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Furor bellicus. La figura del guerriero arcaico nella Grecia antica
(Temi di storia)EAN 9788856833867
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Tipo
Libro
Titolo
Furor bellicus. La figura del guerriero arcaico nella Grecia antica
Autore
Taviani Paolo
Editore
Franco Angeli
EAN
9788856833867
Pagine
288
Data
2011
Collana
Temi di storia
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Silvia Croce, s.croce79@libero.it il 18 aprile 2012 alle 16:18 ha scritto:
Furor bellicus è un libro appassionante. Per certi tratti corre veloce come un romanzo, poi ti richiede una lettura attenta, poi magari ti commuove.
Taviani intreccia l’antico con il presente in modo inconsueto. E inconsueto è anche il suo punto di vista: un anziano storico delle religioni che riflette sulla violenza e sul Novecento percorrendo i sentieri della Grecia antica.
Sofocle, Euripide, James Connolly, Nelson Mandela, Omero, Pindaro, Aldo Gastaldi (il mitico partigiano ‘Bisagno’) Marek Edelman, Paolo di Tarso, Agostino d’Ippona, Che Guevara, don Milani: questi alcuni dei nomi che si raccolgono sull’itinerario che il lettore percorre accompagnato da Taviani.
Nei capitoli centrali troviamo un saggio di storia culturale greca a tutto tondo. Originale è l’interpretazione dell’Aiace di Sofocle (bellissimo il paragrafo su Salamina), originalissima quella d’Eracle di Euripide.
Il problema del furor bellicus diventa il centro propulsore di una ricerca che cala nel profondo delle nostre radici culturali.
Lo inventarono gli autori cristiani che vissero nell’età dell’alleanza tra Chiesa e Impero, il furor bellicus, per demonizzare i nemici e giustificare le loro eventuali vittorie: non erano opera di uomini quelle vittorie, ma opera di Satana; la vittoria finale del popolo di Dio era comunque garantita.
Ma a fare da contro canto a questa tendenza a demonizzare il nemico (una tendenza ben viva ancora oggi), sta l’eredità greca, in particolare ateniese: la guerra deve essere l’esito di una scelta consapevole e collettiva dell’intera polis, e deve essere combattuta dai suoi membri con una coesione e una disciplina capaci d’imporre una misura alla violenza esercitata. Taviani non è un ingenuo, e cita don Milani per tenere a mente che anche intesa così la guerra può diventare imperialismo e vessazione. Ma una guerra decisa da pochi e combattuta da reparti di professionisti è certo qualcosa di peggio (e molte vicende recenti stanno lì a dimostrarlo).
Il libro di Taviani si offre come testo universitario, ma l’intelligenza dei lettori appassionati di storia della cultura, della nostra cultura e del nostro presente, non resterà delusa.
Silvia Croce