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Cristianesimo, memoria per il futuro (gdt 290)
(Giornale di teologia)EAN 9788839907905
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Tipo
Libro
Titolo
Cristianesimo, memoria per il futuro (gdt 290)
Autore
Duquoc Christian
Traduttore
Crespi P.
Editore
Queriniana Edizioni
EAN
9788839907905
Pagine
152
Data
gennaio 2002
Peso
160 grammi
Altezza
19,5 cm
Larghezza
12,3 cm
Collana
Giornale di teologia
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Recensioni di riviste specialistiche su «Cristianesimo, memoria per il futuro (gdt 290)»
Recensione di Ermanno Roberto Tura della rivista Studia Patavina
Anche questo “giornale di teologia” appartiene alla riflessione teologica elaborata da varie parti in vista del 2000, nel tentativo più o meno palese di rispondere alla domanda sul futuro del cristianesimo: l’edizione originale in francese è infatti datata al passaggio del millennio cristiano. Duquoc ne approfitta per riproporre globalmente il suo valido contributo teologico, prospettato già dagli anni Settanta con la sua non insignificante sintesi cristologica e successivamente allargato agli altri settori della teologia cattolica. La tesi, su cui lo studioso domenicano incentra la sua densa sintesi in stile storico-teologico narrativo, è chiaramente dichiarata fin dall’introduzione: “La fede primitiva si era tenuta lontana da qualsiasi volontà di dominio sociale e politico; solo con il suo successo nel quarto secolo (conversione dell’impero) essa scoprì la missione di trasformare questo mondo secondo l’utopia biblica rivisitata. Questa interpretazione di un compito sociopolitico della fede portò a creare più tardi la cristianità, forma terrena di un messianismo istituzionale. Essa fu un successo e una ambiguità... Il concilio Vaticano II negli anni ’60 ha inaugurato la fine di questo orientamento... Non è impossibile che la fede divenga di nuovo credibile... riproponendo sotto altra forma il suo progetto originario. In questo modo, essa ritroverebbe il soffio della speranza ultima, così provocante per la rassegnazione allo statu quo sociopolitico... La storia della fede è la storia di una traversata della notte senza concessione alla rassegnazione e alla disperazione” (pp. 7-8). Da simile dichiarazione programmatica si possono facilmente intuire i nuclei su cui Duquoc insisterà: in primo luogo la conversione dell’imperatore Costantino come chiave di volta per capire l’ampio millennio di cristianità occidentale, difesa con i denti negli ultimi secoli dal cattolicesimo dopo la riforma protestante e l’emancipazione tipica della modernità; in secondo luogo l’impegnativo ripensamento del rapporto tra il divenire della storia umana e la chiesa come abbozzo del Regno, ripensamento che implica il rispetto della distanza tra chiesa e Spirito santo. Alla luce di queste righe riassuntive, accostiamo più da vicino la proposta del domenicano belga.
La prima parte disegna la nascita della fede sulle tre figure emblematiche di Abramo, Mosè e Gesù. Persino nella vicenda di Gesù l’agire di Dio è più oscuro di quanto avessero immaginato i profeti: Gesù si è rifiutato di entrare nelle vedute troppo umane di un potere politico divino. Egli ha subíto un insuccesso, ma il profeta ingiustamente assassinato non approfitta della sua potenza di Risuscitato: lungi dal vendicarsi, egli perdona perché nulla riesce a disarmare l’amore di Dio per gli esseri umani. Anche se ferita, la speranza attorno a Lui non è morta: nasceranno le comunità giudeo-cristiane.
La seconda parte narra appunto il consolidamento della comunità cristiana che passa da una marginalità a lungo perseguitata al sorprendente dominio nell’impero romano: la conversione di Costantino, con il rovesciamento ideologico dell’impero, offre l’occasione per realizzare, pur con sfumature, il sogno millenarista: il Regno di Dio sulla terra. Nel frattempo la comunità rafforza i propri riti e precisa la professione di fede con una comprensione originale del Dio rivelato da Gesù e dell’origine del male nel mondo.
La terza parte registra lo sviamento: il sogno politico di iscrivere il Regno di Dio nella carne del mondo accompagna un incurvamento della dinamica cristiana primitiva, con il rischio di una distorsione del progetto iniziale. La legge del vangelo diventa legge del mondo grazie alla mediazione politica e istituzionale, attraverso la messa in opera di una cultura politica e civile ispirata al vangelo. La potenza politica sarà il mezzo per far accedere alla nuova fede le masse popolari. L’entusiasmo per la radicale novità fu condiviso dalla maggior parte delle comunità cristiane e dei loro responsabili; invece il monachesimo cristiano, per certi versi, è nato da una diffidenza e da una coscienza almeno intuitiva del carattere illusorio nei confronti del compromesso e dell’alleanza nascente tra la fede e la politica. La fuga monastica dal mondo rimase circoscritta: la “cristianità” prese piede lentamente come ideale occidentale, senza rivelare subito l’illusione e l’insidia nascoste per il cristianesimo nell’implicazione immediata nel politico. A poco a poco la chiesa immaginò di essere il punto focale dell’unità sotto la guida di papi come Gregorio VII e Bonifacio VIII: i devianti vennero visti coerentemente come ribelli da domare e da punire. Ma la messianicità dell’impresa ecclesiastica, sotto il supposto impulso della fedeltà a Cristo, si mostrò illusoria particolarmente quando Lutero e Calvino ribadirono la giustificazione mediante la sola fede e difesero la sola autorità nella Scrittura, con la conseguenza fallimentare della divisione delle chiese europee. Da allora la chiesa cattolica si trova ormai di fronte a una sfida analoga a quella affrontata nell’antichità: testimoniare la Buona novella e la venuta del Regno in un ambiente sul quale non ha più presa.
La rinuncia e i soprassalti caratterizzano (parte quarta) la politica reattiva della Controriforma, con un giudizio pessimistico sulla nascente modernità, quadro del tutto estraneo all’utopia di una unità politico-religiosa. Si giunge al paradosso che gli stati moderni europei impongono la coesistenza pacifica tra le chiese in lotta; la chiesa cattolica si chiude a riccio, in un ripiegamento attorno alla gerarchia e al culto, di fronte al movimento di emancipazione della ragione e della scienza, che spoglia la chiesa non solo del controllo politico ma anche del suo valore etico di riferimento. La rivoluzione francese provoca nella chiesa la paura e l’angoscia dell’assedio, che fortunatamente non annulla le capacità creative del popolo credente. Con Leone XIII inizia un cambiamento percepibile sull’asse dell’ecumenismo e sul rapporto della fede cristiana con il mondo presente; l’impazienza della crisi modernista all’alba del Novecento ebbe effetto istituzionale disastroso, superato con difficoltà solo nel concilio Vaticano II. Si prefigura ormai una nuova comprensione della chiesa visibile: viene rifiutata la pretesa di controllare il divenire del mondo; vengono apprezzati con discrezione i segni dei tempi come sintomi ambivalenti e possibili provocazioni, non come degli imperativi a senso unico; viene accettata la distanza tra la mediazione della chiesa e l’agire dello Spirito, senza automatiche garanzie; si assegna un posto al non-religioso nella relazione del divenire del mondo con il Regno di Dio, accettando l’abbandono da parte della chiesa del suo dominio secolare sul politico e sul sapere. La fede ha recuperato così la libertà di cui godeva prima della sua alleanza politica: il distacco lascia la fede libera nei confronti del mondo, senza però renderglielo indifferente.
Accettare e assumere questa condizione si rivela difficile e impegnativo: la chiesa riprende il movimento antico della fede poggiata sulla Promessa pasquale della parola di Dio aldilà dei contenuti materiali delle singole promesse vetero e neotestamentarie, lasciando cadere il messianismo politico. Il tutto spinge al riconoscimento di una coscienza cristiana critica, e incita al rinnovamento di convinzioni forti ed efficaci sull’esempio di Abramo, Mosè e Gesù. L’efficacia è di ordine altro da quello direttamente politico; accettare la modernità è entrare in uno scambio argomentato, anche se gli argomenti non provocano mai assolutamente le decisioni esistenziali. La convinzione forte nutre la tolleranza: essa si sa non minacciata, a motivo di Colui che la sostiene. Conclusivamente: restaurare la purezza della fede ha avuto effetti inaspettati: le riforme da intraprendere erano più radicali di quanto ci si fosse immaginati durante il concilio. La cesura della modernità restituisce la fede al suo stato abramico e l’uomo alla sua libertà creatrice. Ma nella Bibbia l’avvenire non è definito; la fede non ci dice in alcun modo che cosa sarà di questo mondo; ci invita a far sì che la storia sia, con fantasia e in modo profano, una parabola del Regno che viene. In tale stimolazione conclusiva “la forte voce del decesso prossimo del cristianesimo non è altro, forse, che una voce falsa” (p. 139).
Anche dal nostro abbozzo sintetico appare chiaramente che il “giornale” offerto da Duquoc in occasione dell’anno 2000 dà a pensare in modo abbastanza provocatorio. Forse non è tutto oro quello che luccica; qualche affermazione può apparire affrettata e ingenerosa, non tenendo conto sufficiente della temperie storica in cui certi orientamenti vennero presi. L’a. per primo relativizza fin dall’introduzione la proposta: “La presentazione sarà schematica, tanto più che essa si riferisce a una ipotesi ...” (p. 7). E tuttavia le 140 pagine non lasciano indifferenti: invitano a una ginnastica culturale e a una purificazione spirituale che alla fine irrobustiscono la speranza nel terzo millennio cristiano, chiedendo la discrezione nel discernimento della storia e insieme invitando a irrobustire la convinzione della fede nel nucleo centrale della pasqua del Signore Gesù e la logica conseguente dell’Agnello pasquale.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
La prima parte disegna la nascita della fede sulle tre figure emblematiche di Abramo, Mosè e Gesù. Persino nella vicenda di Gesù l’agire di Dio è più oscuro di quanto avessero immaginato i profeti: Gesù si è rifiutato di entrare nelle vedute troppo umane di un potere politico divino. Egli ha subíto un insuccesso, ma il profeta ingiustamente assassinato non approfitta della sua potenza di Risuscitato: lungi dal vendicarsi, egli perdona perché nulla riesce a disarmare l’amore di Dio per gli esseri umani. Anche se ferita, la speranza attorno a Lui non è morta: nasceranno le comunità giudeo-cristiane.
La seconda parte narra appunto il consolidamento della comunità cristiana che passa da una marginalità a lungo perseguitata al sorprendente dominio nell’impero romano: la conversione di Costantino, con il rovesciamento ideologico dell’impero, offre l’occasione per realizzare, pur con sfumature, il sogno millenarista: il Regno di Dio sulla terra. Nel frattempo la comunità rafforza i propri riti e precisa la professione di fede con una comprensione originale del Dio rivelato da Gesù e dell’origine del male nel mondo.
La terza parte registra lo sviamento: il sogno politico di iscrivere il Regno di Dio nella carne del mondo accompagna un incurvamento della dinamica cristiana primitiva, con il rischio di una distorsione del progetto iniziale. La legge del vangelo diventa legge del mondo grazie alla mediazione politica e istituzionale, attraverso la messa in opera di una cultura politica e civile ispirata al vangelo. La potenza politica sarà il mezzo per far accedere alla nuova fede le masse popolari. L’entusiasmo per la radicale novità fu condiviso dalla maggior parte delle comunità cristiane e dei loro responsabili; invece il monachesimo cristiano, per certi versi, è nato da una diffidenza e da una coscienza almeno intuitiva del carattere illusorio nei confronti del compromesso e dell’alleanza nascente tra la fede e la politica. La fuga monastica dal mondo rimase circoscritta: la “cristianità” prese piede lentamente come ideale occidentale, senza rivelare subito l’illusione e l’insidia nascoste per il cristianesimo nell’implicazione immediata nel politico. A poco a poco la chiesa immaginò di essere il punto focale dell’unità sotto la guida di papi come Gregorio VII e Bonifacio VIII: i devianti vennero visti coerentemente come ribelli da domare e da punire. Ma la messianicità dell’impresa ecclesiastica, sotto il supposto impulso della fedeltà a Cristo, si mostrò illusoria particolarmente quando Lutero e Calvino ribadirono la giustificazione mediante la sola fede e difesero la sola autorità nella Scrittura, con la conseguenza fallimentare della divisione delle chiese europee. Da allora la chiesa cattolica si trova ormai di fronte a una sfida analoga a quella affrontata nell’antichità: testimoniare la Buona novella e la venuta del Regno in un ambiente sul quale non ha più presa.
La rinuncia e i soprassalti caratterizzano (parte quarta) la politica reattiva della Controriforma, con un giudizio pessimistico sulla nascente modernità, quadro del tutto estraneo all’utopia di una unità politico-religiosa. Si giunge al paradosso che gli stati moderni europei impongono la coesistenza pacifica tra le chiese in lotta; la chiesa cattolica si chiude a riccio, in un ripiegamento attorno alla gerarchia e al culto, di fronte al movimento di emancipazione della ragione e della scienza, che spoglia la chiesa non solo del controllo politico ma anche del suo valore etico di riferimento. La rivoluzione francese provoca nella chiesa la paura e l’angoscia dell’assedio, che fortunatamente non annulla le capacità creative del popolo credente. Con Leone XIII inizia un cambiamento percepibile sull’asse dell’ecumenismo e sul rapporto della fede cristiana con il mondo presente; l’impazienza della crisi modernista all’alba del Novecento ebbe effetto istituzionale disastroso, superato con difficoltà solo nel concilio Vaticano II. Si prefigura ormai una nuova comprensione della chiesa visibile: viene rifiutata la pretesa di controllare il divenire del mondo; vengono apprezzati con discrezione i segni dei tempi come sintomi ambivalenti e possibili provocazioni, non come degli imperativi a senso unico; viene accettata la distanza tra la mediazione della chiesa e l’agire dello Spirito, senza automatiche garanzie; si assegna un posto al non-religioso nella relazione del divenire del mondo con il Regno di Dio, accettando l’abbandono da parte della chiesa del suo dominio secolare sul politico e sul sapere. La fede ha recuperato così la libertà di cui godeva prima della sua alleanza politica: il distacco lascia la fede libera nei confronti del mondo, senza però renderglielo indifferente.
Accettare e assumere questa condizione si rivela difficile e impegnativo: la chiesa riprende il movimento antico della fede poggiata sulla Promessa pasquale della parola di Dio aldilà dei contenuti materiali delle singole promesse vetero e neotestamentarie, lasciando cadere il messianismo politico. Il tutto spinge al riconoscimento di una coscienza cristiana critica, e incita al rinnovamento di convinzioni forti ed efficaci sull’esempio di Abramo, Mosè e Gesù. L’efficacia è di ordine altro da quello direttamente politico; accettare la modernità è entrare in uno scambio argomentato, anche se gli argomenti non provocano mai assolutamente le decisioni esistenziali. La convinzione forte nutre la tolleranza: essa si sa non minacciata, a motivo di Colui che la sostiene. Conclusivamente: restaurare la purezza della fede ha avuto effetti inaspettati: le riforme da intraprendere erano più radicali di quanto ci si fosse immaginati durante il concilio. La cesura della modernità restituisce la fede al suo stato abramico e l’uomo alla sua libertà creatrice. Ma nella Bibbia l’avvenire non è definito; la fede non ci dice in alcun modo che cosa sarà di questo mondo; ci invita a far sì che la storia sia, con fantasia e in modo profano, una parabola del Regno che viene. In tale stimolazione conclusiva “la forte voce del decesso prossimo del cristianesimo non è altro, forse, che una voce falsa” (p. 139).
Anche dal nostro abbozzo sintetico appare chiaramente che il “giornale” offerto da Duquoc in occasione dell’anno 2000 dà a pensare in modo abbastanza provocatorio. Forse non è tutto oro quello che luccica; qualche affermazione può apparire affrettata e ingenerosa, non tenendo conto sufficiente della temperie storica in cui certi orientamenti vennero presi. L’a. per primo relativizza fin dall’introduzione la proposta: “La presentazione sarà schematica, tanto più che essa si riferisce a una ipotesi ...” (p. 7). E tuttavia le 140 pagine non lasciano indifferenti: invitano a una ginnastica culturale e a una purificazione spirituale che alla fine irrobustiscono la speranza nel terzo millennio cristiano, chiedendo la discrezione nel discernimento della storia e insieme invitando a irrobustire la convinzione della fede nel nucleo centrale della pasqua del Signore Gesù e la logica conseguente dell’Agnello pasquale.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2003, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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