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I fondamenti biblici del primato (gdt 291)
(Giornale di teologia)EAN 9788839907912
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DETTAGLI DI «I fondamenti biblici del primato (gdt 291)»
Tipo
Libro
Titolo
I fondamenti biblici del primato (gdt 291)
Autore
Pesch Rudolf C.
Traduttore
Pezzetta D.
Editore
Queriniana Edizioni
EAN
9788839907912
Pagine
184
Data
gennaio 2002
Peso
190 grammi
Altezza
19,5 cm
Larghezza
12,3 cm
Collana
Giornale di teologia
COMMENTI DEI LETTORI A «I fondamenti biblici del primato (gdt 291)»
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Recensioni di riviste specialistiche su «I fondamenti biblici del primato (gdt 291)»
Recensione di Ermanno Roberto Tura della rivista Studia Patavina
L’appello del nostro papa nell’enciclica Ut unum sint al n. 95, dove il vescovo di Roma esprime il desiderio di essere aiutato a «trovare una forma di esercizio del primato che... si apra ad una situazione nuova», non è caduto nel vuoto. Nel contesto delle risposte e dei molteplici studi sollecitati dall’appello pontificio si colloca anche l’indagine biblica firmata da R. Pesch. Le 170 pagine di questo “giornale di teologia” propongono un significativo sviluppo (con la notevole documentazione sottesa) di una conferenza tenuta in Vaticano nel corso di un Simposio teologico su “Il Primato del Successore di Pietro” organizzato dalla Congregazione per la dottrina della fede nel dicembre 1996. Chi da decenni ha studiato sui manuali tradizionali di ecclesiologia i testi biblici del primato petrino trova in queste rapide pagine almeno due consistenti novità in grado di invogliare a una rivisitazione attenta dei passi biblici, su cui già in passato sono scorsi fiumi di inchiostro.
La prima novità è data da una notevole svolta metodologica che innerva tutta la trattazione e che l’a. descrive così: «Per l’esegesi biblica il testo finale non è la singola pericope e nemmeno il singolo scritto di un autore dell’Antico o del Nuovo Testamento..., bensì il canone» biblico, in grado di proporsi come un’unica grande composizione e quindi come una nuova unità letteraria (p. 13). La prospettiva non è di poco conto. Nel contestare la posizione di Marcione la chiesa mediterranea, con il canone biblico (precisato presumibilmente a Roma verso la fine del secolo secondo, forse da una “scuola petrina”), mira all’unità della chiesa, evidenziando la preminenza di Pietro nel servizio all’unità ecclesiale e mantenendo le tensioni esistenti tra Antico e Nuovo Testamento, tra il fondamento giudeo-cristiano della chiesa e le colonne di Gerusalemme (prima fra tutte Pietro) e la chiesa di provenienza pagana con Paolo. Si tratta di un processo di raccolta di scritti diversi degli autori neotestamentari, che risponde al divenire stesso della chiesa e che permette una rilettura di singoli testi biblici in modo diverso dal tradizionale: ad esempio, nel contesto globale del canone il capitolo 21 del vangelo di Giovanni assume una rilevanza che non aveva in passato rispetto a Mt 16, perché rientra nel genere della “nomina del successore”; analogamente assumono importanza le due lettere di Pietro, specie la seconda che ne riporta il testamento, corrispondente al testamento di Paolo in 2 Tm. Nel complesso del canone biblico prende forma la figura di Pietro sulla scorta della documentazione di fede delle origini.
La seconda novità sta appunto in una conseguente rilettura dei passi “petrini” accompagnata dalla preoccupazione di evidenziare nelle affermazioni evangeliche (ad esempio, nell’invito a confermare i fratelli di Lc 22) e nelle metafore bibliche (roccia e pastore, pietra e colonna, amministratore della casa col potere delle chiavi) il fatto e la necessità della successione o trasmissione del primato petrino: questo per garantire l’eredità apostolica anche per via di ministero nel tempo della chiesa. Ciò costituisce sul piano ecumenico il vero problema e il punto più difficile su cui convergere. Su questo versante le due opere di Luca, le due lettere di Pietro e le Pastorali sono documenti canonici contenenti preziose indicazioni per il momento postapostolico (cf. pp. 106 ss.).
Evidenziate le due novità di prospettiva, come le ha colte chi firma questa scheda-recensione, si può “sopportare” che i tredici brevi capitoli, in cui il volume si suddivide, propongano in realtà, più che un discorso lungo e ben articolato, una serie di rapide annotazioni, altamente documentate dalle digressioni e dalle fitte note, talora più interessanti del testo stesso e senz’altro meritevoli di attenta lettura almeno quanto il testo. L’indagine è caratterizzata dalla tipica serietà scientifica tedesca e da un serrato confronto con l’esegesi d’Oltralpe: ma tra i nomi di biblisti citati figurano persino studiosi italiani come Giuseppe Segalla ed Elena Boselli. L’origine “romana” dell’opera di R. Pesch è garantita dalle frequenti citazioni del cardinale Joseph Ratzinger, indovinate ed autorevoli: il che tuttavia per un lettore non cattolico potrebbe lasciare un filo d’ombra “dogmatica” in pagine che si definiscono come indagine biblica. In ogni caso le 170 pagine meritano un grazie cordiale.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
La prima novità è data da una notevole svolta metodologica che innerva tutta la trattazione e che l’a. descrive così: «Per l’esegesi biblica il testo finale non è la singola pericope e nemmeno il singolo scritto di un autore dell’Antico o del Nuovo Testamento..., bensì il canone» biblico, in grado di proporsi come un’unica grande composizione e quindi come una nuova unità letteraria (p. 13). La prospettiva non è di poco conto. Nel contestare la posizione di Marcione la chiesa mediterranea, con il canone biblico (precisato presumibilmente a Roma verso la fine del secolo secondo, forse da una “scuola petrina”), mira all’unità della chiesa, evidenziando la preminenza di Pietro nel servizio all’unità ecclesiale e mantenendo le tensioni esistenti tra Antico e Nuovo Testamento, tra il fondamento giudeo-cristiano della chiesa e le colonne di Gerusalemme (prima fra tutte Pietro) e la chiesa di provenienza pagana con Paolo. Si tratta di un processo di raccolta di scritti diversi degli autori neotestamentari, che risponde al divenire stesso della chiesa e che permette una rilettura di singoli testi biblici in modo diverso dal tradizionale: ad esempio, nel contesto globale del canone il capitolo 21 del vangelo di Giovanni assume una rilevanza che non aveva in passato rispetto a Mt 16, perché rientra nel genere della “nomina del successore”; analogamente assumono importanza le due lettere di Pietro, specie la seconda che ne riporta il testamento, corrispondente al testamento di Paolo in 2 Tm. Nel complesso del canone biblico prende forma la figura di Pietro sulla scorta della documentazione di fede delle origini.
La seconda novità sta appunto in una conseguente rilettura dei passi “petrini” accompagnata dalla preoccupazione di evidenziare nelle affermazioni evangeliche (ad esempio, nell’invito a confermare i fratelli di Lc 22) e nelle metafore bibliche (roccia e pastore, pietra e colonna, amministratore della casa col potere delle chiavi) il fatto e la necessità della successione o trasmissione del primato petrino: questo per garantire l’eredità apostolica anche per via di ministero nel tempo della chiesa. Ciò costituisce sul piano ecumenico il vero problema e il punto più difficile su cui convergere. Su questo versante le due opere di Luca, le due lettere di Pietro e le Pastorali sono documenti canonici contenenti preziose indicazioni per il momento postapostolico (cf. pp. 106 ss.).
Evidenziate le due novità di prospettiva, come le ha colte chi firma questa scheda-recensione, si può “sopportare” che i tredici brevi capitoli, in cui il volume si suddivide, propongano in realtà, più che un discorso lungo e ben articolato, una serie di rapide annotazioni, altamente documentate dalle digressioni e dalle fitte note, talora più interessanti del testo stesso e senz’altro meritevoli di attenta lettura almeno quanto il testo. L’indagine è caratterizzata dalla tipica serietà scientifica tedesca e da un serrato confronto con l’esegesi d’Oltralpe: ma tra i nomi di biblisti citati figurano persino studiosi italiani come Giuseppe Segalla ed Elena Boselli. L’origine “romana” dell’opera di R. Pesch è garantita dalle frequenti citazioni del cardinale Joseph Ratzinger, indovinate ed autorevoli: il che tuttavia per un lettore non cattolico potrebbe lasciare un filo d’ombra “dogmatica” in pagine che si definiscono come indagine biblica. In ogni caso le 170 pagine meritano un grazie cordiale.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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