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Descrizione
«Non ho mai incontrato un uomo che sapesse ridere in modo così contagioso come Vladimir Il'ic. Bisognava godere di un benessere grande e forte per ridere così». Questo era Lenin come persona, secondo Maksim Gor'kij, celebre scrittore, che era tutt'altro che un «leninista» («sono un marxista molto dubbioso, credo poco nella ragione delle masse in generale») ma lo conobbe bene dai primi del Novecento, nell'esilio (il famoso soggiorno di Capri) e poi con la rivoluzione (in cui Gor'kji non credeva tanto) e dopo. Questi ricordi, un ritratto della persona schizzato attraverso occasioni vissute, furono scritti d'impeto, nella intensa commozione della notizia nel 1924 della morte del capo rivoluzionario. Pubblicati nel 1927 (ed è questa la versione che offriamo al lettore) furono poi rimaneggiati nel corso del tempo in senso più monumentale e iconografico, in corrispondenza evidentemente dell'irrigidirsi del culto quasi religioso di Lenin voluto da Stalin. In questa originaria versione il disegno del personaggio si profila spontaneo e immediato. Quello che interessa l'autore è l'uomo, il carattere, quello che si provava a stare insieme a lui. Si scopre un punto di vista inaspettato su un personaggio morto in realtà prima che la storia potesse capirlo fino in fondo. E senza che ci sia troppo di politica, queste pagine dicono forse sul Lenin politico, sulla sua ispirazione politica, di più di un'analisi metodica. «Ricorderò sempre che mi disse: "Forse noi bolscevichi non verremo compresi nemmeno dalle masse, è assai probabile che ci facciano fuori proprio all'inizio della nostra azione. Ma non importa. Il mondo borghese ha raggiunto la condizione di un'agitazione autodistruttiva, minaccia di avvelenare tutto e tutti"».
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