Quello che John J. Pilch, docente dalla Georgetown University di Washington, ha composto è molto simile a un mosaico. Attraverso molte tessere colorate, preparate prevalentemente e gradatamente sulla rivista «Bible Today», ha disegnato un profilo della "cultura" in cui sono stati immersi gli uomini e le donne della Bibbia e, quindi, lo stesso Gesù. Ma è subito importante chiarire proprio quella parola "cultura", che spesso è brandita in modo minaccioso degli intellettuali o sbeffeggiata da chi non la possiede. Per molti, infatti, quel termine attira spontaneamente un corteo di sinonimi di taglio "intellettualistico": sapere, conoscenza, intuizione, erudizione, pensiero, dottrina, formazione, ideologia e così via. Tutto questo è vero, ma è anche incompleto. Sempre più, infatti, si è inclini a riconoscere alla "cultura" un orizzonte di significati molto più vasto e mobile. È così che quel corteo di sinonimi s'allunga comprendendo anche i costumi, le tradizioni, il folclore, il contesto geoclimatico e sociale, insomma, quella che in sintesi è possibile chiamare la "civiltà" di un popolo in tutte le sue sfaccettature e sfrangiature. In passato questi elementi venivano definiti e semplificati con un vocabolo latino, realia, cioè le "realtà" concrete e immediate che identificano un mondo o un gruppo. Nasceva, così, quel genere di sussidi che i tedeschi chiamavano Reallexikon, cioè il dizionario delle realtà bibliche (nel nostro caso). Ora, con lo sviluppo di discipline come l'antropologia culturale, l'etnologia, la sociologia, la psicologia e altre scienze umane, si è giunti alla creazione di dizionari meno frammentari ed elaborati solo su elenchi di "realtà" isolate. Si è più attenti a tracciare quel mosaico a cui sopra si accennava. In esso i vari lineamenti di un popolo nell'arco secolare della sua storia vengono composti in un profilo armonico che non è fatto di tanti punti isolati, ma di vere e proprie traiettorie e fisionomie. Fuor di metafora, elementi dispersi come il muoversi e l'agire delle mani, l'ammiccare degli occhi, la segnaletica, le azioni simboliche, certi aspetti dell'abbigliamento e alcune modalità gastronomiche possono essere tutti ordinati e combinati in un unico lemma che è quello - per altro di grande rilievo - della "comunicazione non verbale". Oppure, al contrario, una "realtà" apparentemente così circoscritta e isolata come la danza può accogliere in sé una serie di componenti molto variegate, dallo spazio al ritmo, dalla musica all'onore ma anche alla vergogna, dalla funzione della donna all'allusione erotica e così via. Si provi, naturalmente, a verificare questo caleidoscopio di significati all'interno della voce che alla danza è riservata nel dizionario di Pilch. L'esemplificazione potrebbe procedere a lungo con molteplici sorprese: i trenta soggetti che qui sono elencati sono in senso stretto dei veri e propri "simboli" che - come dice il vocabolo greco sotteso - "mettono insieme" dimensioni e profili diversi in una serie di "realtà" emblematiche della "cultura" della Bibbia. Ma a questo punto è legittima la domanda: si tratta di un semplice manuale di antropologia culturale dell'Israele biblico? Questo sussidio è qualcosa di più; anzi, potremmo dire che esso si attesta anche su un livello teologico-pastorale. E non tanto perché nell'Indice liturgico finale, con un'indubbia originalità, si fa sfilare tutto il lezionario festivo indicando le voci che potrebbero illustrare quelle letture bibliche. C'è una ragione più profonda che attinge alle radici stesse della Rivelazione ebraico-cristiana. Essa è, infatti, una Rivelazione storica; non è un aerolito piombato dal cielo né è raggiungibile decollando dalle "realtà" per migrare verso orizzonti mitici e mistici. È, invece, un seme deposto nel terreno della storia, è una parola che si fa evento entro le coordinate spazio-temporali, è il Verbo che diventa carne, cioè umanità, cultura nel senso ampio sopra evocato. Come diceva lo scrittore Jorge L. Borges nella poesia significativamente intitolata Giovanni I, 14: «Io che sono l'È, il Fu e il Sarà / accondiscendo al linguaggio / che è tempo successivo e simbolo». Siamo, quindi, nel cuore dell'Incarnazione ove s'intrecciano due respiri, quello fisico e quello mistico, l'immanenza e la trascendenza, la carnalità e la spiritualità, il tempo e l'eterno, lo spazio e l'infinito. Ed è proprio alla definizione del versante in penombra della nostra "realtà" contingente che questo lessico è destinato, impedendo la riduzione della fede biblica a pura gnosi o a vaga spiritualità e del Cristo a mito o a figura solo divina che percorre dall'alto la storia umana. Egli, invece, vi entra e assume proprio quelle parole, quegli usi, quegli abiti e quelle monete, quei cibi e quei profumi, sperimenta le malattie e le paure, gli animali e i luoghi, la vita e la morte e le tante altre "realtà" che costituiscono appunto il mosaico colorato di questo volume.