"Nessuno scrittore contemporaneo ha finora ritratto le stravaganze di una mente in azione con il coraggio e la visione di Harold Brodkey." Queste sono le parole con cui l'editore Farrar & Strauss accompagna, nel 1991, la pubblicazione del primo romanzo di Harold Brodkey, "L'anima che fugge", dopo quasi trent'anni di attesa e infinite stesure. Paragonato di volta in volta a Wordsworth, Milton e definito da Harold Bloom "un Proust americano, senza termini di paragone nella narrativa dalla morte di William Faulkner", Brodkey ha scritto un'opera grandiosa e audace "l'unico romanzo necessario del Novecento", prendendo a prestito le parole di Gordon Lish. Con un linguaggio che si eleva e ipnotizza, "L' anima che fugge" esplora senza timore la giovinezza e la maturità, l'amore e la perdita, il sesso e la morte, il matrimonio e la famiglia di Wiley Silenowicz, un lucido sessantenne dall'anima ipertrofica e molteplice. A seguito della drammatica morte della madre, Wiley ripercorre la sua infanzia tormentata quando fu affidato al cugino S.L. Silenowicz e a sua moglie Lila, una donna emotivamente fragile. Orfano a due anni, nuovamente senza famiglia, resiste ai danni dell'esistenza e ai soprusi della sorella adottiva Nonie con la forza immaginifica della fantasia. Da questo speciale punto d'osservazione richiama a raccolta, sensitivo e accogliente come mai, i fantasmi del passato indicandoli per nome, quasi a disfarsene con il corpo e con la mente. Le loro nevrosi sono il bersaglio verso cui indirizzare la sua prosa, che caricata di vendetta, si fa eccessiva, traboccante, insolente. Una lingua che rivive nella traduzione d'autore di Flavio Santi e che a tratti si ribella. La coscienza d'improvviso si fa benevola, calda, consapevole di aver anche molto amato nella vita. In questo movimento l'anima che fugge diventa più sincera.