La Fede
-Una forma per la vita
(Quodlibet) [Libro in brossura]EAN 9788871053387
Il testo di Angelini, docente ordinario di teologia morale fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, presenta un ciclo di tre conferenze tenute dall’a. nella sua funzione di parroco ed elaborate al termine dell’Anno della Fede, istituito da Benedetto XVI con la bolla Porta fidei nel 2011. Il volume che qui presentiamo è, infatti, un invito a tutti coloro che avvertono la necessità di approfondire l’intelligenza della fede, argomento dal quale l’a. sviluppa la sua riflessione. La fede, non esaminata come oggetto astratto di studio, ma declinata nel suo significato di memoria, sapere e agire, è strettamente connessa con l’esistenza perché la “in-forma”. Poiché l’esperienza di fede dell’uomo post-moderno è caratterizzata dalla non-evidenza, la coscienza religiosa è oggi esposta a difficoltà e incertezze, al nascondimento nella coscienza del singolo, prevalentemente a causa del non riconoscimento, da parte della società secolarizzata, del valore oggettivo della fede. Infatti, contrariamente a quanto il “senso comune” suggerisca, la fede esige l’evidenza della verità, non di ragione ma di senso (cf.4), cosicché verità, fede e volontà di accoglienza strutturano l’esistenza come dimensione ricca di significato. Conditio sine qua non di questa relazione dinamica è la libera risposta dell’uomo: le riflessioni esposte dall’a. mirano a «correggere l’immagine intellettualistica della fede, senza cadere nella figura psicologica della fede fiduciale o in quella pragmatica della fede quale forma di dedizione al prossimo» (6). Si tratta, allora, di ri-scoprire che la fedeltà alla Tradizione significa fedeltà spirituale (cf.15) attraverso la quale, in continuità con il Vangelo, si attui una critica “culturale” al tempo presente. Per questo, nella prospettiva dell’a., è necessario che si approfondisca teoreticamente il rapporto fede-cultura, mediante un processo di aggiornamento che sia primariamente in linea con l’insegnamento del Concilio Vaticano II, ma che progredisca oltre le interpretazioni riduttivistiche post-conciliari, che Benedetto XVI indica come “ermeneutica della discontinuità e della rottura”, da una parte, e “ermeneutica della riforma”, dall’altra. Ecco allora che la fede si presenta come una porta, «nel senso che dischiude la possibilità di un cammino, ne determina anzi la necessità. L’immagine della fede quale porta è strettamente legata a quella della vita tutta dell’uomo come cammino» (23). La sfida che si presenta oggi è quella di approfondire l’intellectus fidei, affinché esso diventi la possibilità del superamento secolarizzante della dicotomia tra auditus temporis e auditus fidei.
Il primo capitolo (La fede nelle Bibbia e nella vita di tutti) ha lo scopo di esporre il significato della fede in ottica propriamente cristiana (cf.24), avendo come fonte il codice biblico. Si tratta di mostrare come, in tutta la Sacra Scrittura, la fede è presentata come un cammino che impegna l’uomo nella sua libertà e, quindi, nella sua relazionalità, per cercare con tutto se stesso l’incontro personale con un Dio personale. Si tratta allora, considerando la categoria ebraica di “cuore”, di un itinerarium cordis ad Deum che, insieme all’itinerarium mentis ad Deum, determina la forma del cammino di fede dell’uomo. Nel linguaggio biblico, fede significa, infatti, “forma dell’agire”: è una vita in costante ascolto che esige vigilanza e non è ripetizione dell’identico (cf.23). Il lessico della fede presente in TaNaK mostra che la fede è la risposta dell’uomo alla promessa di Dio che “prende una determinata forma” nell’esperienza storica della creazione, dei Patriarchi, dell’Esodo, dei Profeti, della ricerca della Sapienza. Nel Nuovo Testamento, gli evangelisti ci mostrano l’archetipo che realizza pienamente la relazione fede/opere è Gesù, il quale, «concepito grazie alla fede della Madre, dà poi forma alla propria vita attraverso l’insieme delle sue opere» (81). Il secondo capitolo (Fede e ragione, oppure fede e sapere?) è una presentazione sintetica e nello stesso tempo accurata degli interrogativi, ereditati dalla storia più recente, che riguardano il rapporto tra la fede e altre forme di sapere, al fine di superare il limite imposto dalla convinzione che fede significa rinuncia a capire. Per superare il conflitto generato negli ultimi secoli dal progresso, più che della scienza, della pretesa scientista che intende fondare la società sull’autonomia del soggetto, occorre riflettere sul fatto che «chiarire le dinamiche della cultura antropologica del nostro tempo e confrontarsi con esse, al di là della polemica ideologica, appare un momento assolutamente qualificante dell’istruzione del problema generale dei rapporti tra la fede e il sapere» (126). È necessaria un’elaborazione teoretica, e quindi critica, dell’idea di cultura affinché il dialogo tra la fede e le diverse forme di sapere superi la stagnazione attuale. Proprio per questo, la teologia non può esimersi da questo compito, in quanto «è nelle condizioni più propizie per cogliere la gravità dello scollo presente tra cultura e coscienza» (204). Il terzo capitolo (La fede e le forme dell’agire) analizza il rapporto tra fede ed agire per comprendere, approfondendo inizialmente l’ermeneutica luterana della teologia paolina, «come le opere possano essere espressione della fede, anzi che soltanto possono rendere vera la fede» (225). L’a. intende così superare l’opposizione riduttivistica della polarità tra la visione interiore della fede e l’immagine esteriore dell’agire. Per chiarire la prospettiva paolina secondo l’esegesi cattolica, l’a. propone, seguendo l’approccio esegetico di Sanders, uno studio delle lettere ai Galati e ai Romani, affermando che le due chiavi ermeneutiche della tesi della giustificazione, l’una derivante dalla lettura “esistenziale”, e l’altra da una più recente lettura storico-salvifica, non si escludono a vicenda (cf.224). Tuttavia, secondo l’a., è necessario un ripensamento della legge, che può attuarsi con la ricerca teologica sulla nozione di torah, categoria apparentemente molto distante dalla nozione di legge che si è affermata in Occidente (cf.269). Il Deuteronomio, infatti, presenta «un’immagine della legge come istruzione pratica che viene dalla memoria» (269) di Colui che «ha operato la salvezza dalla condizione servile» (Dt 6,12), in modo da armonizzare imperativo e memoria e, seguendo le parole di Gesù riportate in Mt 5,13-16, purificare il cuore per rendere le opere una testimonianza viva e vera. In questo modo è possibile guarire dall’ipocrisia, che l’a. definisce la malattia dello spirito del nostro tempo, passando dal bisogno infantile di approvazione all’autonomia morale, dal dirsi testimoni di Cristo all’esserlo mediante le opere (cf.277). Per questo, secondo il Nostro, occorre avere cura dell’anima (cf.279), affinché le nostre opere siano di nuovo legate al cuore, così da dare, attraverso di esse, gloria a Dio. Questo compito risulta tanto più arduo nella metropoli in cui, secondo gli studi di Simmel citati dall’a., prevale la figura dell’homme blasé (cf.281). Al difetto di memoria tipico della secolarizzazione che de-forma la relazione sia verticale (con Dio) sia orizzontale (con sé e con gli altri) si può opporre la memoria del vangelo, che è «memoria della storia che ci costituisce», poiché il modello dell’agire offerto da Gesù è: «amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato» (293).
Quanto qui riportato è solamente una parte tra le tante intuizioni che l’a. propone. Coerente con la finalità da cui origina il presente lavoro, il testo offre molti spunti di riflessione sull’attuale situazione della coscienza-conoscenza della fede. È, per questo, un valido ausilio per una pastorale dell’intellectus fidei: infatti, per non cadere nell’equivoco di una fede intellettualistica (razionalista) o fideistica, “pericoli” più volte evidenziati dall’a., è necessario imparare a “sapere” che la fede ha una propria “intelligenza” poiché, come tutta la storia della salvezza mostra, essa è relazione da esperire in un cammino storico, più che una formula astratta cui aderire senza coinvolgersi integralmente. Il testo mostra la capacità dell’a. di coniugare l’erudizione accademica con la proposta pastorale. Il linguaggio, infatti, è accessibile e nello stesso tempo preciso dal punto di vista tecnico. Non richiede, infatti, una conoscenza teologica previa, perché la spiegazione di lemmi e concetti teologici è resa in modo semplice e consente di cogliere facilmente il senso del discorso. La narrazione delle vicende storiche, seppur sintetica, s’intreccia con linearità con il contenuto teologico e per questo non appesantisce il testo ma aiuta il lettore ad orientarsi nella cronologia degli eventi. Trattandosi di un’analisi rigorosa della società odierna, per una maggiore fruibilità del testo si sarebbe potuto suddividere il contenuto in aree tematiche più circoscritte, orientando più facilmente il lettore nel percorso teoretico proposto. Il testo è sicuramente un valido ausilio non solo per coloro che si occupano di pastorale parrocchiale, ma anche per gli insegnanti di religione cattolica nella scuola secondaria di secondo grado. Il lavoro di Angelini aiuta sicuramente a comprendere meglio la domanda di Gesù: «Il Figlio dell’uomo, quando tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?».
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2016
(http://www.pul.it)
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