"Ammiro di un pittore l'indipendenza dalle parole. La vita espressa dalle sue immagini ne fa a meno. A me succede il contrario, ogni immagine percepita si trasforma in linguaggio. L'organo visivo di ognuno trasmette al cervello l'informazione, la mia vista invece è collegata direttamente a un vocabolario. Le figure di Giancarlo Savino non hanno bisogno di sottotitolo né didascalia. Sono spedizioni senza affrancatura. Arrivano a destinazione in qualche parte del corpo, al fegato, alla bocca dello stomaco, alle ginocchia, alla spina dorsale. Evocano il paleolitico deposto in fondo a ognuno, che ha disegnato grotte, caverne, ripari. Il suo inchiostro odora di affumicato, cenere di un fuoco acceso per terra. Ho imparato che nella composizione dell'inchiostro c'entra il ferro, come per il sangue. C'è, o non c'è ma lo vedo lo stesso, un effetto di trasfusione. In questo somiglia allo scrittore, quando riesce a versarsi più che a esprimersi. In altra epoca ho amato le figure di Alberto Savinio. La vicinanza di cognome non c'entra con la parentela stabilita dall'arbitrio del mio gusto. A entrambi si addicono le acqueforti. Conosco Giancarlo Savino da una cinquantina di anni, dal remoto 1900, secolo calato di colpo, alla velocità del sole che tramonta all'equatore. Dipingeva in una stanza sotto il livello stradale, dal marciapiede si scendevano gradini. Pittore a Napoli, non metteva il suo cavalletto su una curva panoramica in collina. Si lasciava intridere dall'umido e dal cupo di strade in cui i panni stesi si asciugavano per stanchezza. All'inizio era visionario, scorgeva colori viscerali nelle penombre. Lo ritrovo in un altro secolomillennio a fissare incubi etilici da astemio. Di questi capovolgimenti interiori è fatta l'opera di artista, di collisioni tra il suo sistema nervoso sotto pelle e l'illuminazione esterna. Sulla superficie di un foglio, di una tela, il sotto e il sopra stabiliscono il reciproco confine, un cespuglio di spine. L'animale, a differenza del genere nostro, non patisce insonnie. Nelle sue figure Giancarlo Savino miscela quest'aggravante della condizione umana con l'attenuante del suo fondo bestiale, che ammansisce lo stato di veglia perpetua e spegne l'occhio sbarrato, aperto dentro il buio." (Erri De Luca)