Comprendere la fede
-Una teologia dell'atto di fede
(Biblioteca di teologia contemporanea)EAN 9788839904676
Christoph Böttigheimer
COMPRENDERE
LA FEDE
Una teologia dell'atto di fede
QUERINIANA
INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
parte prima
COMPRENSIONE DELLA FEDE
1. Considerazioni basilari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1. La fede, un concetto cristiano chiave11
Essere cristiani e credere 11
Fede e scienza della fede 15
2. Il concetto di fede nel linguaggio quotidiano18
Quattro diversi significati 18
Differenziazioni nel concetto teologico di fede 22
2. La concezione biblica della fede. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
1. Rivelazione e fede25
Fede e conoscenza ermeneutica 25
Fede e rivelazione di Dio 26
2. Concezione anticotestamentaria della fede28
Una molteplicità di concetti 28
Singoli modelli di fede 30
3. Concezione neotestamentaria della fede32
Il regno di Dio: messaggio di Gesù 32
La fede nel Nuovo Testamento 35
Lettere paoline 38
Scritti giovannei 43
4. Concezione biblica della fede44
3. Tappe della teologia della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
1. Patristica47
Periodo post-apostolico 47
280 Indice
Primi apologeti cristiani 50
2. Medioevo56
Alto Medioevo 56
Scolastica60
Tardo Medioevo e nominalismo 67
3. Periodo della riforma protestante69
Riforma protestante e concilio di Trento 69
Periodo postridentino 75
4. Età moderna81
Fideismo e razionalismo 81
Vaticano I 87
Periodo postconciliare 92
Fede oggettiva e fede personale 102
5. Concilio Vaticano II103
La Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione 103
Sviluppi postconciliari 109
4. Riflessione sulla fede cristiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
1. Fede e rivelazione116
Rivelazione di Dio come relazione di fede 116
Contenuto della rivelazione di Dio 119
Mediazione della parola di Dio 124
Rivelazione e certezza della fede 125
Rivelazione e verità di per sé evidente 127
Lume della fede e senso della fede 129
Fede e rivelazione storica 137
2. Fede come atto responsabile139
Fede come atto passivo 139
Libertà e responsabilità 140
Proposizioni e contenuto della fede 142
Ortodossia e ortoprassi 149
Chiesa e mondo 152
3. Fede e giustificazione154
La fede come dono 154
Soltanto per mezzo della fede 157
Martin Lutero 159
Controversia con i protestanti 162
Peccato e libertà umana 166
Accordo sulla dottrina della giustificazione 167
Indice 281
4. Fede e battesimo170
Il battesimo come sacramento della fede 170
Il battesimo come nuova creazione 173
parte seconda
MEDIAZIONE DELLA FEDE
1. Fede attraverso una mediazione razionale . . . . . . . . . . . . . . . . 179
1. Fede e ragione179
Ragionevole o irragionevole' 179
Razionalità delle convinzioni 184
Razionalità della fede 187
2. Verità della rivelazione191
La rivelazione, un evento di per sé evidente 191
La rivelazione, una realtà dotata di senso 192
3. Fede responsabile195
Teologia naturale 195
Divergenze confessionali 200
La fede, un rischio 202
Proposizioni irrazionali di fede' 203
2. Fede attraverso la mediazione ecclesiale. . . . . . . . . . . . . . . . . 207
1. La chiesa come luogo della fede207
La chiesa come condizione che rende possibile la fede 207
Fede e testimonianza 211
Fede e tradizione 213
2. Chiesa e contenuto della fede215
Testimonianza della fede nella chiesa 215
Continuità e carattere vincolante 217
Dottrine infallibili e obbedienza della fede 220
3. Credibilità della chiesa223
3. Fede e messa alla prova della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226
1. Fede e incredulità226
Fede e insicurezza della fede 226
Crisi della fede: l'esempio della preghiera di domanda 230
Crisi della fede come chance 235
2. Fede ed esperienza238
Importanza delle esperienze religiose 238
282 Indice
Verità sperimentata 242
L'esperienza religiosa, una pura fantasia' 244
3. Limiti dell'esperienza religiosa246
Dio come mistero santo 246
Esperienza del senso 251
Postfazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 255
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 259
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 277
Il concetto di “fede” risulta essere d’importanza determinante per il cristiano, ma il suo significato preciso risulta estremamente ampio e, in definitiva, incerto. Che cosa ci vuole per poter dire: io credo? La fede è solo un dono soprannaturale oppure è anche una faccenda razionale? Che cosa mantiene viva la fede? Quale ruolo svolge la chiesa nella fede? Fede e dubbio si escludono a vicenda? Con linguaggio facile, tenendo conto dei dati biblici, della storia della teologia e delle convergenze ecumeniche, l’Autore risponde a queste e a molte altre domande fondamentali.
Tratto dalla rivista Concilium n. 1/2014
(http://www.queriniana.it/rivista/concilium/991)
Il volume che presentiamo vuole essere l’elaborazione di una teoria teologico-sistematica dell’atto cristiano di fede, un tentativo di illustrare e spiegare la natura della fede, cosa la definisce e contraddistingue e soprattutto cosa la rende credibile; in altre parole, parafrasando le parole di Dostoevskij, perché è possibile che un colto, un europeo del nostro tempo possa credere proprio alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo. Il testo è diviso in due parti: comprensione della fede e mediazione della fede. La prima più ampia parte è una ricognizione puntuale ed analitica sulla realtà della fede. Si comincia con alcune considerazioni basilari circa il significato della parola fede sia nel linguaggio quotidiano (il sapere intermedio tra scienza e opinione), sia in relazione all’esperienza cristiana per la quale l’atto di fede è fondamentale tanto per il credente in genere quanto per il teologo in specie, rappresentando la fede (personale) un criterio gnoseologico centrale della teologia cristiana. Dopo il capitolo sulla concezione biblica della fede (Antico e Nuovo Testamento) comincia un itinerario storico sulla fede.
La distinzione fondamentale da cui si parte è tra l’atto personale di fede (fides qua) e la fede proposizionale, ovvero la dimensione cognitiva della fede (fides quae). Nella storia assistiamo ad una “pendolare” oscillazione di sottolineature volte ad accentuare ora il primo aspetto ora il secondo, ricordando che all’inizio stavano in primo piano la fiducia e l’orientamento esistenziale, mentre poi si arrivò ad accentuare maggiormente la dimensione cognitiva, quindi il fatto di ritenere ragionevolmente per veri i contenuti della fede. Le vicissitudini storiche, a partire dai primi apologeti e in seguito al confronto con la filosofia pagana e la gnosi, spinsero soprattutto la chiesa latina ad una “intellettualizzazione della fede”. Nell’epoca medievale passa in primo piano il rapporto tra auctoritas e ratio, tra sapienza divina e ragione umana; la fides è quaerens intellectum (Anselmo), abilitata ed obbligata a motivare in modo logico e necessario i contenuti della fede e a mettere in moto il dinamismo della comprensione, per cui la fede cerca la conoscenza della ragione per fondare se stessa e così facendo diventa filosofia, o meglio ancora scienza della fede. La tematica della fede balza al centro dell’interesse teologico all’inizio dell’età moderna dapprima grazie alla discussione protestante sulla giustificazione dell’uomo, poi per la critica dell’illuminismo alla Rivelazione e infine per la critica sempre più sistematica della religione. Con grande chiarezza l’Autore espone la parabola della teologia moderna, che per tappe successive fino al Concilio Vaticano I s’impegna sempre più nel compito di motivare la verità e la certezza della fede cattolica (nasce il trattato relativo all’analysis fidei catholica). Emerge esplicitamente l’aspetto paradossale della fede, su cui il nostro sempre ritornerà, ovvero da un lato l’essere l’atto di fede un atto umano, tale pertanto da richiedere una conoscenza razionale della credibilità (altrimenti non sarebbe un atto responsabile), dall’altro il carattere di dono e di mistero che rende l’atto di fede irriducibile alla sua ragionevolezza, dono di Dio più e prima ancora che atto dell’uomo. La soluzione circa il giudizio di credibilità è come la conclusione di un sillogismo interiore: «la proposizione principale (propositio maior) è la veracità e l’autorità del Dio rivelante sé stesso, e la proposizione subordinata (propositio minor) la credibilità dell’evento della rivelazione. La decisione di credere precede l’assenso all’autorità di Dio e la credibilità dell’evento della rivelazione, e tutto l’atto di fede è sorretto dalla grazia di Dio» (79-80). In questo modo il fondamento vero e proprio dell’assenso di fede è l’autorità di Dio che si rivela, anche se la ragione è indotta a credere grazie a motivi esterni e oggettivi di credibilità. Rimane l’ineliminabile tensione fra certitudo fidei e certitudo credibilitatis, come pure non è ben chiarito il rapporto tra fondamento della fede, conoscenza della credibilità e assenso della fede, fatto dovuto ad una visione concettualistica e dottrinale della rivelazione e all’irrilevanza del contenuto della fede nell’analysis fidei. Come sappiamo il Vaticano I, nel tentativo di arginare le tentazioni del razionalismo e del fideismo, cercò di tenere insieme tanto l’irriducibilità della credibilità all’evidenza intrinseca delle verità di fede – ribadendo che la fede è impossibile senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo – quanto la ragionevolezza dell’atto di fede che non è motus animi caeci ma appunto ragionevole in virtù di quei signa certissima accomodata alla ragione umana. Ripercorrendo le vicende postconciliari, l’Autore evidenzia che solo il superamento di un’accezione teoretico-istruttiva (cf.M. Seckler) di rivelazione poteva risolvere le antinomie tra autorità e libertà, grazia e ragione, il che accadde nel Vaticano II: nella Dei Verbum, infatti, la fede è compresa come un evento responsoriale, non qualcosa di puramente intellettualistico; essa «non indica un semplice ritener per vero conforme alla ragione, ma equivale a un’opzione personale di fondo, a una decisione esistenziale che impegna tutto l’uomo» (107).
Il cap. 4, il più ampio, che conclude la prima parte, è una ripresa sistematica sulla fede cristiana ed un iniziale tentativo di comprendere quella polarità paradossale tra atto libero e responsabile e dono soprannaturale di Dio. Oggetto della fede è la rivelazione di Dio in Gesù Cristo; tale rivelazione è la parola di Dio, cioè l’atto dell’autocomunicazione divina eccedente la stessa Scrittura, seppur inattingibile a prescindere dalla Scrittura ed agli altri mezzi testimoniali, dal momento che la parola di Dio incontra l’uomo solo in modo mediato. Questa rivelazione, Dio come fondamento della fede, può essere riconosciuta e vi si può aderire solo nell’atto soprannaturale della fede: «non esiste alcun motivo sufficiente per l’assenso alla rivelazione, che si ponga al di fuori dell’evento della rivelazione» (125), occorrono cioè gli “occhi della fede”, che sono donati dalla luce interiore dello Spirito Santo e che definiscono il sensus fidei/sensus fidelium. L’Autore dedica diverse pagine al sensus fidei evidenziando soprattutto la totale trascuratezza nei suoi confronti, eccezion fatta per il Vaticano II (e solo per esso!). Ad ogni modo la svolta illuministica moderna che ha attribuito all’io critico un diritto di codeterminazione anche quando si tratta della verità di Dio, impone che l’assenso di fede si basi su una volontà libera di credere e sia argomentabile sul piano della ragione. La fede però resta un dono; essa «non può mai essere sufficientemente dimostrata mediante le prove della sua credibilità. Altrimenti perderebbe il suo carattere di grazia e anche di rischio. D’altra parte essa sarebbe come atto umano disumana e irresponsabile, se non potesse essere prestata in modo intellettualmente onesto» (155). Tuttavia, come argomentare la fede (fides quae) in considerazione del fatto che non vale il principio dell’aut fides aut ratio ma la mutua interdipendenza delle due facoltà al punto che «quanto più la fede diventa razionale, tanto più essa diventa credibile, e quanto più la ragione diventa credente, tanto più essa è razionale» (180)?
Ora quando si tratta di argomentare la razionalità della fede cristiana (come fondatezza sia dell’obbedienza della fede che dei contenuti della fede), la teologia fondamentale – che se ne occupa direttamente – si trova davanti ad un’opzione così riassumibile: «l’assenso di fede deve essere preceduto solo dall’obbedienza della fede, oppure la rivelazione cristiana possiede in se stessa, nella sua qualità di fondamento dell’assenso di fede e a motivo del fatto che essa risponde alla trascendentalità umana, una capacità generale di convincere?» (188). Qui sono riassunti i due metodi, quello estrinsecista e quello intrinsecista. L’apologetica moderna si concentrò sull’obbedienza della fede: non essendo possibile l’uso della ragione all’interno della fede, si dimostrò in modo razionale la credibilità del fatto della rivelazione (ricorrendo a miracoli e profezie), accertato il quale bisognava credere al contenuto della rivelazione a motivo dell’autorità di Dio. Il metodo intrinsecista invece argomenta per dimostrare che i contenuti della fede sono sensati e capaci di rischiarare l’esistenza. Dunque si fa leva sul contenuto, non sul fatto, poiché ora «l’accadimento non può più essere conosciuto con sicurezza, ma può solo essere creduto […]. Il motivo vero e proprio dell’idea che esista una rivelazione può solo risiedere nell’oggetto stesso della fede» (190). In realtà per quanto si debba riconoscere l’autoevidenza della rivelazione (l’evidenza oggettiva direbbe Balthasar), tuttavia la sua credibilità si manifesta nella ostensione di un’intima coerenza e logica e soprattutto come prospettiva di senso definitivo, per cui non può essere estranea o ignorare quelle strutture antropologiche fondamentali che fanno dell’uomo il luogo della domanda sul senso/verità.
Infine, se la fede è sempre mediata, il luogo di questa mediazione rimane la chiesa, luogo in cui la rivelazione non solo è custodita come qualcosa di passato ma dove raggiunge l’uomo come realtà presente: «solo la comunità di fede è il luogo genuino nel quale l’evento della rivelazione, che fonda la fede, può essere comunicato e raccontato in modo oggettivamente giusto» (208). Il credente dunque dipende dalla chiesa in quanto ciò che crede è “la fede della chiesa” (di qui il dato problematico di quella che oggi è chiamata “soggettivizzazione della fede”, su cui l’Autore non dice nulla) ed il soggetto della comunicazione della fede non è solo il magistero, perciò – seppur riconosciuta la non pariteticità – il magistero deve rispettare le altre istanze testimoniali della fede come partner preziosi del dialogo, ovvero il sensus fidei dei fedeli e il “magistero teologico” (cf. 216). Circa poi il carattere vincolante della fede nei dogmi proposti infallibilmente dalla chiesa, l’autore offre riflessioni non sempre nitide, lasciando a volte non chiara la distinzione tra riformabilità della comprensione del dogma e dogma in sé, per cui la funzione delle decisioni dottrinali infallibili sarebbe più negativa (tutelare dagli errori) e di indirizzo della fede verso il Dio affidabile. Il fatto che il Vaticano II sposi un modello teoretico-comunicativo di rivelazione non significa, a mio parere, che la Rivelazione, poiché fa conoscere Dio stesso, non contenga affermazioni dottrinali o verità proposizionali (cf. 221); e se è vero che «l’atto di fede non ha in ultima analisi per oggetto la proposizione di fede come tale, ma quanto tale proposizione significa, cioè il Dio che comunica se stesso» (222), è altrettanto vero che di Dio conosciamo ciò che si struttura sotto forma di dogma contenuto della rivelazione.
L’ultimo capitolo affronta la “prova della fede”, cioè l’incredulità come correlato necessario della fede. Il dubbio è ineliminabile e la fede non è «una forma di esistenza acquisita una volta per sempre, bensì un’opzione vitale che bisogna sempre rinnovare, perché è sempre messa in gioco» (229). Questo vuol dire che la fede deve poter essere verificata mediante esperienze concrete dove sono superate le obiezioni alla fede e far sì che la “crisi” diventi kairos, occasione positiva. La possibilità per la fede di sopravvivere alle crisi rimane la questione del senso incondizionato come domanda originaria che connota ontologicamente e ultimamente l’uomo; è proprio il senso che l’uomo afferma a collegarlo all’evento escatologico di Cristo. Forse qui bisognava spendere qualche parola sulla negazione di senso della domanda di senso che toglie qualunque credibilità ad un evento – la rivelazione cristiana – che vuole essere il senso definitivo dell’uomo, della storia e del mondo.
Il volume è fatto molto bene, le questioni affrontate con analiticità, e per quanto a volte restano alcune perplessità su determinati delicati aspetti (storicità del dogma, infallibilità del magistero) se ne raccomanda vivamente la lettura e lo studio. Rilevo infine alcuni refusi (cf. ad esempio 22, 48, 135, 214) e soprattutto il non aver il più delle volte indicata l’edizione italiana delle opere di Lutero, spesso citate dall’Autore.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2015
(http://www.pul.it)
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4,00 €→ 3,80 € -
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Carmine Spinelli il 2 dicembre 2017 alle 09:46 ha scritto:
Molto interessante e chiaro e semplice nei contenuti