavorazione dei metalli, dell’arte della tessitura, della scrittura ecc. Il secondo caso (mito ridotto a favola), nell’analisi di Bausani, è tipificato dai lunghissimi dastan o racconti infiorettati di avventure esotiche o meravigliose -di solito in prosa- che ritroviamo già nella letteratura araba. Ma che conoscono uno straordinario sviluppo anche nelle lettere iraniche e, soprattutto, in quella indostana (urdu) dove l´arte del dastan-gu (cantastorie), che racconta a puntate ogni volta ri-creandole le storie -quasi tutte anonime- di eroi di ogni specie, si tramanda sino ai nostri giorni. E con significative appendici anche in area malese-indonesiana, attentamente indagate da Bausani che mostra nella conclusione una interessantissima tavola sinottica di comparazione dei diversi tipi “epici” riscontrati nel suo percorso tra l’Arabia e la Malesia.
Dicevamo che questa tesi è forse discutibile. Ad esempio, mi sembra che talora emerga nel discorso certo affascinante e documentatissimo di Alessandro Bausani una non sempre giustificata sovrapposizione tra concetti come “epica”, “leggenda arcaica” e “mito”. Inoltre, esempi di miti puri certamente esistono, quantomeno in area iranica. Si pensi al mito di Simurgh, mito teologico per eccellenza e che ha le sue radici nella letteratura religiosa antica e medio-persiana, ampiamente ripreso e sviluppato in epoca islamica non solo nel ben noto Mantiq al-Tayr (Il verbo degli uccelli) di ‘Attar (XII-XIII sec.), ma anche in opere di una miriade di altri poeti e scrittori persiani e turchi. Ma si potrebbe andare oltre: che dire del mito iniziatico (universale) della fonte miracolosa dell’acqua di vita, custodita in certi testi dall’islamico profeta Khidr, sorta di rediviva “divinità della vegetazione”, mito che talora certo “si leggendarizza” -come accade nel celeberrimo episodio di Alessandro alla ricerca della predetta fonte nel Paese delle Tenebre- ma che spesso, in tanti autori mistici, funziona semplicemente come mito e basta? Sono solo due esempi, ma non di poco conto, coinvolgendo la sfera della teologia e dell’iniziazione, così fondamentale (specie l’ultima) per comprendere un certo tipo di islam. Si potrebbe obiettare, e a ragione, che nessuno dei due esempi citati ci presenta un mito di pura origine arabo-islamica, ma è un fatto che entrambi sono recepiti, rielaborati e soprattutto “funzionano” ampiamente nelle letterature araba, persiana, urdu, malese ecc. Se poi si allargasse il discorso alla storia più generale del mondo islamico, che dire di quello straordinario perdurante mito delle origini che è costituito dalla idealizzata prima comunità musulmana di Medina, “città virtuosa” e “città perfetta” senza paragoni, che sembra tuttora animare, anche talora con esiti perversi i movimenti riformisti e fondamentalisti contemporanei?
Johann Christoph Buergel, un attentissimo lettore di Alessandro Bausani, in relazione al Libro dei Re di Ferdowsi, si chiedeva se invece di “storicizzazione del mito” non si potesse parlare piuttosto di “mitizzazione della storia”, dato che “le figure storiche come Alessandro e i re sassanidi sono avvolte nella leggenda, nel Libro dei Re, alla stessa stregua dei loro mitici predecessori”. Nella terza sezione, troviamo una serie di studi dedicati a singole opere di celebri autori, soprattutto poeti, della letteratura persiana: Áttar, Nezami, Rumi, Sana’i, Hafez.
Non è qui possibile darne conto singolarmente, ma ci preme segnalare ancora una volta una caratteristica comune a questi saggi: lo stile volutamente anti-esoterico, quasi si direbbe da “ non addetto ai lavori”, in realtà da grande studioso che si propone di interessare una cerchia ben più vasta di quella costituita dagli specialisti della materia e che, sistematicamente, spazia oltre, va “fuori campo”.
Ecco, questo andare “fuori campo” è stato una caratteristica fondamentale dell’opera e della ricerca di Alessandro Bausani che per esempio si interessò di “lingue inventate” (codici segreti, militari ecc.) e trovò il tempo persino di scrivere la prima versione in dialetto romanesco del Vangelo!
Bausani è convinto che di letteratura persiana si deve parlare anche perché questa letteratura –come aveva felicemente intuito Italo Pizzi, il fondatore dell’iranistica moderna in Italia, oggi a torto trascurato o peggio bistrattato- può interessare da vicino la nostra, l’italiana, e in generale le letterature romanze medievali. Così il saggio sul viaggio ultraterreno di un Sana’i ha sullo sfondo il confronto con il viaggio di Dante; l’articolo su Hafez ci riporta un po’ a atmosfere stilnoviste. Lo splendido articolo su “Aspetti filosofico-etici dell’opera di Nezami” ci riporta invece all’affascinante questione del rapporto tra Islam e eredità greca attraverso l’analisi di un noto episodio dell’Alessandreide nezamiana: il colloquio di Alessandro nella sala del trono con i più grandi filosofi greci anacronisticamente con-presenti (Platone, Socrate, Aristotele, Porfirio, Talete, Ermete, Apollonio) e animatamente disputanti sul tema del principio del mondo. Attraverso Nezami, Bausani mette in luce molto bene il complesso rapporto tra mondo islamico e mondo greco. Ci fu certamente un atteggiamento intimamente contraddittorio: da un lato rifiuto, specie negli ambienti religiosi più conservatori, di una “saggezza straniera” e pagana; dall’altro, è il caso di Nezami fra gli altri, accoglienza della saggezza dei greci come “antico testamento” della più recente saggezza di Maometto. Anche in questa sezione Bausani non rinuncia a stupirci con un raffinato lavoro su “Nezami di Ganja e la Pluralità dei Mondi”, ove egli si interroga, a partire da un oscuro verso del poeta persiano e da precisi confronti con passi coranici, sulla visione del mondo e sulla cosmologia dell’Islam medievale. Un articolo, questo, che ci mostra molto bene la capacità di Bausani di fare fruttuosamente interagire due diverse competenze, quella dell’iranista e quella dell’islamologo (opera sua è la migliore traduzione italiana del Corano e un eccellente manuale di introduzione all’Islam), un tratto metodologico che si riscontra in quasi tutti gli studi qui presentati.
Ottima ci sembra la scelta dei saggi (e quanti altri saranno venuti in mente al Curatore, certamente costretto a dolorose esclusioni!); unico grosso neo la mancata segnalazione delle ormai numerose traduzioni italiane degli autori presentati nella terza parte, anche dello stesso Bausani (Rumi, Nezami), che avrebbero fornito al lettore non specialista una possibilità immediata di riscontro e approfondimento degli stimoli ricevuti.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2004, nr. 3
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