Il grande patrimonio pittorico delle catacombe romane, che conta oltre 400 unità monumentali e che è tornato alla luce, nel tempo, dall'ultimo scorcio del 1500 e sino ai nostri giorni, rappresenta una delle pagine della storia dell'arte tardoantica più significative per la conoscenza di una civiltà iconografica estremamente specifica eppure calata nell'habitat figurativo che caratterizza il mondo artistico mediterraneo dell'ultima antichità. Nel corso degli ultimi venti anni, la pittura delle catacombe romane, come il resto della produzione artistica paleocristiana, viene affrancata dai caratteri di assoluta originalità e autoreferenzialità, per essere proiettata in un orizzonte figurativo estremamente più vasto e in un giro di esperienze più articolato.Questo graduale processo di revisione critica è stato aiutato e supportato da una stagione di restauri particolarmente serrata, che ha visto i responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra impegnati in una serie di interventi conservativi, che hanno sottratto oltre un terzo dell'intero patrimonio pittorico catacombale romano da un irreversibile processo di degrado. I restauri - come è intuitivo - hanno permesso, parallelamente, di conoscere, più da vicino, alcuni importanti documenti iconografici, sia dal punto di vista tecnico sia da quello interpretativo.È parso, dunque, utile raccogliere, in un volume specifico, la relazione testuale e dettagliata dei restauri e dei nuovi significati che da essi sono talora scaturiti, proponendo la storia di questi venti ultimi anni di attività conservativa, tutta tesa verso il recupero, ma anche verso la valorizzazione di materiali spesso disattesi, pure dalle più recenti iniziative editoriali ed espositive, nel senso che, paradossalmente, la pittura delle catacombe romane è ancora considerata produzione marginale o specifica, circoscritta e blindata nel "buio" degli ambienti che la accolgono.Il racconto inizia da lontano, guardando ai primi monumenti pittorici propriamente cristiani o collocabili in quella "zona franca", coincidente con l'età severiana, che vede il linguaggio figurativo funerario aprirsi ai nuovi temi del cristianesimo, che diverranno espliciti dall'età gallienica sino a quella costantiniana. E mentre un cospicuo numero di monumenti di età teodosiana colma un "vuoto figurativo" che risultava imbarazzante, se rapportato al grande vigore che le catacombe romane stavano vivendo dal pontificato di Damaso, il nostro quadro, proprio per avvistare la seconda grande stagione delle catacombe, promossa dai fenomeni del culto e del pellegrinaggio, mostra un programma iconografico articolato, che emula gli scenari della decorazione delle basiliche paleocristiane.Il restauro e la riconsiderazione delle pitture delle catacombe romane offrono al lettore un panorama nuovo, vibrante, ora impegnato in un linguaggio propriamente simbolico, ora distesamente evocativo, ora ispirato da una committenza "alta" da identificare con la gerarchia ecclesiastica o con l'aristocrazia dei potentiores, ora "inventato", in maniera estemporanea, dall'entourage familiare. La stessa oscillazione riguarda gli artifices, spesso selezionati tra le équipes degli affrescatori più aggiornati rispetto alla tecnica pittorica, talora da identificare, più semplicemente, con lo stesso personale preposto alla sepoltura dei defunti.Per tutti questi motivi, la produzione delle pitture delle catacombe romane risulta come un vivacissimo caleidoscopio, che arricchisce ma che forse costituisce, per buona parte, la storia della pittura romana della tarda antichità.