La musica è un'idea, mai un fatto. È straniera nel nostro mondo, una temibile intrusa. Come possiamo del resto conoscere e fidarci di ciò che ignora gli interessi umani? Eppure ne facciamo materia di studio e dissertazione, illusi di possederla quando è lei a possedere noi, inevitabilmente. Perché il suo fascino è proporzionale alla violenza con la quale vanifica ogni nostra aspirazione, disattende ogni aspettativa, e riconduce là dove la ricerca spasmodica dell'utile ci impediva di approdare: al cuore stesso dell'ignoto. Tale è la musica per Alberto Savinio: rivelazione metafisica reale, anche se indicibile. Reale proprio perché indicibile. Come parlarne, allora? Da artisti, è la risposta che emerge dai resoconti di Savinio dell'intensa vita musicale della prima metà del Novecento. Perché, a suo dire, la critica non può limitarsi a dare giudizi, ha un compito più alto: inventare. Così, nelle vesti di critico musicale, Savinio non dismette i mezzi maturati come pittore, poeta, drammaturgo e musicista, li orchestra in una prosa sopraffina e tagliente che, mescolando parole a immagini e suoni, riporta sempre l'ascolto alla dimensione ineffabile del puro incontro estetico. La fantasia e l'ironia si sostituiscono all'informazione e alla descrizione, mentre improvvise divagazioni in apparenza «fuori tema» trasformano la cronaca in riflessione generale su temi sociali e culturali, fucina di originali valori artistici. "Scatola sonora" raccoglie gli scritti musicali che Savinio compose fra gli anni venti e il secondo dopoguerra, pennellate rapide e luminescenti che danno vita a un quadro lucido, profondo, sagace, dirompente, corrosivo, polemico, ispirato, da ultimo insostituibile, di «quel miracoloso prolungamento dell'infanzia» che per Savinio è l'esperienza artistica. Con un saggio di Mila De Santis.