Tommaso D'Aquino
-Un profilo storico-filosofico
(Frecce)EAN 9788843065349
A buon titolo, dopo le introduzioni a Tommaso di Weisheipl e di Torrell, questo profilo “storico-filosofico” dell’Aquinate di P. Porro può costituire un punto di riferimento importante per chiunque voglia avere un approccio completo alla vita e alla genesi progressiva, secondo uno sguardo diacronico, del pensiero del Dottore angelico. La mole del volume (oltre cinquecento pagine) e l’ampiezza e precisione dei riferimenti rendono lo strumento davvero fondamentale. Del resto dell’autore ricordiamo l’edizione dei Commenti a Boezio (Milano 2007) e di un significativo manuale di storia della filosofia (RomaBari 2009 in collaborazione con C. Esposito).
Come precisa da subito Porro, il volume è un profilo storico-filosofico, per quanto Tommaso non si sentisse un filosofo e non avrebbe accettato di essere considerato tale. La pertinenza della scelta di presentare gli aspetti filosofici dell’opera del Dottore Angelico, deriva dal fatto che Tommaso ha sempre tenuto presente le opere dei filosofi (spesso preponderanti nelle citazioni) e non ha mai smesso di leggere e di commentare le opere di Aristotele e di altri filosofi ed ha scelto di farlo (non vi era infatti tenuto, perché non insegnava nella Facoltà delle Arti); inoltre ha riflettuto e chiarito il ruolo insostituibile che la filosofia può continuare a svolgere all’interno della teologia cristiana e, infine, si è considerato “sapiente”, e se la sapienza per Tommaso è la teologia fondata sulla rivelazione, nondimeno essa conserva molte delle caratteristiche attribuite da Aristotele alla filosofia. A ciò si aggiunga il fatto che, secondo Porro, «la dottrina aristotelica delle subalternazione delle scienze […] è la vera chiave di volta dell’intero edificio della scienza teologica» (16).
L’autore opta per un percorso diacronico: il pensiero di Tommaso è analizzato nel suo stesso farsi, ripercorrendo in ordine cronologico le varie fasi della produzione, evidenziando continuità, ripensamenti, snodi problematici e presentando per ciascuna opera i temi di maggior rilievo. Il cap. I (19-73) ricostruisce gli anni della formazione e del baccellierato. L’analisi si sofferma su due primissimi scritti di Tommaso (siamo intorno al 1255), I principî della natura e il De ente et essentia, per poi dedicare più ampio spazio al Com mento alle Sentenze. Di quest’ultima opera sono analizzati i cinque articoli della questione che segue il prologo che permettono una prima messa a punto del rapporto teologia e filosofia, pongono la questione (molto complessa in Tommaso) dell’analogia, riflettono sullo statuto scientifico della teologia e la teoria della subalternazione, chiariscono in che modo sia possibile avvalersi delle argomentazioni nella scienza teologica e, infine, tematizzano la questione della conoscibilità dell’esistenza di Dio. La necessità della teologia, la scienza per eccellenza, che permette di conoscere cose nuove a partire dalle promesse offerte dalla rivelazione (articula fidei), ci dice come il tempo della filosofia per Tommaso sia concluso, sia un’esperienza passata. Per questo, la filosofia in quanto tale (non certo il ricorso alla filosofia) è superata, inattuale, una realtà archiviata e proprio per questo fruibile nella sua piena autonomia, come il patrimonio di ciò a cui la ragione naturale può pervenire. Occorre adesso, invece, fare spazio a una nuova scienza ed è questo il senso dell’impresa scientifica di Tommaso: «non si tratta di realizzare una sintesi tra ragione e filosofia da una parte e fede e teologia dall’altra, come se la ragione stesse tutta dal lato della filosofia e la fede tutta dal lato della teologia; si tratta piuttosto di costruire una nuova scientia che necessariamente dovrà innalzarsi sulla filosofia, e far leva su di essa – pur muovendo razionalmente, come detto da principî diversi» (69).
Il cap. II si occupa delle opere della prima reggenza a Parigi (1255-1259). Siamo nel pieno dello scontro tra clero secolare e ordini mendicanti con le dispute circa la legittimità per questi ultimi di ricoprire cattedre universitarie. In un clima rovente Tommaso riceve la licenza quindi il dottorato (primavera 1256) e pronuncia come principium una lezione sul Salmo 103,16: Ri gans montes. A questo primo periodo di reggenza risalgono le Quaestiones disputatae de Veritate. Dall’opera, che null’altro è se non un trattato sui trascendentali, viene analizzata la questione iniziale con particolare riferimento alla nozione di verità. Secondo Tommaso il vero non è una proprietà in sé delle cose ma dell’intelletto in rapporto alle cose; perciò la celebre formula veritas est adaequatio rei et intellectus non è da intendersi «nel senso più ingenuamente realistico di un puro rispecchiamento, da parte dell’intelletto, dello stato esterno delle cose, ma nel senso che l’intelletto ha la capacità di adeguarsi (conformarsi) alla cosa, aggiungendovi qualcosa che essa ancora non ha» (87). Della scienza di Dio e della conoscenza dei singolari si occupa la II questione. A proposito della conoscenza l’autore invita a ridimensionare la conclusione corrente di un Tommaso campione del realismo noetico: il mito di un Tommaso ultrarealista pare più un’invenzione del neotomismo che un dato oggettivo del suo pensiero (cf. 97). Il capitolo dedica un certo spazio anche ai Quodlibeta VII-XI che, secondo il loro genere letterario, costituivano un’occasione straordinaria di confronto e scontro tra colleghi della stessa facoltà. Infine sono analizzati il Commento di due dei cinque opuscoli teologici attribuiti a Boezio: il De Trinitate e il de (h)ebdomadibus, una scelta – quella del commentare Boezio – che fa di Tommaso un’eccezione, data la perdita di rilievo degli scritti boeziani nel sec. XIII. Ricostruite le diverse ipotesi circa la redazione del Commento, opera che, secondo l’autore, «rappresenta forse il testo più significativo di Tommaso intorno alle questioni dello statuto scientifico della teologia da una parte e della metafisica dall’altra» (141) e costituisce il vero e proprio manifesto metodologico di Tommaso (cf. 159), si procede a presentarne le tematiche fondamentali: la conoscibilità di Dio, il ruolo della ragione e della filosofia nell’ambito della teologia nella direzione della circolarità, la divisione e i modi della scienza speculativa, la metafisica e il suo rapporto con la teologia.
In un clima ancora di scontro all’interno dell’università si conclude il primo periodo di insegnamento parigino di Tommaso che nel giugno 1259 si reca a Valenciennes per il capitolo generale dei domenicani, un capitolo decisivo per l’organizzazione degli studi in seno all’ordine che si concluse con il riconoscimento del valore dello studio delle arti (della filosofia) oltre che della teologia; fu un vero punto di svolta, vista la proibizione antica delle costituzioni dei domenicani di studiare i libri dei pagani e dei filosofi; la decisione spiega anche perché Tommaso continuerà fino agli ultimi anni della sua vita a leggere e commentare Aristotele. Dopo Valenciennes, probabilmente Tommaso si prende tempo per dare forma all’imponente progetto già iniziato a Parigi, ovvero la Somma contra i gentili o più propriamente da chiamare Liber de veritate catholicae fidei contra errores infidelium. L’opera non è contro qualcuno, ma è concepita come una meditazione intorno alla verità e alla sua ricerca, cioè alla sapienza, ed è nell’orizzonte di questa ricerca della verità che occorrerà anche confutare l’errore. Del resto la comunicazione della sapienza, quale compito del sapiente cristiano, rappresenta il programma e progetto di Tommaso espresso già in Rigans montes. Inoltre l’Expositio de veritate intende sviluppare compiutamente il programma del Super Boetium de Trinitate: esporre la verità con ragioni dimostrative, risolvere gli argomenti contro la verità e farlo ricorrendo ad autorità che gli interlocutori/avversari possano comprendere e condividere, dunque non scritturali; ora, però, poiché la verità rivelata sorpassa la ragione e di conseguenza fa appello all’autorità – che è inefficace per chi non crede – il compito del sapiente si configura soprattutto in senso negativo, come dimostrazione della non-necessità degli argomenti degli avversari, al fine di mostrare la possibilità delle verità di fede. Illustrata la struttura, l’autore analizza alcune tematiche, in primis l’esistenza di Dio; nella Summa contra gentiles incontriamo, infatti, una prima elaborazione delle vie e anche il riconoscimento (cf. I, 14) che il miglior approccio a Dio è quello negativo, senza che questo significhi lontanamente cedere all’irrazionalismo: non si può rinunciare all’esercizio della ragione nonostante l’ammissione dell’eccedenza di Dio rispetto alle possibilità cognitive della ragione. Le grandi Summae di Tommaso, scrive l’autore, «andrebbero lette in questa prospettiva: esse non pretendono di sistematizzare o peggio ancora riassumere ciò che Dio è, ma di riconoscere l’inconoscibilità ultima dell’essenza divina, senza che ciò si traduca in una sorta di pigrizia o sacrificio dell’intelletto» (174-175). Tra gli altri temi analizzati abbiamo la funzione del verbo concepito dall’intelletto alla conclusione dell’atto cognitivo (con la revisione tormentata dei cap. 53 e 54), l’esistenza di enti necessarî diversi da Dio e installati nel loro essere necessario da Dio stesso, la creazione e le creature, l’anima dell’uomo, la distinzione tra essere e essenza, la dottrina della felicità. In particolare, su quest’ultimo tema, è da registrare l’idea che essendo Dio il fine di tutte le cose e tendendo le cose a Dio secondo la loro natura, l’uomo persegue il fine attraverso l’operazione più elevata, ovvero la conoscenza intellettuale, il che ci dice il primato dell’attività speculativa, che marcherà la differenza con la tradizione francescana nella quale il primato è della volontà che ama Dio, tanto che se per Tommaso la teologia rimane scientia magis speculativa quam pratica, per Bonaventura la teologia è pratica, ed ha lo scopo di renderci buoni (ut boni fiamus). La presentazione degli altri scritti del periodo in cui Tommaso è assegnato come lettore al convento di Orvieto (dal settembre 1261) conclude il capitolo.
Il 1265 è l’anno in cui Tommaso, per decisione del capitolo provinciale di Anagni, torna a Roma per fondare un nuovo studium (a Santa Sabina), nel quale, di fatto, è l’unico docente. Ed è proprio nella breve esperienza dello studium che matura l’idea di comporre la Summa theologiae per offrire, come dirà lui stesso nel prologo, uno strumento didatticamente più efficace e adeguato agli incipientes, a coloro che sono principianti nello studio della teologia. Nel periodo romano vede la luce il Commento ai Nomi divini dello Pseudo-Dionigi, una prima preziosa occasione per Tommaso per fare i conti con la tradizione platonica di cui respinge la dottrina della separazione delle forme e accoglie la dottrina dei principî, soprattutto nella sua riformulazione neoplatonica e procliana. Ampio spazio l’autore lo dà alla presentazione delle Questioni sulla potenza, prima di occuparsi della prima parte della Summa theologiae. I punti filosofici analizzati della Summa sono le cinque vie della quaestio 2 (cf. 268-276) e la problematica della conoscenza. Sempre agli anni di Roma risalgono le Questioni sull’anima che «permettono di ricostruire alcuni dei punti fondamentali dell’antropologia di Tommaso, a partire dalla convinzione della fondamentale unità del composto umano – una delle vere e proprie cifre del pensiero tommasiano» (290). Fedele all’ilemorfismo aristotelico, ma pur consapevole del dato teologico che ci parla di un’anima che sussiste autonomamente, Tommaso mentre ripete che l’uomo non è la sua anima, ma sempre l’unione di anima e corpo, vede nell’operazione di conoscere ciò che è intellegibile e immateriale, la condizione che, mentre presuppone il corpo, può essere esplicata anche indipendentemente dal corpo. Il periodo di Roma segna anche l’inizio dei commenti ad Aristotele. Pur non obbligato a leggere Aristotele, Tommaso «ha deciso di riprendere in mano le opere aristoteliche e di commentale con grande cura, non solo per rendere Aristotele più intellegibile agli altri (come la pubblicazione dimostra), ma anche, se non soprattutto, per acquisirne personalmente una padronanza ancora più perfetta e sicura, da utilizzare e mettere a frutto nella stesura delle proprie opere teologiche» (310). Il Commento al De Anima è il primo di una lunga serie di testi a cui Tommaso si dedicherà soprattutto durante la seconda reggenza parigina e gli ultimi anni a Napoli. A Parigi, in vista della stesura dell’imponente seconda parte della Summa Theologiae, Tommaso commenterà l’Etica Nicomachea in due scritti. A questi testi e agli altri numerosi commenti aristotelici del secondo periodo parigino l’autore dedica ampia parte del cap. V (cf. 361-363 e 370-403). Naturalmente il secondo periodo a Parigi (1268-1272), dove Tommaso è richiamato in un momento di ripresa delle controversie tra clero secolare e ordini mendicanti, è il tempo in cui vede la luce la seconda parte della Summa, nella quale è messo a tema l’agire umano in generale e nei suoi ambiti particolari. L’autore si concentra su alcuni snodi più rilevanti in prospettiva filosofica: le passioni, i principî dell’agire umano, le virtù morali, la legge. Non è trascurata una presentazione delle altre opere del periodo, dal De malo al De substantiis separatis (cf. 319-335 e 403-453).
Il capitolo conclusivo ci porta a Napoli, dove Tommaso decide di stabilire la sede dello studium dopo aver ricevuto dal capitolo di Firenze nel giugno 1272 il compito di fondare un nuovo studium. L’ultimo momento del volume è una ricostruzione della posterità e della storia degli effetti della teologia di Tommaso: dalla condanna di Tempier e dei maestri oxoniensi (R. Kilwardy e G. Peckham) fino alla progressiva affermazione di Tommaso sancita dalla canonizzazione e proclamazione a dottore della Chiesa (1567) e dalla scelta di Tommaso come campione della filosofia perenne da opporre ai novatores (l’Aeterni Patris e il neotomismo). Un’ampia bibliografia, che fa il punto sulle edizioni e traduzioni delle opere di Tommaso e raccoglie numerosi titoli citati nei capitoli, conclude questo considerevole studio di P. Porro che introduce a Tommaso e lo rende familiare, grazie ad un linguaggio chiaro che non trascura l’analiticità ma permette anche ai “digiuni” di Tommaso di prendere dimestichezza con il suo pensiero e le sue opere così sterminate e ricche.
Tratto dalla rivista Lateranum n.3/2013
(http://www.pul.it)
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Remo Quadalti il 22 settembre 2017 alle 22:16 ha scritto:
ottima introduzione stile manuale.