«Ho capito che c'è un filo che tiene insieme questo libro, che parte da un padre "rivoluzionario" e arriva a una figlia accusata di terrorismo. Non è, però, un libro intimo. La cavalcata attraverso la storia della famiglia Saraceni è molto, molto altro. È il passaggio lungo la storia della democrazia, la nascita e lo sviluppo dei diritti, il rapporto tra politica e magistratura e tra magistratura e avvocatura. A partire dalle inquietudini e dal ruolo che le diverse epoche storiche hanno assegnato a una funzione, quale quella della giustizia», scrive Giuliano Pisapia, nell'introduzione a "Un secolo e poco più". Attraverso le storie di tre personaggi della stessa famiglia si articola un secolo, dall'attentato a Umberto I ai nostri anni. Il padre Silvio, un rivoluzionario di inizio Novecento; avvocato umanitario antifascista; fondatore nell'immediato dopoguerra della «Repubblica di Castrovillari», memorabile esempio di democrazia frettolosamente dimenticato. Luigi, magistrato eretico da quegli anni Cinquanta in cui nei palazzi di giustizia si processava quasi esclusivamente la marginalità sociale e i reati contro la proprietà; giudice convinto che «ogni fatto da giudicare è una storia, una microstoria, che a volte, per il protagonista del processo, è la storia della vita»; fondatore di Magistratura democratica; poi deputato di sinistra fuori dal coro e in ultimo avvocato garantista. La figlia, Federica, bambina indimenticabile, adolescente inquieta, ragazza impegnata, giovane che rifiuta il presente ordine sociale, per finire imputata e condannata per un delitto politico atroce commesso dalle BR. Tre vite in cui si trova rappresentata una Storia nazionale in soggettiva, scandita in una parabola simbolica. «Ho sbagliato? In cosa ho sbagliato?». E questo interrogativo finale, che Luigi Saraceni si pone a prima vista solo riguardo alla figlia, aleggia in realtà su tutto il secolo e poco più.