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Nuovo corso di teologia sistematica [vol_5] / Trattato sulla Chiesa
(Grandi opere)EAN 9788839924056
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DETTAGLI DI «Nuovo corso di teologia sistematica [vol_5] / Trattato sulla Chiesa»
Tipo
Libro
Titolo
Nuovo corso di teologia sistematica [vol_5] / Trattato sulla Chiesa
Autori
Dianich Severino, Noceti Serena
Editore
Queriniana Edizioni
EAN
9788839924056
Pagine
592
Data
gennaio 2002
Peso
880 grammi
Altezza
24 cm
Larghezza
17 cm
Collana
Grandi opere
COMMENTI DEI LETTORI A «Nuovo corso di teologia sistematica [vol_5] / Trattato sulla Chiesa»
Recensioni di riviste specialistiche su «Nuovo corso di teologia sistematica [vol_5] / Trattato sulla Chiesa»
Recensione di Gaudenzio Zambon della rivista Studia Patavina
Il Vaticano II è passato alla storia come il “Concilio della Chiesa sulla Chiesa” sia per i contenuti trattati sia per il metodo di lavoro seguito dalla fase di raccolta di preparazione alla discussione avvenuta tra i Padri in Aula. Nei primi decenni postconciliari, c’è stata una fase assai vivace di studio ed interpretazione dei testi, di tentativi pastorali di applicazione dei contenuti ecclesiologici. Nel contempo, i teologi hanno assunto posizioni teologiche diverse e talvolta di schieramento di fronte tra progressisti e conservatori, sulla base di aspetti particolari assunti a fondamento del rinnovamento ecclesiologico. Ciò li ha esposti al rischio di una lettura unilaterale della esperienza di chiesa e di una comprensione astratta dell’autocoscienza ecclesiale a scapito della sua natura storica e misterica. In negativo, questo è il punto di avvio di Trattato sulla Chiesa: riflettere sulla chiesa evitando di scegliere una pista interpretativa piuttosto che un’altra, la contemplazione della Chiesa anziché la legittimazione dell’istituzione; in positivo: rispondere al «bisogno fondamentale di capire, attraverso la ricerca di una autentica intelligentia fidei, perché e come dal dono ineffabile della comunione (…) derivi un’istituzione e un’istituzione così imponente, complessa e pesante, come è l’istituzione ecclesiastica» e come «una simile istituzione possa e debba farsi comandare, sostenere e riformare , sempre a partire dalla consapevolezza di fede che essa ha senso ed ha ragione di esserci in mezzo alla vicenda degli uomini, solo in quanto espressione e strumento di un dono divino destinato all'unità e alla pace di tutto il genere umano» (p. 7). Pertanto, «bisogna sforzarsi di argomentare e di argomentare partendo dai fatti, perché la Chiesa è un fatto. Questa chiesa che oggi esiste, questo è l’oggetto di un trattato di ecclesiologia» (ibidem).
Gli autori sono Severino Dianich docente di ecclesiologia nella Facoltà teologica dell’Italia centrale, nella sede di Firenze e nella Diocesi di Pisa e la sua assistente Serena Noceti che è docente di teologia dogmatica nella medesima Facoltà e nell’Istituto Superiore di Scienze religiose da essa sponsorizzato. Dianich è Autore di numerose opere di ecclesiologia e di studi a carattere monografico sui problemi della missione, del ministero ordinato e del laicato. Il Trattato sulla Chiesa si colloca sulla loro scia. Non però per aggiungere qualcosa di nuovo e nemmeno per ritrattare punti di vista del passato ed ora non piú condivisi. Ma per metterli in relazione con ciò da cui la Chiesa ossia la fraternità dei credenti in Cristo acquisisce senso, forma e rilevanza storica.
Nel Trattato viene proposto un percorso che si snoda attraverso sette capitoli, preceduti da una breve “Introduzione” (pp. 5-10) e seguiti da una sintesi riepilogativa (“Conclusione”, pp. 547-557).
Il primo su “L’aggregazione religiosa” (pp. 11-71) analizza la Chiesa dal punto di vista fenomenologico. Da tale punto di vista, essa si presenta nella forma di una aggregazione simile, per un verso, a quella di altre istituzioni religiose quali il giudaismo, la comunità islamica e distinta da esse, per un altro, perché fondata sull’assenso dei singoli nei confronti della proposta di vita di Gesú. In tale aggregazione, soggetto storico determinato, sono molteplici le figure istituzionalizzate che si definiscono ‘chiesa’. Per questo, essa appare come un soggetto collettivo con una identità variabile. Tale identità dipende dalle azioni comunicative, dai processi di socializzazione e di integrazione sociale che i diversi soggetti stabiliscono tra loro sulla base della loro autocomprensione credente. Pertanto, dal punto di vista storico, si può dire che sin dall’inizio l’autocomprensione dell’aggregazione dei credenti in Cristo ha dato espressione ad una pluralità di identità confessionali: chiese orientali non calcedonesi e chiese ortodosse, chiese della Riforma e chiesa cattolica romana. Ma mentre l’identità confessionale si stabilisce attraverso il confronto con le altre chiese, con la loro forma e la loro autodefinizione, l’identità ecclesiale si configura in relazione alla persona di Gesú Cristo. È su quest’ultimo elemento generatore che si deve concentrare la domanda su cosa sia chiesa e sul perché essa esista, su ciò che appartiene alla sua essenza e su ciò che è frutto di sviluppo storico. Nell’ultimo secolo, l’autocomprensione ecclesiale si è espressa attraverso tre categorie di valore semantico diverso: società, comunità, popolo. La preferenza per l’una o per l’altra categoria è determinata dall’influsso di elementi di diversa natura. Se la nozione di chiesa ‘società’ è stata mutuata dal linguaggio sociopolitico e quella di chiesa ‘comunità’ dallo sviluppo culturale e filosofico, il concetto chiesa ‘popolo di Dio’, invece, è divenuto una categoria interpretativa fondamentale perché sintetizza l’essenza della chiesa dal punto di vista misterico e dal punto di vista storico. Quindi, dal punto di vista dell’aucomprensione ecclesiale non è indifferente dire che la chiesa è società, è comunità, è popolo.
Il secondo capitolo su “L’autocoscienza della Chiesa” (pp. 73-137), approfondisce il livello descrittivo del «quadro coscienziale dell’aggregazione cristiana» illustrando i dati del Nuovo Testamento nei quali emerge la coscienza che la Chiesa ha avuto di sé nel momento fondativo e tenendo conto sia delle varianti storiche sia del processo di differenziazione del cristianesimo dall’ebraismo. Il “quadro coscienziale” è quello di una aggregazione religiosa nata da Gesú per un disegno di unità, di giustizia e di pace da offrire a tutto il mondo; essa germina dalla testimonianza interiore dello Spirito in coloro che professano che “Gesú è il Signore”. É la Chiesa ossia la comunità dei credenti che aderiscono a Gesú Cristo e che danno vita al Regno di Dio rimanendo al di dentro della storia e facendo maturare la compagine umana.
Nel terzo capitolo (“L’interpretazione teologica”, pp. 139-240), la riflessione sul “quadro coscienziale” passa dal livello descrittivo a quello teologico. È il capitolo piú denso ed importante dell’intero Trattato. Nelle prime pagine, gli Autori rendono conto di quei metodi teologici che assumono concetti o modelli interpretativi estranei alle dinamiche dell’atto di fede e, pertanto, inadeguati ad una interpretazione teologica della Chiesa. Esistono, infatti, diversi modi di utilizzare i modelli a seconda della funzione loro attribuita: ‘modello di qualcosa’ o ‘modello per qualcosa’ o modello che raffiguri ‘come accade qualcosa’. In teologia, poiché l’intelligentia fidei verte su un oggetto che è evento e prassi ecclesiale, occorre trovare un modello con una funzione interpretativa complessiva che raffiguri ‘come accade qualcosa’ così che sia nel contempo ‘modello per far accadere qualcosa’. In ecclesiologia, tale modello deve consentire di poter «isolare all’interno della realtà della Chiesa, in tutta l’immensa vastità e complessità di elementi e di dinamiche con cui di fatto essa si dispiega nella storia ed opera nella vicenda umana, un atto solo, un momento singolare» di Chiesa , «un principio dinamico» dal quale essa viene continuamente riprodotta (p. 162). Si tratta di quel modello con «funzione euristica» che gli Atti raccontano al capitolo 2. Lì, l’atto di comunicazione della fede si costituisce come evento di ecclesiogenesi da cui nascono nuove relazioni interpersonali e sostanziali cambiamenti di vita. Nell’ultima parte del capitolo, gli Autori offrono una interpretazione teologica della Chiesa fondata sulla ‘comunione’ intesa come «rete relazionale nella quale si trovano implicati i protagonisti della comunicazione della fede». Il legame di comunione non è effetto dell’agire comunicativo dei credenti in Cristo bensì di una realtà che viene dall’alto (p. 168). Da ciò derivano importanti considerazioni sulle logiche che regolano le relazioni all’interno della Chiesa e la individuazione dei caratteri essenziali della sua struttura ed anche nuove prospettive riguardanti il rapporto con i non credenti, con la società ed il mondo, con le altre religioni.
Il Trattato prosegue nei successivi capitoli illustrando le caratterizzazioni essenziali della struttura ecclesiale. In primo luogo “La missione” (capitolo quarto, pp. 241-288): «Se l’annuncio è il principio esplicativo della dinamica dell’ecclesiogenesi e se l’ecclesiogenesi è il piú adeguato modello euristico in ecclesiologia, ne dobbiamo derivare che tutta la comprensione della chiesa passa attraverso la comprensione del suo atto missionario fondamentale, quello della comunicazione della fede. È intorno a questo atto che si svela in forma empirica il dono della comunione, si forma la comunità ecclesiale, se ne compone la struttura e si intreccia il rapporto della chiesa con il mondo» (p. 241). Tuttavia, nella attuazione pratica essa si presenta con una infinità di forme diverse. Infatti, l’opera di evangelizzazione propriamente detta deve coniugarsi con il ministero di riconciliazione per la costruzione dell’unità della famiglia umana, della giustizia e della pace, con l’ascolto dei bisogni degli uomini e con l’esigenza di inserirsi nella loro esistenza, in ogni momento nella storia e con i rischi che essa comporta. Qui trovano spiegazione le varianti della missione o del quadro di riferimento in cui si dà storicamente l’atto missionario della chiesa. Le varianti della missione danno luogo alla diversità di ‘paradigma’ missionario: il paradigma della missione compiuta, quello della missione ‘estera’, quello della missione impedita, quello socio-politico. Se la missione ha il proprio centro propulsore nell’annuncio, essa, tuttavia, deve misurarsi «continuamente in rapporto al Regno di Dio atteso come mèta ultima della storia e compimento del destino del mondo» (p. 258). A questo punto, gli Autori si pongono due domande: ‘che cosa’ deve fare la chiesa nella storia? ‘quando’ si dà un atto missionario? La risposta alla prima richiede la distinzione di due aspetti del Regno di Dio: l’aspetto individuale che comporta l’offerta della fede a tutti e il sostegno nel cammino di adesione a Cristo; l’aspetto storico che impegna la chiesa nel coinvolgimento con il soggetto collettivo umano, i popoli e la loro storia, le classi sociali e i loro problemi. Ciò non significa che la chiesa deve appiattirsi sulle esigenza umane e sociali. Essa, semmai, poiché non coincide con il regno di Dio, deve operare nella storia in modo da «indicare costantemente l’oltre, in una forte e positiva critica del presente»; non deve sostituirsi al ‘regno degli uomini’, ma viverci dentro «denunciando i limiti e le colpe di ogni realizzazione umana, comprese le proprie colpe e i propri limiti, in difesa dell’uomo e per la promozione di una felice convivenza umana» (p. 264). La risposta alla seconda chiama in causa la riflessione sui criteri dell’atto missionario della chiesa. Essi derivano dall’analisi dei diversi paradigmi della missione. Studiandoli a fondo, emerge qualcosa di comune a tutti ossia che l’annuncio del vangelo sta sempre, e in un qualche modo, al centro di una tensione tra una interpretazione misterica e una interpretazione secolare della salvezza. Questo è quanto appare anche dall’analisi dei documenti del Magistero pontificio sulla missione della chiesa quantunque, quelli pi
recenti di Giovanni Paolo II, sembrano orientati ad darne una visione globale comprendente sia gli aspetti contemplativi della missione sia quelli culturali, antropologici e sociali. Pertanto, i criteri a cui deve attenersi l’atto missionario della chiesa sono fondati da una parte sui due lati della missione, quello mistico e quello politico, e dall’altra sulla necessità di distinguere ciò che è assoluto e che le si impone da ciò che è relativo e che le si propone come fattibile.
Dal capitolo sulla missione si passa a quello su “I caratteri della Chiesa” (capitolo quinto, pp. 289-385). Lo schema apostolico delle quattro note della chiesa “una - santa - cattolica - apostolica” alle quali normalmente si attengono i trattati di ecclesiologia, viene ampliato e portato a otto. In coerenza con la prospettiva teologica adottata, gli Autori li illustrano con questo ordine: chiesa carismatica, sacerdotale, santa, apostolica, indefettibile, infallibile, cattolica, unica e unita. Si parte dalla considerazione del ‘carisma’ per ribadire che non si può dare chiesa se non in forza di un dono elargito dallo Spirito dal quale nasce anche l’aspetto istituzionale. L’accento posto in primo luogo sulla dimensione carismatica della chiesa allontana dall’idea che essa sia una concretizzazione umana. In questo modo, si completano le osservazioni critiche verso le forme di chiesa ‘societas’ e ‘comunità’ presentate nel primo capitolo dalle quali vengono di solito mutuati i termini per esprimere l’identità ecclesiale. Lì, gli Autori avevano preso le distanze dal termine ‘comunità’, di origine sociologica, vicino alla sensibilità moderna, evocativo di sentimenti comuni fino ad assumere un valore quasi magico ma «segnato da scarsa capacità euristica, incapace di spiegare i processi dell'evento ecclesiale» (p. 61). Infatti, secondo gli Autori, la chiesa ancor prima di essere comunità è comunione allo stesso modo che la fede prima ancora di essere comunicata viene donata e posta alla base di ogni esperienza ecclesiale. Alla chiesa carismatica segue la chiesa sacerdotale. Gli Autori reinterpretano il sacerdozio alla luce dei dati del Nuovo Testamento dove esso, contrariamente alla accezione sacrale che ne ha trasmesso il senso nella storia in modo riduttivo, viene attribuito a tutta la compagine ecclesiale. Infatti, Pietro, nella sua prima lettera, chiama la chiesa «sacerdozio regale e nazione santa» (1Pt 2,9) e applica alla comunità il carattere sacerdotale che Es 19,5-6 aveva precedentemente attribuito al popolo di Israele. Anche nei Vangeli, e poi in tutta la successiva letteratura apostolica, il sacerdozio dei fatti e della vita precede quello dei riti e del culto liturgico. In particolare, una attenta lettura esegetica di alcuni testi, soprattutto Rom 15,16 e Fil 2,17, mostra la comprensione apostolica della nozione di sacerdozio. Nel testo della lettera ai Romani, Paolo parla dell’incarico di predicare il vangelo come se fosse una investitura sacerdotale e nella lettera ai Filippesi immagina il suo futuro martirio come una vita offerta in libagione sulla vittima sacrificale che è la vita di fede di coloro ai quali egli ha predicato il vangelo. Da ciò derivano molte altre osservazioni sulla dimensione esistenziale del sacerdozio. Esso si estende a tutti quegli aspetti antropologici che connotano la vita di un uomo di fede, nuovo ‘tempio dello Spirito’, come vita di oblazione e di mediazione per l’avvento del Regno di Dio nella storia. In tale contesto va cercato il senso generale del culto liturgico e quello specifico dell’azione rituale che si svolge all’interno dei sacramenti della chiesa. Il medesimo discorso vale per la ‘chiesa santa’. La santità va colta nel cuore della genesi ecclesiale (1Gv1,1-4). Essa è inerente alla koinonia divina ed è data alla chiesa nella comunione con Dio e tra le persone. Prima ancora di essere uno status acquisito, essa è un processo di santificazione che comprende momenti di riforma e di conversione alle quali tutti i cristiani sono chiamati a prendere parte in modo attivo e responsabile. Inoltre, la chiesa è apostolica poiché essa è continuamente sottoposta al giudizio della testimonianza resa dagli Apostoli (predicazione e Scrittura) ed ha coscienza di essere tutta inviata e tutta dedita nell’impegno di trasmissione e di fedeltà al vangelo. Tuttavia, la chiesa saprà mantenere la sua posizione nel tempo alla luce di quella fede per cui essa crede che tutta la storia è destinata al compimento del Regno? L’interrogativo concerne sia la durata della chiesa sia la qualità dell’annuncio. La risposta l’ha già data Gesú quando assicurò di rimanerle presente fino alla fine del mondo facendo di essa il corpo di quell’umanità che è destinata a passare dalla condizione mortale alla vita della risurrezione. Per questo la chiesa è indefettibile ed è anche infallibile. Quest’ultima caratteristica, pur non essendo attestata nel Nuovo testamento, emerge via via come una funzione di garanzia del depositum fidei (contro le eresie) e di esistenza dello Spirito (chiesa sorretta dalla grazia). Per questo, la chiesa può impegnarsi nella testimonianza della fede utilizzando, se ce ne fosse bisogno, nuovi asserti per dire la verità della Parola all’uomo in qualunque situazione esso si trovi. In tale compito è impegnato l’intero soggetto ecclesiale all’interno del quale, come corpo articolato, vescovi e papa partecipano alla infallibilità della Chiesa. La chiesa, inoltre, è cattolica. Qui la riflessione, partendo dal modo in cui è stata intesa lungo la storia, si allarga alla considerazione del rapporto che intercorre tra chiesa locale e chiesa universale. Il punto di avvio della riflessione è dato da quanto afferma il Vaticano II in CD 11 (vedi anche SC 41 e LG 26) dove vengono indicati gli elementi per una visione complessiva ed organica: il vangelo annunciato, l’eucaristia e il ministero episcopale. Ma la chiesa si concretizza e diviene se stessa se vi è una comunità di persone che accolgono il vangelo e si riuniscono in un luogo e in uno spazio per celebrare l’eucaristia. Pertanto, agli elementi costitutivi (vangelo, eucaristia, ministero) va aggiunto il ‘luogo’ come fattore che determina la natura teologica della chiesa e la definisce anzitutto, in senso assiologico, come chiesa locale. Tuttavia, poiché non si dà chiesa locale se non in comunione con le altre chiese in ragione della traditio e del riconoscimento reciproco, va da sé che la chiesa locale esiste simultaneamente alla universa ecclesia, come un «tutto ‘co-fondato’. Nell’orizzonte di un’ecclesiologia dalla chiesa locale si può pensare la sinodalità della chiese, in una “teoria dell’autorealizzazione della chiesa nelle chiese”» (p. 358). Infine, la chiesa è ‘unica’ e ‘unita’ perché deriva dalla koinonia divina che è fonte unica di comunione nell’azione di Cristo e dello Spirito e nell’orientamento escatologico da essi conferitole (il Regno di Dio). Tuttavia, l’unica chiesa di Cristo è data storicamente in una pluralità di Chiese. Come dunque conservare una consonanza di fede, di professione e di forma ecclesiale? Il modello a cui ispirarsi nella volontà di tendere verso l’unità visibile è quello della “koinonia nella diversità riconciliata” elaborato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese nel 1991 durante l’assemblea tenutasi a Canberra. Ciò comporta che il cammino verso l’unità visibile si compia all’interno di un processo dinamico che richiede ad ogni chiesa la disponibilità a ripensare se stessa, nel dialogo con le altre confessioni e ad autorelativizzare le forme assunte lungo la storia.
Il capitolo successivo propone una interessante, approfondita e solida interpretazione teologica dei ministeri (capitolo sesto, pp. 387-487) che raramente si trova nei manuali di ecclesiologia. Nella pagine introduttive viene richiamato il percorso teologico esposto nei precedenti capitolo e viene precisato che «qualunque riflessione sulla soggettualità ecclesiale e qualsiasi riferimento all’operosità dei membri della chiesa vanno collocati nell’orizzonte globale del servizio al Regno» (p. 388). Infatti, come afferma AA 2, «la missione è unica, molteplici sono i ministeri». Su tale base, è ovvio che il modello di riferimento non può essere il prete bensì «il cristiano comune che, in forza della fede e del suo sacerdozio, in tutte le cose che fa con fede e nell’amore di Dio e del prossimo, offre a Dio un sacrificio gradito e contribuisce per la chiesa all’adempimento della sua missione messianica. Non si può quindi costruire una tipologia nella quale si dia, quasi a priori, un elenco di ministeri ben determinati e ben distinti fra di loro. Lo si può fare solo per due ministeri che derivano da due specifici sacramenti: il ministero della coppia cristiana e il ministero dell’ordine» (p. 389). La suddivisione del capitolo in tre parti (ministeri dei laici, ministero degli sposi, ministero ordinato) non intende distinguere e, nel contempo, affermare l’esistenza nella chiesa di «tre categorie di diversi soggetti investiti di ministeri diversi, ma prima di tutto tre sorgenti di carismi che determinano la vita dei cristiani: il battesimo, il matrimonio, l’ordine» (ibidem). Nella “Conclusione” vengono ribaditi alcuni punti fermi attorno ai quali è stato costruito l’intero capitolo: il popolo di Dio è il soggetto ecclesiale fondamentale. Di conseguenza, la riflessione sarà: in primo luogo, sull’operosità dell’insieme de battezzati ossia sui ‘cristiani comuni’; in secondo luogo, sulla coppia degli sposi costituiti sacramentalmente come un novo soggetto collettivo la cui forma di vita comunitaria è di fondamentale importanza per la società e per la chiesa; in terzo luogo, sul ministero ordinato che a differenza degli altri, è costitutivo della struttura fondamentale della Chiesa.
L’ultimo capitolo è dedicato a “Le istituzioni ecclesiastiche” (pp. 489-546). Qui viene considerato il momento in cui il dono della comunione, da cui nasce la chiesa, si rende visibile e dà contenuto e valore alle istituzioni ecclesiastiche. Si tratta di un argomento a cui sono interessate sia la teologia sia la scienza canonistica. Per questo, nella prima parte del capitolo si riflette in modo generale sulla «plausibilità ed il senso dell’insorgenza nella chiesa di forme giuridiche che pretendano di inerire essenzialmente al mysterium ecclesiae» (p. 490); nella seconda, vengono studiati quei processi di istituzionalizzazione delle aggregazioni ecclesiali che derivano dalla libera iniziativa di singoli e di gruppi e che non si impongono a tutti i credenti quali strutture di base della vita cristiana; nella terza, vengono approfondite le forme istituzionali di base della chiesa: la parrocchia, la diocesi e l’organizzazione inderdiocesana; nella quarta, si torna a studiare il tema dell’episcopato considerato in relazione agli strumenti istituzionali che ne sostengono la responsabilità collegiale e vengono offerte utili chiarificazioni sulla forma istituzionale con la quale viene esercitato il ministero del papa nella guida della chiesa universale.
L’impostazione del Trattato, come piú volte richiamato dagli Autori nello svolgimento del percorso, ha il suo punto fondamentale nel principio della comunicazione della fede da loro teoricamente elaborato come “modello della ecclesiogenesi”. Tale modello costituisce la nota dominante alla quale vengono ricondotte tutte le componenti ecclesiali e i diversi aspetti della Chiesa, da quelli di natura misterica a quelli di natura empirica. Era importante che tale principio venisse spiegato nel momento giusto del percorso, non all’inizio nella forma di una tesi da dimostrare né alla fine a guisa di un postulato fondato su dati precedentemente indicati bensì lì dove il lettore era stato sapientemente condotto in modo da accostarsi in modo adeguato ad un lavoro di interpretazione teologica della Chiesa. E perché tale percorso fosse un ‘buon’ lavoro non ci si poteva limitare ad accostare l’una all’altra lo studio delle singole componenti bensì «bisognava puntare, con maggiore ambizione, a qualcosa di piú cioè alla migliore comprensione possibile del senso dell’insieme e alla scoperta della logica per la quale le singole componenti si inseriscono nell’insieme» (p. 547). Questo intento è anche la preoccupazione che accompagna l’intero Trattato. Tanto è vero che gli Autori, ad ogni tornante del percorso, si preoccupano di richiamare il quadro ermeneutico generale trasmettendo al lettore la sensazione di appesantire il cammino di ripetizioni di contenuti. Ma si tratta di un limite necessario in quanto è pur sempre possibile tornare ad accostarsi a nuovi argomenti cercando al loro interno una autonoma ragione d’essere.
Da questo punto di vista, trovo assai interessante la disposizione dei capitoli e la loro struttura interna completata da percorsi di studio che ben si addicono ad un manuale di ecclesiologia adottabile nei corsi istituzionali di teologia ed anche in quelli degli Istituti Superiori di Scienze Religiose. A conferma di ciò, devo dire che gli studenti ai quali ho proposto il testo per il corso di ecclesiologia ne hanno apprezzato l’impostazione generale e la possibilità di raffronto con i temi studiati nelle altre discipline (sociologica, grandi religioni, diritto canonico). Particolarmente interessanti vengono ritenuti il confronto del concetto di chiesa con le istituzioni religiose nelle grandi religioni, la ricerca delle prime forme di autocoscienza di chiesa attraverso i dati del Nuovo Testamento e la chiarificazione del metodo teologico attraverso l’apporto delle scienze umane. Questo consente una intelligentia fidei della chiesa che pur essendo collocata nella storia e partecipe delle «gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini» (GS 1) rimane fedele alla sua indole profetica ed escatologica senza cedere alla tentazione di omologazione umana e sociale. Il compito della chiesa, infatti, nasce dal dono della comunione divina; ad esso sempre deve configurarsi in modo da trasmetterlo integralmente all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo fino al compimento del Regno di Dio. Per questo, è richiesto alla chiesa di avere una autocomprensione critica di sé e una disponibilità a relativizzare le sue forme di realizzazione così da porsi nei confronti della società e del mondo sulla linea della continuità e del superamento e non della separazione e della contrapposizione. In tal senso, trovo utile il collegamento dei capitoli sui caratteri della chiesa e sui ministeri. La logica di fondo è comune: l’intero popolo di Dio e quindi ciascun cristiano, sono stati preparati e costituiti in modo tale che il dono della fede sia personalmente e responsabilmente partecipato e corrisposto. Per questo, occorre mettere in primo piano la chiesa carismatica, la chiesa sacerdotale, il sacerdozio della vita e il ministero battesimale. Con tale prospettiva, gli Autori intendono forse superare la visione teologica del Vaticano II che nella Lumen gentium colloca il capitolo sulla gerarchia prima di quello sui laici?
In conclusione, il Trattato sulla chiesa di Dianich – Noceti si presenta come un lavoro solido e di maturità teologica. L’abbondanza di contenuti costringono ad una lettura attenta e paziente. La bibliografia indicata nelle note talvolta è sin troppo abbondante. Invece, è di grande utilità l’elenco di opere di carattere generale riportato nella “Bibliografia” finale (pp. 558-564). I percorsi di studio collocati al termine dei capitoli se da una parte lasciano intendere che l’intelligentia fidei della chiesa può continuare su altre piste, dall’altra rivelano la consapevolezza che l’esistenza della chiesa «non è mai banale, ma è sempre qualcosa di ‘segreto’ e di ‘paradossale’» (p. 556).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Gli autori sono Severino Dianich docente di ecclesiologia nella Facoltà teologica dell’Italia centrale, nella sede di Firenze e nella Diocesi di Pisa e la sua assistente Serena Noceti che è docente di teologia dogmatica nella medesima Facoltà e nell’Istituto Superiore di Scienze religiose da essa sponsorizzato. Dianich è Autore di numerose opere di ecclesiologia e di studi a carattere monografico sui problemi della missione, del ministero ordinato e del laicato. Il Trattato sulla Chiesa si colloca sulla loro scia. Non però per aggiungere qualcosa di nuovo e nemmeno per ritrattare punti di vista del passato ed ora non piú condivisi. Ma per metterli in relazione con ciò da cui la Chiesa ossia la fraternità dei credenti in Cristo acquisisce senso, forma e rilevanza storica.
Nel Trattato viene proposto un percorso che si snoda attraverso sette capitoli, preceduti da una breve “Introduzione” (pp. 5-10) e seguiti da una sintesi riepilogativa (“Conclusione”, pp. 547-557).
Il primo su “L’aggregazione religiosa” (pp. 11-71) analizza la Chiesa dal punto di vista fenomenologico. Da tale punto di vista, essa si presenta nella forma di una aggregazione simile, per un verso, a quella di altre istituzioni religiose quali il giudaismo, la comunità islamica e distinta da esse, per un altro, perché fondata sull’assenso dei singoli nei confronti della proposta di vita di Gesú. In tale aggregazione, soggetto storico determinato, sono molteplici le figure istituzionalizzate che si definiscono ‘chiesa’. Per questo, essa appare come un soggetto collettivo con una identità variabile. Tale identità dipende dalle azioni comunicative, dai processi di socializzazione e di integrazione sociale che i diversi soggetti stabiliscono tra loro sulla base della loro autocomprensione credente. Pertanto, dal punto di vista storico, si può dire che sin dall’inizio l’autocomprensione dell’aggregazione dei credenti in Cristo ha dato espressione ad una pluralità di identità confessionali: chiese orientali non calcedonesi e chiese ortodosse, chiese della Riforma e chiesa cattolica romana. Ma mentre l’identità confessionale si stabilisce attraverso il confronto con le altre chiese, con la loro forma e la loro autodefinizione, l’identità ecclesiale si configura in relazione alla persona di Gesú Cristo. È su quest’ultimo elemento generatore che si deve concentrare la domanda su cosa sia chiesa e sul perché essa esista, su ciò che appartiene alla sua essenza e su ciò che è frutto di sviluppo storico. Nell’ultimo secolo, l’autocomprensione ecclesiale si è espressa attraverso tre categorie di valore semantico diverso: società, comunità, popolo. La preferenza per l’una o per l’altra categoria è determinata dall’influsso di elementi di diversa natura. Se la nozione di chiesa ‘società’ è stata mutuata dal linguaggio sociopolitico e quella di chiesa ‘comunità’ dallo sviluppo culturale e filosofico, il concetto chiesa ‘popolo di Dio’, invece, è divenuto una categoria interpretativa fondamentale perché sintetizza l’essenza della chiesa dal punto di vista misterico e dal punto di vista storico. Quindi, dal punto di vista dell’aucomprensione ecclesiale non è indifferente dire che la chiesa è società, è comunità, è popolo.
Il secondo capitolo su “L’autocoscienza della Chiesa” (pp. 73-137), approfondisce il livello descrittivo del «quadro coscienziale dell’aggregazione cristiana» illustrando i dati del Nuovo Testamento nei quali emerge la coscienza che la Chiesa ha avuto di sé nel momento fondativo e tenendo conto sia delle varianti storiche sia del processo di differenziazione del cristianesimo dall’ebraismo. Il “quadro coscienziale” è quello di una aggregazione religiosa nata da Gesú per un disegno di unità, di giustizia e di pace da offrire a tutto il mondo; essa germina dalla testimonianza interiore dello Spirito in coloro che professano che “Gesú è il Signore”. É la Chiesa ossia la comunità dei credenti che aderiscono a Gesú Cristo e che danno vita al Regno di Dio rimanendo al di dentro della storia e facendo maturare la compagine umana.
Nel terzo capitolo (“L’interpretazione teologica”, pp. 139-240), la riflessione sul “quadro coscienziale” passa dal livello descrittivo a quello teologico. È il capitolo piú denso ed importante dell’intero Trattato. Nelle prime pagine, gli Autori rendono conto di quei metodi teologici che assumono concetti o modelli interpretativi estranei alle dinamiche dell’atto di fede e, pertanto, inadeguati ad una interpretazione teologica della Chiesa. Esistono, infatti, diversi modi di utilizzare i modelli a seconda della funzione loro attribuita: ‘modello di qualcosa’ o ‘modello per qualcosa’ o modello che raffiguri ‘come accade qualcosa’. In teologia, poiché l’intelligentia fidei verte su un oggetto che è evento e prassi ecclesiale, occorre trovare un modello con una funzione interpretativa complessiva che raffiguri ‘come accade qualcosa’ così che sia nel contempo ‘modello per far accadere qualcosa’. In ecclesiologia, tale modello deve consentire di poter «isolare all’interno della realtà della Chiesa, in tutta l’immensa vastità e complessità di elementi e di dinamiche con cui di fatto essa si dispiega nella storia ed opera nella vicenda umana, un atto solo, un momento singolare» di Chiesa , «un principio dinamico» dal quale essa viene continuamente riprodotta (p. 162). Si tratta di quel modello con «funzione euristica» che gli Atti raccontano al capitolo 2. Lì, l’atto di comunicazione della fede si costituisce come evento di ecclesiogenesi da cui nascono nuove relazioni interpersonali e sostanziali cambiamenti di vita. Nell’ultima parte del capitolo, gli Autori offrono una interpretazione teologica della Chiesa fondata sulla ‘comunione’ intesa come «rete relazionale nella quale si trovano implicati i protagonisti della comunicazione della fede». Il legame di comunione non è effetto dell’agire comunicativo dei credenti in Cristo bensì di una realtà che viene dall’alto (p. 168). Da ciò derivano importanti considerazioni sulle logiche che regolano le relazioni all’interno della Chiesa e la individuazione dei caratteri essenziali della sua struttura ed anche nuove prospettive riguardanti il rapporto con i non credenti, con la società ed il mondo, con le altre religioni.
Il Trattato prosegue nei successivi capitoli illustrando le caratterizzazioni essenziali della struttura ecclesiale. In primo luogo “La missione” (capitolo quarto, pp. 241-288): «Se l’annuncio è il principio esplicativo della dinamica dell’ecclesiogenesi e se l’ecclesiogenesi è il piú adeguato modello euristico in ecclesiologia, ne dobbiamo derivare che tutta la comprensione della chiesa passa attraverso la comprensione del suo atto missionario fondamentale, quello della comunicazione della fede. È intorno a questo atto che si svela in forma empirica il dono della comunione, si forma la comunità ecclesiale, se ne compone la struttura e si intreccia il rapporto della chiesa con il mondo» (p. 241). Tuttavia, nella attuazione pratica essa si presenta con una infinità di forme diverse. Infatti, l’opera di evangelizzazione propriamente detta deve coniugarsi con il ministero di riconciliazione per la costruzione dell’unità della famiglia umana, della giustizia e della pace, con l’ascolto dei bisogni degli uomini e con l’esigenza di inserirsi nella loro esistenza, in ogni momento nella storia e con i rischi che essa comporta. Qui trovano spiegazione le varianti della missione o del quadro di riferimento in cui si dà storicamente l’atto missionario della chiesa. Le varianti della missione danno luogo alla diversità di ‘paradigma’ missionario: il paradigma della missione compiuta, quello della missione ‘estera’, quello della missione impedita, quello socio-politico. Se la missione ha il proprio centro propulsore nell’annuncio, essa, tuttavia, deve misurarsi «continuamente in rapporto al Regno di Dio atteso come mèta ultima della storia e compimento del destino del mondo» (p. 258). A questo punto, gli Autori si pongono due domande: ‘che cosa’ deve fare la chiesa nella storia? ‘quando’ si dà un atto missionario? La risposta alla prima richiede la distinzione di due aspetti del Regno di Dio: l’aspetto individuale che comporta l’offerta della fede a tutti e il sostegno nel cammino di adesione a Cristo; l’aspetto storico che impegna la chiesa nel coinvolgimento con il soggetto collettivo umano, i popoli e la loro storia, le classi sociali e i loro problemi. Ciò non significa che la chiesa deve appiattirsi sulle esigenza umane e sociali. Essa, semmai, poiché non coincide con il regno di Dio, deve operare nella storia in modo da «indicare costantemente l’oltre, in una forte e positiva critica del presente»; non deve sostituirsi al ‘regno degli uomini’, ma viverci dentro «denunciando i limiti e le colpe di ogni realizzazione umana, comprese le proprie colpe e i propri limiti, in difesa dell’uomo e per la promozione di una felice convivenza umana» (p. 264). La risposta alla seconda chiama in causa la riflessione sui criteri dell’atto missionario della chiesa. Essi derivano dall’analisi dei diversi paradigmi della missione. Studiandoli a fondo, emerge qualcosa di comune a tutti ossia che l’annuncio del vangelo sta sempre, e in un qualche modo, al centro di una tensione tra una interpretazione misterica e una interpretazione secolare della salvezza. Questo è quanto appare anche dall’analisi dei documenti del Magistero pontificio sulla missione della chiesa quantunque, quelli pi
recenti di Giovanni Paolo II, sembrano orientati ad darne una visione globale comprendente sia gli aspetti contemplativi della missione sia quelli culturali, antropologici e sociali. Pertanto, i criteri a cui deve attenersi l’atto missionario della chiesa sono fondati da una parte sui due lati della missione, quello mistico e quello politico, e dall’altra sulla necessità di distinguere ciò che è assoluto e che le si impone da ciò che è relativo e che le si propone come fattibile.
Dal capitolo sulla missione si passa a quello su “I caratteri della Chiesa” (capitolo quinto, pp. 289-385). Lo schema apostolico delle quattro note della chiesa “una - santa - cattolica - apostolica” alle quali normalmente si attengono i trattati di ecclesiologia, viene ampliato e portato a otto. In coerenza con la prospettiva teologica adottata, gli Autori li illustrano con questo ordine: chiesa carismatica, sacerdotale, santa, apostolica, indefettibile, infallibile, cattolica, unica e unita. Si parte dalla considerazione del ‘carisma’ per ribadire che non si può dare chiesa se non in forza di un dono elargito dallo Spirito dal quale nasce anche l’aspetto istituzionale. L’accento posto in primo luogo sulla dimensione carismatica della chiesa allontana dall’idea che essa sia una concretizzazione umana. In questo modo, si completano le osservazioni critiche verso le forme di chiesa ‘societas’ e ‘comunità’ presentate nel primo capitolo dalle quali vengono di solito mutuati i termini per esprimere l’identità ecclesiale. Lì, gli Autori avevano preso le distanze dal termine ‘comunità’, di origine sociologica, vicino alla sensibilità moderna, evocativo di sentimenti comuni fino ad assumere un valore quasi magico ma «segnato da scarsa capacità euristica, incapace di spiegare i processi dell'evento ecclesiale» (p. 61). Infatti, secondo gli Autori, la chiesa ancor prima di essere comunità è comunione allo stesso modo che la fede prima ancora di essere comunicata viene donata e posta alla base di ogni esperienza ecclesiale. Alla chiesa carismatica segue la chiesa sacerdotale. Gli Autori reinterpretano il sacerdozio alla luce dei dati del Nuovo Testamento dove esso, contrariamente alla accezione sacrale che ne ha trasmesso il senso nella storia in modo riduttivo, viene attribuito a tutta la compagine ecclesiale. Infatti, Pietro, nella sua prima lettera, chiama la chiesa «sacerdozio regale e nazione santa» (1Pt 2,9) e applica alla comunità il carattere sacerdotale che Es 19,5-6 aveva precedentemente attribuito al popolo di Israele. Anche nei Vangeli, e poi in tutta la successiva letteratura apostolica, il sacerdozio dei fatti e della vita precede quello dei riti e del culto liturgico. In particolare, una attenta lettura esegetica di alcuni testi, soprattutto Rom 15,16 e Fil 2,17, mostra la comprensione apostolica della nozione di sacerdozio. Nel testo della lettera ai Romani, Paolo parla dell’incarico di predicare il vangelo come se fosse una investitura sacerdotale e nella lettera ai Filippesi immagina il suo futuro martirio come una vita offerta in libagione sulla vittima sacrificale che è la vita di fede di coloro ai quali egli ha predicato il vangelo. Da ciò derivano molte altre osservazioni sulla dimensione esistenziale del sacerdozio. Esso si estende a tutti quegli aspetti antropologici che connotano la vita di un uomo di fede, nuovo ‘tempio dello Spirito’, come vita di oblazione e di mediazione per l’avvento del Regno di Dio nella storia. In tale contesto va cercato il senso generale del culto liturgico e quello specifico dell’azione rituale che si svolge all’interno dei sacramenti della chiesa. Il medesimo discorso vale per la ‘chiesa santa’. La santità va colta nel cuore della genesi ecclesiale (1Gv1,1-4). Essa è inerente alla koinonia divina ed è data alla chiesa nella comunione con Dio e tra le persone. Prima ancora di essere uno status acquisito, essa è un processo di santificazione che comprende momenti di riforma e di conversione alle quali tutti i cristiani sono chiamati a prendere parte in modo attivo e responsabile. Inoltre, la chiesa è apostolica poiché essa è continuamente sottoposta al giudizio della testimonianza resa dagli Apostoli (predicazione e Scrittura) ed ha coscienza di essere tutta inviata e tutta dedita nell’impegno di trasmissione e di fedeltà al vangelo. Tuttavia, la chiesa saprà mantenere la sua posizione nel tempo alla luce di quella fede per cui essa crede che tutta la storia è destinata al compimento del Regno? L’interrogativo concerne sia la durata della chiesa sia la qualità dell’annuncio. La risposta l’ha già data Gesú quando assicurò di rimanerle presente fino alla fine del mondo facendo di essa il corpo di quell’umanità che è destinata a passare dalla condizione mortale alla vita della risurrezione. Per questo la chiesa è indefettibile ed è anche infallibile. Quest’ultima caratteristica, pur non essendo attestata nel Nuovo testamento, emerge via via come una funzione di garanzia del depositum fidei (contro le eresie) e di esistenza dello Spirito (chiesa sorretta dalla grazia). Per questo, la chiesa può impegnarsi nella testimonianza della fede utilizzando, se ce ne fosse bisogno, nuovi asserti per dire la verità della Parola all’uomo in qualunque situazione esso si trovi. In tale compito è impegnato l’intero soggetto ecclesiale all’interno del quale, come corpo articolato, vescovi e papa partecipano alla infallibilità della Chiesa. La chiesa, inoltre, è cattolica. Qui la riflessione, partendo dal modo in cui è stata intesa lungo la storia, si allarga alla considerazione del rapporto che intercorre tra chiesa locale e chiesa universale. Il punto di avvio della riflessione è dato da quanto afferma il Vaticano II in CD 11 (vedi anche SC 41 e LG 26) dove vengono indicati gli elementi per una visione complessiva ed organica: il vangelo annunciato, l’eucaristia e il ministero episcopale. Ma la chiesa si concretizza e diviene se stessa se vi è una comunità di persone che accolgono il vangelo e si riuniscono in un luogo e in uno spazio per celebrare l’eucaristia. Pertanto, agli elementi costitutivi (vangelo, eucaristia, ministero) va aggiunto il ‘luogo’ come fattore che determina la natura teologica della chiesa e la definisce anzitutto, in senso assiologico, come chiesa locale. Tuttavia, poiché non si dà chiesa locale se non in comunione con le altre chiese in ragione della traditio e del riconoscimento reciproco, va da sé che la chiesa locale esiste simultaneamente alla universa ecclesia, come un «tutto ‘co-fondato’. Nell’orizzonte di un’ecclesiologia dalla chiesa locale si può pensare la sinodalità della chiese, in una “teoria dell’autorealizzazione della chiesa nelle chiese”» (p. 358). Infine, la chiesa è ‘unica’ e ‘unita’ perché deriva dalla koinonia divina che è fonte unica di comunione nell’azione di Cristo e dello Spirito e nell’orientamento escatologico da essi conferitole (il Regno di Dio). Tuttavia, l’unica chiesa di Cristo è data storicamente in una pluralità di Chiese. Come dunque conservare una consonanza di fede, di professione e di forma ecclesiale? Il modello a cui ispirarsi nella volontà di tendere verso l’unità visibile è quello della “koinonia nella diversità riconciliata” elaborato dal Consiglio Ecumenico delle Chiese nel 1991 durante l’assemblea tenutasi a Canberra. Ciò comporta che il cammino verso l’unità visibile si compia all’interno di un processo dinamico che richiede ad ogni chiesa la disponibilità a ripensare se stessa, nel dialogo con le altre confessioni e ad autorelativizzare le forme assunte lungo la storia.
Il capitolo successivo propone una interessante, approfondita e solida interpretazione teologica dei ministeri (capitolo sesto, pp. 387-487) che raramente si trova nei manuali di ecclesiologia. Nella pagine introduttive viene richiamato il percorso teologico esposto nei precedenti capitolo e viene precisato che «qualunque riflessione sulla soggettualità ecclesiale e qualsiasi riferimento all’operosità dei membri della chiesa vanno collocati nell’orizzonte globale del servizio al Regno» (p. 388). Infatti, come afferma AA 2, «la missione è unica, molteplici sono i ministeri». Su tale base, è ovvio che il modello di riferimento non può essere il prete bensì «il cristiano comune che, in forza della fede e del suo sacerdozio, in tutte le cose che fa con fede e nell’amore di Dio e del prossimo, offre a Dio un sacrificio gradito e contribuisce per la chiesa all’adempimento della sua missione messianica. Non si può quindi costruire una tipologia nella quale si dia, quasi a priori, un elenco di ministeri ben determinati e ben distinti fra di loro. Lo si può fare solo per due ministeri che derivano da due specifici sacramenti: il ministero della coppia cristiana e il ministero dell’ordine» (p. 389). La suddivisione del capitolo in tre parti (ministeri dei laici, ministero degli sposi, ministero ordinato) non intende distinguere e, nel contempo, affermare l’esistenza nella chiesa di «tre categorie di diversi soggetti investiti di ministeri diversi, ma prima di tutto tre sorgenti di carismi che determinano la vita dei cristiani: il battesimo, il matrimonio, l’ordine» (ibidem). Nella “Conclusione” vengono ribaditi alcuni punti fermi attorno ai quali è stato costruito l’intero capitolo: il popolo di Dio è il soggetto ecclesiale fondamentale. Di conseguenza, la riflessione sarà: in primo luogo, sull’operosità dell’insieme de battezzati ossia sui ‘cristiani comuni’; in secondo luogo, sulla coppia degli sposi costituiti sacramentalmente come un novo soggetto collettivo la cui forma di vita comunitaria è di fondamentale importanza per la società e per la chiesa; in terzo luogo, sul ministero ordinato che a differenza degli altri, è costitutivo della struttura fondamentale della Chiesa.
L’ultimo capitolo è dedicato a “Le istituzioni ecclesiastiche” (pp. 489-546). Qui viene considerato il momento in cui il dono della comunione, da cui nasce la chiesa, si rende visibile e dà contenuto e valore alle istituzioni ecclesiastiche. Si tratta di un argomento a cui sono interessate sia la teologia sia la scienza canonistica. Per questo, nella prima parte del capitolo si riflette in modo generale sulla «plausibilità ed il senso dell’insorgenza nella chiesa di forme giuridiche che pretendano di inerire essenzialmente al mysterium ecclesiae» (p. 490); nella seconda, vengono studiati quei processi di istituzionalizzazione delle aggregazioni ecclesiali che derivano dalla libera iniziativa di singoli e di gruppi e che non si impongono a tutti i credenti quali strutture di base della vita cristiana; nella terza, vengono approfondite le forme istituzionali di base della chiesa: la parrocchia, la diocesi e l’organizzazione inderdiocesana; nella quarta, si torna a studiare il tema dell’episcopato considerato in relazione agli strumenti istituzionali che ne sostengono la responsabilità collegiale e vengono offerte utili chiarificazioni sulla forma istituzionale con la quale viene esercitato il ministero del papa nella guida della chiesa universale.
L’impostazione del Trattato, come piú volte richiamato dagli Autori nello svolgimento del percorso, ha il suo punto fondamentale nel principio della comunicazione della fede da loro teoricamente elaborato come “modello della ecclesiogenesi”. Tale modello costituisce la nota dominante alla quale vengono ricondotte tutte le componenti ecclesiali e i diversi aspetti della Chiesa, da quelli di natura misterica a quelli di natura empirica. Era importante che tale principio venisse spiegato nel momento giusto del percorso, non all’inizio nella forma di una tesi da dimostrare né alla fine a guisa di un postulato fondato su dati precedentemente indicati bensì lì dove il lettore era stato sapientemente condotto in modo da accostarsi in modo adeguato ad un lavoro di interpretazione teologica della Chiesa. E perché tale percorso fosse un ‘buon’ lavoro non ci si poteva limitare ad accostare l’una all’altra lo studio delle singole componenti bensì «bisognava puntare, con maggiore ambizione, a qualcosa di piú cioè alla migliore comprensione possibile del senso dell’insieme e alla scoperta della logica per la quale le singole componenti si inseriscono nell’insieme» (p. 547). Questo intento è anche la preoccupazione che accompagna l’intero Trattato. Tanto è vero che gli Autori, ad ogni tornante del percorso, si preoccupano di richiamare il quadro ermeneutico generale trasmettendo al lettore la sensazione di appesantire il cammino di ripetizioni di contenuti. Ma si tratta di un limite necessario in quanto è pur sempre possibile tornare ad accostarsi a nuovi argomenti cercando al loro interno una autonoma ragione d’essere.
Da questo punto di vista, trovo assai interessante la disposizione dei capitoli e la loro struttura interna completata da percorsi di studio che ben si addicono ad un manuale di ecclesiologia adottabile nei corsi istituzionali di teologia ed anche in quelli degli Istituti Superiori di Scienze Religiose. A conferma di ciò, devo dire che gli studenti ai quali ho proposto il testo per il corso di ecclesiologia ne hanno apprezzato l’impostazione generale e la possibilità di raffronto con i temi studiati nelle altre discipline (sociologica, grandi religioni, diritto canonico). Particolarmente interessanti vengono ritenuti il confronto del concetto di chiesa con le istituzioni religiose nelle grandi religioni, la ricerca delle prime forme di autocoscienza di chiesa attraverso i dati del Nuovo Testamento e la chiarificazione del metodo teologico attraverso l’apporto delle scienze umane. Questo consente una intelligentia fidei della chiesa che pur essendo collocata nella storia e partecipe delle «gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini» (GS 1) rimane fedele alla sua indole profetica ed escatologica senza cedere alla tentazione di omologazione umana e sociale. Il compito della chiesa, infatti, nasce dal dono della comunione divina; ad esso sempre deve configurarsi in modo da trasmetterlo integralmente all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo fino al compimento del Regno di Dio. Per questo, è richiesto alla chiesa di avere una autocomprensione critica di sé e una disponibilità a relativizzare le sue forme di realizzazione così da porsi nei confronti della società e del mondo sulla linea della continuità e del superamento e non della separazione e della contrapposizione. In tal senso, trovo utile il collegamento dei capitoli sui caratteri della chiesa e sui ministeri. La logica di fondo è comune: l’intero popolo di Dio e quindi ciascun cristiano, sono stati preparati e costituiti in modo tale che il dono della fede sia personalmente e responsabilmente partecipato e corrisposto. Per questo, occorre mettere in primo piano la chiesa carismatica, la chiesa sacerdotale, il sacerdozio della vita e il ministero battesimale. Con tale prospettiva, gli Autori intendono forse superare la visione teologica del Vaticano II che nella Lumen gentium colloca il capitolo sulla gerarchia prima di quello sui laici?
In conclusione, il Trattato sulla chiesa di Dianich – Noceti si presenta come un lavoro solido e di maturità teologica. L’abbondanza di contenuti costringono ad una lettura attenta e paziente. La bibliografia indicata nelle note talvolta è sin troppo abbondante. Invece, è di grande utilità l’elenco di opere di carattere generale riportato nella “Bibliografia” finale (pp. 558-564). I percorsi di studio collocati al termine dei capitoli se da una parte lasciano intendere che l’intelligentia fidei della chiesa può continuare su altre piste, dall’altra rivelano la consapevolezza che l’esistenza della chiesa «non è mai banale, ma è sempre qualcosa di ‘segreto’ e di ‘paradossale’» (p. 556).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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Studente Luca Abaterusso il 16 febbraio 2016 alle 10:54 ha scritto:
Manuale di ecclesiologia sistematica focalizza l'attenzione sull' ecclesiogenesi. Ottimo testo per lo studio sulla nascita e lo sviluppo della Chiesa. Non è di semplice comprensione, soprattutto per chi non non ha le basi per potersi approcciare ad uno studio così dettagliato sulla Chiesa.
Luigi D'Amato il 21 agosto 2017 alle 21:28 ha scritto:
Si tratta di un esaustivo manuale di ecclesiologia che, integrando le riflessioni di due tra i più grandi ecclesiologi contemporanei, introduce lo studente all'interno delle principali questioni della materia, in modo chiaro e approfondito.
Don Giovanni Frisenna il 18 febbraio 2022 alle 10:24 ha scritto:
Denso manuale di ecclesiologia. Parte dalla categoria di Chiesa come aggregazione religiosa, prosegue presentando il suo cammino di autocoscienza, la sua missione, i suoi caratteri. Quindi si descrivono i ministeri e le istituzioni ecclesiastiche.