Ecclesiologia e canonistica
(Monografie di Diritto Canonico)EAN 9788865124192
L’apparizione di un’opera di Carlo Fantappiè non può lasciare indifferenti, anche quando si tratta di otto saggi già pubblicati (eccetto uno, inedito), che formano altrettanti capitoli del libro che presentiamo, dal titolo accattivante: Ecclesiologia e canonistica. Pur avendo gli otto studi una differente collocazione di tempo e di luogo di provenienza, l’opera non risulta frammentata, e ciò non solo per l’assetto sufficientemente unitario e per gli interventi sugli stessi testi operati dall’Autore (con ritocchi stilistici, con rifacimenti e integrazioni dei testi e delle note, con l’aggiornamento della bibliografia), ma soprattutto perché gli otto saggi sono collocati «entro un medesimo orizzonte problematico» su cui l’Autore si è sforzato di riflettere partendo da oggetti e da punti di vista differenti. L’orizzonte concettuale, che abbraccia l’intero volume, ha un nome preciso: «le relazioni tra ecclesiologia e canonistica» (56). Per il Fantappiè, le relazioni tra il pensiero teologico e la scienza canonica, costituiscono «una delle questioni aperte più rilevanti e incisive (per quanto trascurate) nella Chiesa contemporanea» (11). Sono dell’avviso che va dato pieno appoggio all’intento che l’Autore intende perseguire con la sua opera: «contribuire a una rinnovata concordia metodologica» (57) tra le due aree teologiche. Di fronte ai tanti problemi esistenti, ribadisce con insistenza C. Fantappiè, «s’impone una convergenza di sforzi tra teologi e canonisti» (ivi). Fermiamo l’attenzione sull’opera, struttura e contenuti. All’Introduzione seguono due parti: la prima, in quattro saggi, delinea le acquisizioni storiche su ecclesiologia e canonistica; la seconda, nei rimanenti quattro saggi, affronta problematiche chiamate “di confine”. Il volume manca di una delimitazione cronologica, ma di fatto si snoda tra l’epoca del concilio di Trento e quella del Vaticano II e presenta il pensiero di autori degli ultimi cinque secoli. L’Autore ci informa che non intende affrontare le tematiche dei due concili quanto i problemi della loro recezione. Giustamente osserva che è nella fase recettiva che emergono i veri nodi interpretativi e applicativi delle questioni trattate dai concili (cf.57).
L’Introduzione (11-63) svolge un compito preciso: in rapida sintesi traccia il percorso storico del rapporto tra ecclesiologia e scienza canonica, dal momento in cui le due discipline «procedevano appaiate e lavoravano di conserva», al progressivo “allentamento dei legami”, fino alla loro “separazione”, al fenomeno della “retroversione storica”, al “pluralismo ecclesiologico” e all’“antigiuridismo” pree post-concilio Vaticano II. La necessità di ricuperare l’articolazione dell’ecclesiologia col diritto canonico, porta l’Autore a delineare – quasi una conclusione anticipata – «l’apporto della dimensione canonistica all’ecclesiologia». Il Fantappiè specifica le cinque funzioni che la scienza canonica dovrebbe svolgere in rapporto alla teologia: conoscitiva, ordinativa, regolativa, produttiva, di garanzia (cf.48-55). Sempre nell’introduzione troviamo una importante precisazione sul metodo seguito dal Fantappiè nell’esposizione delle dottrine esaminate. Scrive il Fantappiè: «Per la comprensione delle dottrine ecclesiologiche appare più proficuo, a mio avviso, partire dagli autori e dalle correnti di pensiero spirituale e teologico che le hanno ispirate, animate e formate» (58). Questa scelta porta l’Autore a esaminare il pensiero di molti autori, cattolici e non, antichi e attuali e ad approfondire quelle concezioni che in qualche modo hanno affrontato il tema della relazione tra teologia e diritto. In continuità con questa premessa metodologica, il Fantappiè dà particolare rilevanza ai momenti oppositivi dei dibattiti ecclesiologici (come, ad es., la polemica tra giansenisti e gesuiti nel SeiSettecento, quella tra modernisti e antimodernisti all’inizio del Novecento, quella tra “progressisti” e “tradizionalisti” dopo il concilio Vaticano II). Ciò consente di meglio comprendere l’evoluzione delle dottrine ecclesiologiche e la loro rilevanza negli sviluppi successivi.
La Parte prima «Acquisizioni storiche» (69-252) è articolata in quattro saggi. Nel primo l’Autore affronta una delle questioni più ricorrenti in ambito teologico e canonico: La dialettica tra Spirito e istituzione nella Chiesa (69-115). Si noti il titolo: dice “nella Chiesa”, non, ad es., nel tale autore o nell’ecclesiologia protestante, dove tradizionalmente sono state sviluppate le opposizioni ecclesiologiche (Spirito Santo e Chiesa, pneumatologia e istituzionalità ecclesiale, spirito e forma, Vangelo e legge, carisma e istituzione). Coerente con la premessa metodologica annunciata nell’Introduzione, il Fantappiè rivolge la sua attenzione a quegli autori, cattolici e non, antichi e attuali, e a quelle concezioni che in qualche modo hanno affrontato la dialettica Spirito e istituzione. Accanto ai tanti autori richiamati (Montano, Tertulliano, Origene, Agostino, Gioacchino da Fiore, la riforma luterana, il teologo ortodosso Aleksej Chomjakov) e agli apporti della scuola di pensiero di Tubinga e della canonistica tedesca e romana, l’Autore approfondisce la dottrina societaria della Chiesa, prevalente nei documenti del concilio Vaticano I e nel Magistero fino al Vaticano II, e l’enciclica di Pio XII Mystici corporis (1943), con i suoi pregi e con i suoi limiti. Chiudono il saggio due argomenti di grande interesse: l’esame delle novità introdotte dal concilio Vaticano II e da Paolo VI, contrastate negli anni della contestazione ecclesiale, e l’approfondimento della rilevanza canonica dei carismi (con riferimento a Pedro Lombardia, alla Scuola di Navarra e al canonista Eugenio Corecco).
Il secondo saggio fa riferimento alle Discussioni sulla costituzione della Chiesa nel Sei-Settecento (117-166). È un periodo storico complesso, che la storiografia recente sta rivisitando, mettendo in questione molte conclusioni del passato. L’obiettivo dell’Autore è «di seguire le trasformazioni più rilevanti intervenute nella concezione di Chiesa dal secolo XVII al XVIII sotto il duplice profilo teologico e canonistico» (127). Nella premessa il Fantappiè invita a rifuggire dalle schematizzazioni che tendono a semplificare i complessi intrecci che collegano le realtà storiche sottostanti ai temi studiati e dal considerare l’intero periodo come un insieme omogeneo. Tenendo conto del lungo lavorìo interpretativo sviluppato dalla storiografia recente, il Fantappiè invita a rivisitare: a) la categoria di “giansenismo” intesa sia in senso stretto che in senso lato; b) il termine astratto e assai recente di “gallicanesimo”, con il suo carattere pragmatico di opposizione all’ultramontanismo (osserva il Fantappiè: è preferibile parlare di “gallicanesimi” al plurale, a seconda dei modelli ecclesiologici degli autori e degli attori protagonisti); c) i termini “giuseppinismo” e “Aufklärung cattolica”. Per il Fantappiè occorre individuare di volta in volta i contenuti peculiari e le effettive derivazioni dottrinali dei singoli autori. Come pure occorre cautelarsi nei confronti della tendenza che concepisce le correnti di riforma come sistemi di idee astratte e immobili, anziché come sintesi composite e dinamiche (cf.161). Nel saggio in esame il Fantappiè compie l’esigente cammino da lui stesso tracciato. A partire dall’eredità del secolo precedente – la teologia del corpo mistico di Pierre de Berulle, dell’abate di Saint-Cyran Jean Duvergier de Hauranne, di Antoine Arnauld – propone una rilettura dinamica dei diversi autori con questa successione: «la lezione di Ludovico Antonio Muratori»; la concezione della «natura corporativa del potere» elaborata da Pasquier Quesnell, L.E. Du Pin (che parte da Jean Gerson), Edmond Richer (in linea con il pensiero di Jean Gerson), Jacques Bénigne Bossuet; «collegialismo e consensualismo» nel vescovo ausiliare di Treviri Johann Nikolaus von Hontheim, noto sotto il pseudonimo di Giustino Febronio; «ecumenismo e Chiesa-comunione in Pietro Tamburrino». Conclude il Fantappiè, rinviando, in nota, a K. Rahner: «Non ha senso isolare e contrapporre astrattamente carisma e istituzione perché entrambi, oltre ad essere elementi collegati e interdipendenti, svolgono una funzione reciprocamente correttiva nella storia e nella vita della Chiesa: l’uno nei confronti di una accentuazione unilaterale dell’elemento giuridico-formale a danno dei doni personali, l’altro nell’impedire una autoreferenzialità carismatica di singoli fedeli, comunità o Chiese» (113-114).
I capitoli III e IV vanno letti congiuntamente in quanto ambedue studiano lo stesso tema, i diritti dei fedeli: III: Le origini dei diritti dei fedeli: dal giansenismo alla vigilia del Codex 1917 (167-212); IV. Chiesa e diritti dei fedeli nel pensiero di Antonio Rosmini (213-252). Nell’impostare la questione, il Fantappiè muove dalla ricostruzione storico-giuridica fatta dalla storiografia recente, soprattutto canonica ma anche teologica, in merito al titolo I del Libro II, parte I del Codice di diritto canonico “Obblighi e diritti di tutti i fedeli”, cann. 208-223 (CCEO, cann. 11-26). Negli scritti di moltissimi autori si sostiene la tesi che sarebbe stato il concilio Vaticano II a introdurre per la prima volta, dopo il fallimento del progetto di Lex Ecclesiae fundamentalis, una sezione sui diritti dei fedeli nel Codice latino (1983) e, di seguito, nel Codice orientale (1990). Il parere del Fantappiè è ben diverso: il problema è “da rivisitare” (cf.167). A conclusione della ricerca scrive: «Questa indagine retrospettiva ha mostrato che varie dottrine canonistiche sui diritti dei fedeli esistevano nelle epoche precedenti e che i loro contenuti sostanziali e processuali erano in parte simili a quelli proposti nell’ordinamento vigente. Le novità del Vaticano II e del Codice del 1983 non consistono né nell’identificazione del fondamento sacramentale né nella classificazione dei diritti dei fedeli. Si potrebbe pensare che l’ultimo concilio ecumenico abbia aggiunto alcuni contenuti rispetto a quelli presenti un secolo fa, ma a ben guardare, anch’essi non rappresentano un’innovazione assoluta, essendo stati maturati nella coscienza della Chiesa sotto il magistero di Pio XII» (211). Per mostrare la limitata originalità del Codice del 1983 (e, di conseguenza, apprezzarne la vera novità!), il Fantappiè ripercorre l’origine dei diritti dei fedeli all’interno dell’evoluzione della teologia e del diritto canonico, tenendo particolarmente presenti le relazioni che queste discipline sacre hanno avuto con l’evoluzione del diritto e della cultura secolare in epoca moderna. Il Fantappiè è del parere che l’origine dei diritti dei fedeli non vada ricercata all’esterno della Chiesa, inquadrandoli nel movimento di affermazione dei diritti dell’uomo, caratteristico delle costituzioni degli stati democratici e delle recenti dichiarazioni di diritto internazionale. Il Fantappiè rintraccia le basi generali teologico-canoniche dell’affermazione moderna dei diritti dei fedeli in Antoine Arnaud (dottore alla Sorbona, 1612-1694) e trova la prima costruzione originale di tali diritti in Antonio Rosmini, nella Filosofia della politica (1837-1839) e nella Filosofia del diritto (1841-1843). Notevoli gli apporti dei canonisti di area germanica (Ferdinand Walter, George Phillips, Simon Aichner) e del canonista francese Anselme Tilloy. Tra i canonisti che hanno scritto sui diritti dei fedeli prima del Codex, ad avviso del Fantappiè la trattazione più organica e più avanzata è quella elaborata da una figura quasi ignota nel campo canonistico: il siciliano Emmanuele de Sarzana (1876-1935). La sua opera Manuale di diritto costituzionale della Chiesa cattolica apostolica romana (Bruxelles, 1914), apparsa alla vigilia della promulgazione del primo Codex iuris canonici, offre, per la prima volta, una “teoria dei diritti”, la loro “classificazione”, cui segue la parte processuale relativa alla “preservazione” e quella penale sulla “privazione dei diritti”. L’indagine storica è aggiornata e completata con una riflessione su alcune ipotesi sulle teorie dei diritti dei fedeli apparse agli inizi del XX secolo. All’originale e innovativo contributo di Rosmini all’ecclesiologia e al diritto canonico, Fantappiè dedica pagine meritevoli di attenta considerazione (cf.213-252). Concludo questo punto riprendendo l’interrogativo, implicitamente formulato sopra e lasciato sospeso. Alla domanda: quale novità ha apportato il Codice di diritto canonico del 1983 al tema dei diritti dei fedeli, vista la precedente dottrina? Risponde Fantappiè: l’originalità del Codice risiede nella sistemazione normativa della materia, nel differente inquadramento teologico e giuridico, nella nuova concezione dello status giuridico di ogni fedele (cf.211-212).
La Parte seconda «Problematiche di confine» costituisce la parte centrale del volume ed è dedicata alla riflessione sullo statuto epistemologico della canonistica e delle sue relazioni con i modelli di Chiesa emersi dopo il concilio Vaticano II. Ecco gli argomenti dei quattro saggi: V. Diritto e teologia nel Novecento. Cattolicesimo, Ortodossia e Protestantesimo (255-314); VI. Modelli di Chiesa e dottrina canonistica (315-358); VII. Sacramento e/o giurisdizione: la rinuncia papale e il papa emerito (359-398); VIII. Contratto e sacramento: implicazioni sul sistema matrimoniale canonico (399-439). Coerente con i principi metodologici annunciati nell’introduzione, il Fantappiè, con il garbo e la pacatezza che caratterizzano l’intero volume, presenta autori e correnti di pensiero spirituale e teologico che hanno animato la teologia sulla Chiesa e la canonistica nel secolo XX. Sono bene evidenziati i problemi che la dottrina canonistica ha dovuto affrontare dopo il Vaticano II: 1) la questione del rapporto di incongruenza o di congruenza tra Chiesa e diritto canonico; 2) la questione della relazione tra teologia e diritto canonico, tra concilio Vaticano II e Codice; 3) la questione del fondamento ontologico del diritto canonico, della sua natura e della sua tipicità in rapporto agli altri diritti (il tema dell’analogia iuris); 4) la questione della metodologia da adottare nello studio del diritto canonico; 5) la questione dei modelli di Chiesa (Chiesa-mistero dell’incarnazione, Chiesa comunione, i modelli di Chiesa proposti da Avery Dulles, ecc.) e di diritto canonico.
Tra le problematiche di confine trattate in questa parte seconda, meritano attenzione i quesiti canonistici posti dal prof. Fantappiè alla rinuncia di Benedetto XVI al papato e alle soluzioni adottate. Il primo quesito concerne la concezione del papato, che dai canonisti, afferma il nostro Autore, è sempre stata definita in prospettiva giuridico-istituzionale, vincolata all’istituto della successione nella sede apostolica, piuttosto che a una concezione sacramentale o mistico-personalistica del Papa. Il papato, ribadisce il Fantappiè, è un ufficio rivestito da una persona. Nel caso specifico, mentre rimane impossibile separare l’ufficio dalla persona in rapporto alla potestà di ordine, che è inammissibile, è necessario separare l’ufficio dalla persona in rapporto alla potestà di giurisdizione o di governo. Quest’ultima, infatti, sebbene debba sempre fondarsi sulla potestà di ordine, come insegna il concilio Vaticano II (cf.LG 21), per sua natura è ammissibile per rinuncia o per altro provvedimento dell’autorità competente. Distinguendo tra ufficio e titolare dell’ufficio, sottolinea il prof. Fantappiè, si evita il duplice pericolo di attribuire al papa un carisma divino e una missione perpetua oppure di livellare la sua funzione unica al punto di assoggettarla alle qualità personali o al giudizio discriminatorio di altri. Per il diritto canonico la rinuncia è possibile, ma, per essere valida, legittima e lecita, deve compiersi in casi eccezionali, nel rispetto di determinate condizioni e dietro giusta causa. Entra in gioco, ultimamente, la coscienza del rinunciante. Il secondo quesito sviluppato dal Fantappiè, concerne lo status canonico e il titolo del papa rinunciante. Ad avviso del prof. Fantappiè va scartata l’ipotesi che egli possa ritornare a cardinale, a meno che il nuovo Papa non lo abbia a nominare di nuovo. In riferimento a Benedetto XVI, sarebbe stato preferibile, ad avviso del Fantappiè, utilizzare il titolo di «vescovo emerito di Roma»; la scelta compiuta dalla Sede Apostolica di “papa emerito” o “Romano Pontefice emerito”, secondo Fantappiè incorre, dal punto di vista teologico e canonico, in una serie di anomalie e incoerenze (cf.384ss.). Nel terzo quesito il Fantappiè sviluppa alcune considerazioni sul problema dei “due papi”, in particolare sulle eventuali interferenze del papa rinunciante sull’elezione del nuovo papa, oppure alle relazioni di collaborazione o di possibile contrasto di orientamento tra i “due papi” (cf.392-395). Si tratta di questioni aperte, e, per certi aspetti, dalle soluzioni opinabili.
Il volume di cui abbiamo riassunto rapidamente i contenuti non è solo un invito al dialogo tra canonisti ed ecclesiologi. Il prof. Carlo Fantappiè, da storico raffinato, con gli strumenti di cui dispone, offre agli specialisti delle due discipline una ricognizione analitica e sistematica delle posizioni esistenti, stabilendo una base problematica comune, individuando punti fermi, offrendo indicazioni su come far avanzare la discussione. Quello proposto è un percorso che porta a mostrare che la dimensione istituzionale della Chiesa deve potere compenetrarsi e sostenere il suo mistero e che la realtà complessa della Chiesa (cf.SC, 2; LG 8; 13; 23; 26) può trovare una fondazione unitaria, una armonizzazione tra dimensione storica, dimensione teologica e dimensione giuridico/canonica. Ciò è possibile, ma, a mio avviso, a condizione che, oltre agli autori, siano presi in considerazione il magistero (conciliare e pontificio) e la stessa normativa canonica. Nel discorso rivolto al Tribunale della Rota nel gennaio del 1973, Paolo VI asseriva che il diritto della Chiesa «è un diritto gerarchico, un vincolo di comunione, un diritto missionario, uno strumento di grazia, un diritto della Chiesa» (AAS 65 [1973] 96-97; cf.anche, sempre di Paolo VI, il discorso del 20 gennaio 1970 in AAS 62 [1970] 108-109). Faccio inoltre notare che, nel capitolo dedicato alla dialettica tra Spirito e Istituzione nella Chiesa (cf.69), non dovrebbero essere trascurati quegli autori che hanno sviluppato nel secolo XX i concetti di istituzione e di ordinamento giuridico (M. Hauriou, Santi Romano) per l’ambito civile, ma hanno trovato risonanza nella riflessione canonistica (Pier Giovanni Caron, Salvatore Berlingò, Pio Ciprotti, Javier Hervada e il più recente R. Chéno). Colpisce – favorevolmente – nell’opera del prof. Fantappiè l’invito a evitare le semplificazioni storiche e gli stereotipi, compreso l’uso di schemi ripetitivi non verificati. Lo studioso deve avvalersi di metodologie rigorose scientificamente fondate. Colgo, sullo sfondo di queste indicazioni, l’invito a un insegnamento qualificato, aggiornato, attento alla storia e posto in rapporto alla teologia dei vari periodi storici, che non trascura le questioni con implicanze giuridiche attinenti all’ecumenismo. Sono tutte esigenze che vengono dall’interno e dall’esterno della Chiesa e che il volume del prof. Fantappiè soddisfa ampiamente. Da ultimo, in riferimento alla problematica sollevata dalla rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, sono dell’avviso che nelle parole pronunciate dal “Papa emerito” il 10 febbraio 2013 e nell’udienza generale del 27 febbraio 2013, siano reperibili utili elementi per una impostazione dell’intera questione in continuità con l’insegnamento del concilio Vaticano II (cf.LG 21), integrando la prospettiva giuridico-istituzionale tradizionale del secondo millennio.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2016
(http://www.pul.it)
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