«La finestra di un ospedale è la frontiera tra il fuori e il dentro. Certo, a posare i gomiti sul piano di marmo e appiccicare il naso al vetro, si vedrebbero tante cose. Le anime di chi si muove con un corpo che gli appartiene, che non scappa via.
Di chi guida un'automobile, prende il caffè al bar, litiga, si siede e quando vuole si alza.
Da questa parte invece c'è soltanto un cuscino sotto il capo. Il soffitto di una stanza. Luce e ombra, caldo e freddo, estate e inverno: tutto si segna nel raggio di sole che arriva a un certo punto della mattina. E si vive anche così».
Storie di amore e di addio, di ritorni, speranze e attese. Di incontri. Nella malattia, dentro la vita.
Fuori e dentro gli ospedali vivono due mondi che scorrono paralleli: quello dei sani e quello dei malati. Ma la malattia non è un'assenza, fa parte della vita: provare a raccontarla con i suoi codici e i suoi tempi, con commozione e rispetto, significa tentare di ricomporre tutti i pezzi dell'esistenza.
«Per piú di un anno ho frequentato ospedali e sale d'attesa, case dove vivono malati, istituti di recupero. Ho indossato un camice da volontaria e sono entrata in silenzio nel mondo della malattia: leucemie, traumi cranici, rianimazione, dialisi, pronto soccorso... È stata un'esperienza forte e dolce al tempo stesso, in cui puntualmente, parlando con i pazienti, ascoltandoli o anche soltanto lanciando un'occhiata nelle stanze d'ospedale, a un certo punto scattava un processo d'immedesimazione potente e inevitabile: ho davanti un malato, ma anche me stessa.
E cosí, per me si è a poco a poco dissolto quel confine invisibile ma nettissimo che separa il mondo "normale", "in salute", da quello di chi convive con la malattia. La nostra modernità ha rimosso la malattia, l'ha isolata in un altro mondo che sembra astratto finché non lo si trova, lo si abita, o semplicemente lo si attraversa. La vita è una prova d'orchestra racconta alcuni luoghi e alcune storie di quel mondo, tramite l'invenzione ma a stretto contatto con la realtà».
Elena Loewenthal