Considerato da Ladislao Mittner, il grande studioso della letteratura tedesca, un “capolavoro di consapevole, felicissima e coerente fattura classica”, questo racconto rappresenta il culmine dell’arte narrativa di Hauptmann, premio Nobel della letteratura nel 1912, e contiene tutti i tormentosi interrogativi e temi della sua opera. Segnatamente, il ripudio del cristianesimo in favore di una fede piena e incondizionata nell’eterna forza generatrice della natura. Sulle pendici del monte Generoso, nella pura atmosfera delle Alpi meridionali, un sacerdote italiano subisce l’irresistibile fascino di una donna la cui naturale amoralità rappresenta l’innocenza della natura incontaminata. Vivrà con lei come un novello Adamo, ritrovando la propria integrale umanità. Come scrive ancora Mittner, Hauptmann “seppe rappresentare in questo racconto la grande dea della vita e dell’amore nella figura di questa bellissima e vigorosa madre e amante consapevole della propria missione eterna”.
Gerhart Hauptmann (1862-1946), premio Nobel della letteratura nel 1912, godette, in vita, di un’enorme popolarità. La sua opera vastissima, che abbraccia tutti i temi popolari, è oggi in parte dimenticata. Tra le sue opere ricordiamo E Pippa balla (1906), I tessitori (1892, considerato il solo capolavoro del teatro naturalista tedesco), il romanzo Emanuele Quint, il Folle in Cristo (1910) e, postumi, il dramma antinazista Tenebre e la Tetralogia degli Atridi.
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Laura Fritzsche il 20 gennaio 2010 alle 14:33 ha scritto:
Uno dei libri più belli da me letti. A parte la tematica molto interessante, la descrizione della natura delle Alpi meridionali è affascinante e indimenticabile come la natura accompagni il cambiamento della vita del protagonista.