Paolo VI
-Una biografia
(Fuori collana)EAN 9788838242793
Quest’opera è preceduta da un’Introduzione di Angelo Maffeis e si articola in quattro parti, secondo le quattro grandi fasi della vita di Giovanni Battista Montini-Paolo VI. La suddivisione in capitoli non è molto omogenea, in quanto la prima parte comprende due capitoli, la seconda e la terza un capitolo ciascuna e la quarta ben cinque capitoli (dal V al IX).
La prima parte (pp. 11-156) è dedicata agli anni 1897-1933, cioè dalla nascita fino ai primi tredici anni di ministero sacerdotale. I due capitoli, nei quali è suddivisa, sono dedicati rispettivamente alla famiglia, alle amicizie, agli studi (I capitolo) e al lavoro svolto come assistente ecclesiastico della FUCI (II capitolo). L’autore (che è anche il curatore dell’intero volume) è Xenio Toscani, segretario generale del già citato istituto. Viene descritto il grande ruolo della famiglia e degli amici (sacerdoti e laici). Gradualmente Montini si apre dal contesto locale (bresciano, lombardo) a quello romano e nazionale. Sia in questa prima parte sia nel resto del volume è rivolta una grande attenzione al periodo storico nel quale si svolge la vita del futuro Paolo VI. L’inizio del ministero sacerdotale del giovane Montini coincide in buona parte col fascismo: col suo nascere, affermarsi e consolidarsi. In particolare, in tali anni Montini soffrì molto a causa dei fascisti, ma soprattutto per opera dei gesuiti e del cardinale vicario di Roma, Francesco Marchetti Selvaggiani (cf. pp. 148-149).
La seconda parte (pp. 157-239) è stata realizzata da Fulvio De Giorgi. Riguarda gli anni 1934-1954, cioè il lavoro nella Segreteria di Stato prima come minutante e poi, con incarichi sempre più delicati, fino a diventare sostituto. È il periodo nel quale il fascismo si stabilizza ancor di più. Ci sono, inoltre, gli anni tragici della guerra e quelli molto difficili del dopoguerra. Il ministero di Montini si svolse a stretto contatto con Pio XI e soprattutto con Pio XII. È delineata la personalità di Montini (cf. p. 169); vengono riportate alcune sue pagine di alta spiritualità su povertà, obbedienza, chiesa, libertà (cf. pp. 173-176).
Molto interessanti sono i riferimenti ai rapporti di Montini con Roncalli, De Gasperi, De Luca, Guitton, Maritain, Berdiaev e La Pira. Quelli con Gedda furono alquanto difficili (cf. pp. 202, 218 e 223). Negli ultimi anni da lui trascorsi a Roma si acuiscono i contrasti. Vengono descritte con molta accuratezza le manovre che portarono alla promozione/allontanamento di Montini da Roma a Milano. In particolare, è riportato un passo di una lettera di De Luca a Montini del 6 agosto 1959 (cf. p. 230). I dissidi maggiori furono con l’ingegnere Enrico Galeazzi, con il principe Carlo Pacelli (nipote del papa), con i cardinali Ottaviani, Pizzardo, Siri, con Gedda e comitati civici, con padre Riccardo Lombardi e suor Pascalina Lehnert.
Montini era accusato di essere troppo legato alle correnti teologiche ed ecclesiologiche francesi. Miravano a toglierlo da Roma e a procrastinare la nomina a cardinale (cf. nota 199 a p. 233). Certamente qualcosa intervenne a incrinare i rapporti tra Pacelli e Montini nei mesi centrali del 1954 (cf. pp. 234 e 238). De Giorgi evidenzia il fatto che la nomina di Montini a Milano gli consentì sicuramente di acquisire una forte esperienza pastorale e, così, di prepararlo al papato.
La terza parte (pp. 241-356) è opera di Gisella Adornato. Sono esaminati gli anni 1954-1963, cioè l’episcopato a Milano.
In estrema sintesi si possono affermare tre binomi. Montini: fu pastore e padre; portò avanti un progetto pastorale caratterizzato da fedeltà e rinnovamento; esortò instancabilmente ad “approfondire e allargare”.
I tre fulcri della sua pastorale furono liturgia, predicazione e dialogo (cf.p. 250). Vengono analizzate rapidamente le varie lettere pastorali, a partire dalla prima: la Omnia nobis est Christus del 1955. Il suo successore sulla cattedra di sant’Ambrogio, Carlo Maria Martini, nota che Montini aveva studiato una teologia che aveva smarrito il cristocentrismo, eppure Gesù Cristo era il centro assoluto di tutta l’opera montiniana (cf. p. 258).
La Adornato espone l’intensissima attività di Montini, dividendola in paragrafi, in ciascuno dei quali tratta i vari aspetti del suo ministero e ognuno di essi è presentato nell’arco dei nove anni. Il lavoro nelle parrocchie (cf. pp. 262-265): fonte privilegiata per conoscerlo è il resoconto che egli presentò al papa per la visita ad limina dal 3 al 10 novembre 1961: una visita pastorale, impostata su tre parole chiave, con la quale Montini indica alcune semplici priorità. I rapporti con il clero e i religiosi, per esempio con Mazzolari e Turoldo, alcune questioni delicate come quella dei preti operai e la rivista Ésprit (fondata nel 1932 da Emmanuel Mounier, dal 1957 diretta da JeanMarie Domenach). Si rinvengono anche cenni sui rapporti con le religiose (le claustrali e le ausiliarie diocesane) (cf. pp. 273-274). Altri paragrafi sono dedicati alla carità, all’assistenza e alle nuove emergenze: fenomeno immigratorio, carcerati, sfollati, nomadi (cf. pp. 274-276): un intervento non solo assistenziale, ma anche educativo e formativo. Interessanti sono anche l’apertura missionaria e l’impegno nell’ecumenismo.
La Adornato continua trattando l’impegno con il laicato. Si colgono tre cardini: preghiera, azione e sacrificio. Interessanti sono i rapporti tra l’Azione Cattolica e la Gioventù Studentesca (cf. pp. 281-286). Viene menzionato il dialogo non facile tra Montini e Giussani. Nei rimanenti paragrafi si delineano l’impegno con il mondo giovanile, la grande missione del 1957, l’attenzione ai lontani, i rapporti con la Curia romana, i papi (il clima cambia in modo totale con il passaggio da Pio XII a Giovanni XXIII) e con il mondo del lavoro, l’impegno per la costruzione delle nuove chiese, l’attenzione al laicato, alla politica, alla cultura, all’arte, ai mass media.
Ci sono, infine, cenni ai viaggi di Montini in America e in Africa. Viene descritto in modo molto accurato l’impegno dell’Arcivescovo nella preparazione al Concilio e nelle sue prime fasi, ovviamente sotto la guida di Giovanni XXIII. Particolarmente rilevanti furono le due lettere di Montini: quella dell’8 maggio 1960 al cardinale Tardini e quella del 18 ottobre 1962 al cardinale Cicognani.
La quarta parte (pp. 357-543) è trattata da Ennio Apeciti. Concerne gli anni 1963-1978, cioè il pontificato. Come si evidenziava all’inizio, essa si articola a sua volta in cinque capitoli: la continuazione (V capitolo) e l’attuazione (VI capitolo) del Concilio; Il Sessantotto è il titolo del VII capitolo; Il tempo della perseveranza è, invece, il titolo dell’VIII capitolo (e abbraccia gli anni dal 1969 al 1974); infine, Il luminoso tramonto (IX capitolo; dal 1975 al 1978). Per quanto riguarda il Concilio, Paolo VI si impegnò affinché potessero esprimersi al meglio le diverse voci che arricchivano il dibattito conciliare, ma si adoperò anche affinché tali voci potessero poi confluire in un consenso ampio e sereno. Viene dato ampio spazio ai numerosi e significativi viaggi del papa, al suo magistero sociale e a quello sulla vita, sull’amore umano e sulla sessualità (enciclica Humanae vitae).
Questa biografia di Paolo VI è pubblicata dall’Istituto che gli è intitolato, in occasione della sua beatificazione. Comunque, non è uno scritto di occasione, in quanto si avvale di ricerche ancora in corso e del lavoro svolto dall’Istituto con convegni, giornate di studio e, soprattutto, con un costante lavoro sulle fonti.
Non è la semplice rassegna di quanto già prodotto. L’originalità del lavoro deriva dal fatto che sono state usate fonti non ancora utilizzate da altri. Gli autori hanno lavorato nell’archivio personale di Montini e nell’archivio della diocesi milanese. Per esempio, sono state molto utili le oltre 5.000 lettere scritte negli anni ’20 e ’30, appunti utilizzati per predicazioni e ritiri, manoscritti di discorsi mai dati alle stampe.
Inoltre, la biografia ha potuto avvalersi delle testimonianze su Giovanni Battista Montini-Paolo VI, raccolte in vista del processo di beatificazione.
È un libro ricchissimo a livello spirituale e pastorale; molto utile per conoscere l’Italia, ma anche il mondo nel XX secolo e quanto ha preparato, accompagnato, seguito il Concilio a livello sociale, ecclesiale, culturale.
Insomma, tale lavoro vuole non solo mettere in luce i tanti elementi positivi di un uomo di altissimo livello, ma dar contezza costantemente del fatto che questa persona ha avuto un ruolo di primo piano negli eventi storici ed ecclesiali del XX secolo.
È chiarificatrice al riguardo un’affermazione che si rinviene nel volume, molto specifica, ma davvero significativa: «La storiografia è unanime nel riconoscergli il ruolo principale nella formazione della classe dirigente cattolica in Italia» (p. 13).
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-4/2014
(http://www.pftim.it)
La beatificazione del 19 ottobre 2014 ha consentito di porre la figura di Paolo VI sotto i riflettori, anche se questi in realtà non si erano mai spenti, vista la statura del personaggio, che ha praticamente accompagnato l’intera vita ecclesiale del secolo scorso. Tuttavia queste luci non sono sempre state luminose, e Paolo VI passa anche per un papa controverso, che ha guidato la Chiesa suscitando giudizi eterogenei, dai più ingenerosi ai più magnanimi. Tra questi ultimi certamente quelli che papa Francesco, di cui è nota la dipendenza in arie idee, gli ha riservato nell’omelia della beatificazione, soprannominandolo «il grande timoniere del concilio», e dicendo che «nei confronti di questo grande Papa, di questo coraggioso cristiano, di questo instancabile apostolo, davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera e importante: grazie!». È l’ora quindi di ripercorrerne i passi, di dare forma a una conoscenza e cercare di comprendere chi fu veramente Giovanni Battista Montini.
Non che gli studi manchino. È sufficiente una scorsa dei cataloghi dell’omonimo Istituto di Brescia, già promotore di una serie di Colloqui d’impostazione fortemente teologica, o una ricerca nell’enorme bibliografia che ospita monografie di ogni genere, segno di un pensiero profondo e oltre modo stimolante. Proprio la fondazione bresciana è all’origine di questo volume curato da Xenio Toscani. Come dice il sottotitolo, esso si presenta nella veste del genere biografico e come tale va preso, per cui sarebbe fuori luogo cercarvi altre cose, come la soluzione di problemi ermeneutici su punti che la stessa storiografia non ha ancora del tutto risolto. Insieme al racconto di una vita emergono però anche la vocazione ecclesiale, la condizione di credente pensante e dialogante, di un uomo impegnato a entrare nel proprio tempo, che ha vissuto sulla propria pelle l’inquietudine di decisioni difficili e spesso impopolari. Dietro questo profilo si delinea l’arco di una cronaca civile ed ecclesiale puntualmente registrata. Si ha così la possibilità non solo di entrare nell’anima del protagonista, di esaminarne il percorso spirituale e le ansie apostoliche, ma anche di vedere con lui l’evolversi del periodo storico.
La puntuale introduzione di Angelo Maffeis sintetizza i vari criteri del volume, e dice pure le fonti che ovviamente attingono abbondantemente al centro bresciano, ad altri luoghi meno noti, come i documenti vaticani degli anni trenta recentemente aperti, e a un materiale di prima mano, tra cui l’imponente carteggio ancora in corso di pubblicazione, oltre ad appunti individuati da poco nell’archivio della diocesi milanese. Proprio le invitanti citazioni di ampi stralci del carteggio si rivelano tra gli aspetti più interessanti del volume: lettere ai familiari, soprattutto al padre Giorgio Montini, figura di primo piano del cattolicesimo bresciano, agli amici e alle diverse persone incontrate sul proprio percorso, che manifestano gli aspetti più intimi, il tormento dei dubbi, il processo di crescita e di formazione, la visione strettamente personale su fatti dalla grande importanza. Sono cose che non si possono ignorare se si intende progredire nella via della conoscenza. L’apparato dei riferimenti consente al lettore di proseguire l’indagine, rendendosi pure conto dello stato della ricerca. L’esposizione aliena a tecnicismi e il linguaggio accessibile lo rendono un volume adatto a tutti, benché col carattere dell’alta divulgazione.
L’opera è articolata in quattro parti, con l’intento di ricostruire le quattro grandi fasi della vicenda montiniana. La prima, scritta dal curatore Xenio Toscani, esamina i primi passi, la famiglia, le amicizie, la formazione e gli studi, coprendo il periodo che va dal giorno della nascita, avvenuta il 26 settembre 1897, al 1933, anno dell’ingresso nella Segreteria di Stato. È la parte più ricca di documentazione epistolare. Si respira un clima progettuale e si assiste al processo generazionale di una famiglia che trasmette l’eredità della propria fede a un figlio che avrà un destino particolare. In essa Giovanni Battista Montini trova i primi capisaldi, le figure formatrici, tra cui le numerose donne (la madre, la nonna, le zie). Ci sono poi la scuola, le letture, l’Oratorio della Pace, dove avvengono i primi importanti incontri come quello con padre Giulio Bevilacqua, che gli ispirerà un cattolicesimo impegnato nel sociale, e da lui successivamente creato cardinale, il cardinale-parroco. Gli studi prendono presto la via diplomatica, con tre principali indirizzi che sono la filosofia-teologia, il diritto e le lettere, ma «Montini in realtà aveva un vivo desiderio di apostolato diretto, di attività pastorale» (67).
Altri due aspetti sono la personalità relazionale, nonostante il carattere fondamentalmente introverso, e l’attività precoce a favore della cultura. Numerose e significative sono le amicizie laicali che popolano l’intera biografia. Tra di esse s’incontra Igino Righetti, l’amico morto prematuramente all’età di 35 anni, e con cui ha inizio il sodalizio decennale a favore della fUCi. Dire Montini è per molti versi dire fUCi, ciò fa capire la focalizzazione di questo periodo, che ha lo spazio di un capitolo a parte. Sono gli anni della crisi fascista, di ideali perduti come la libertà e la pace, e Montini progetta l’idea di un “apostolato intellettuale” (poi rielaborato nel concetto di “carità intellettuale”), capace di ristabilire il rapporto tra la fede e la cultura, un ponte che dava già evidenti segni di cedimento. Per sua iniziativa dalla fUCi sarebbe sorto nel 1932 anche il Movimento dei Laureati Cattolici (l’attuale MeiC). A questi due movimenti, che presentano il Montini educatore, si attribuisce il giudizio storico che egli riuscì a trasformarli in un laboratorio di idee, in una «grande scuola di formazione religiosa e intellettuale della parte più viva e migliore della classe dirigente cattolica del Paese negli anni Quaranta-Settanta» (75).
Occorreva rendere la fede “pensante e pensata”, di qui, oltre alle iniziative, anche l’interessante seppur veloce elenco degli autori prediletti, dove affiora l’inclinazione al pensiero francofono. L’esperienza fucina termina però con le dimissioni, per turbolenze esterne, e a Montini si aprono le porte del suo secondo grande periodo, in Segreteria di Stato, dal 1934 al 1954, prima come minutante alle dipendenze del cardinal Ottaviani, poi con responsabilità crescenti fino a diventare sostituto alla Segreteria di Stato. Sono gli anni dei pontificati di Pio XI e Pio XII, del secondo conflitto bellico, delle ombre civili, del lavoro scrupoloso e di una fedeltà ecclesiale che si gioca anche tra le carte della burocrazia, per una carriera mai desiderata, e con l’unica attività collaterale dell’insegnamento di diritto alla Lateranense dal 1930 al 1937. Estensore di questa seconda parte è Fulvio de Giorgi, che oltre allo spaccato psicologico e storico-biografico, dà alcune notizie teologiche, rilevando ad esempio il noto cristocentrismo, con cui Montini fondeva l’umanesimo integrale di Maritain e l’ecclesiologia del corpo mistico di Journet, due suoi fari ispiratori.
Nel periodo postbellico «Montini si trovò a essere uno dei più rilevanti punti di riferimento del processo di ricostruzione democratica dell’Italia, sempre facendosi interprete – ma in modo originale e non meramente passivo – della visione e del magistero di Pio XII» (208). Tra gli amici troviamo questa volta Alcide de Gasperi, e altri protagonisti, con notizie storiche sulle vicende italiane che si intensificano, fino a gettare luce sulla stessa formazione della Costituzione, anticipata dai “Principi dell’ordinamento sociale” del celebre “Codice di Camaldoli”. De Giorgi rileva un modello montiniano, destinato a incontrare ostilità nell’ambiente vaticano, che «puntava non tanto a riconoscimenti confessionali espliciti, ma allo stabilirsi di travature costituzionali che esprimessero il nesso di libertà e giustizia in un impianto democratico, animato interiormente dall’umanesimo cristiano e dal suo anelito alla pace» (212). In tempi non ancora sospetti, Montini fu però pure l’uomo che mise in guardia dall’avanzare del neopaganesimo e cioè della secolarizzazione, indice che il problema religioso rimaneva sempre in primo piano.
Sostenitrice della via mediana, ma aperta alle novità teologiche e pastorali, l’epoca di Montini alla Segreteria di Stato termina con la nomina ad arcivescovo di Milano, alla fine del 1954, aprendo il dibattito se fu una promozione-rimozione. L’Autore registra segni contraddittori e l’azione dirimente di Pio XII. Si apre la parte quarta, dedicata all’episcopato milanese, un ruolo inedito, dove la pastorale diventa azione diretta. La ricostruisce Giselda Adornato, da anni dedita a questo periodo, con lavori compiuti nell’archivio milanese. La materia è distribuita con ordine, in paragrafi a temi, che possono apparire eccessivamente compartimentati, ma che danno una ricca miniera di informazioni per capire come l’arcivescovo Montini sia entrato e abbia organizzato una diocesi. Si va dalle scelte della pastorale ordinaria al confronto con una metropoli alle prese con gravi problemi sociali, soprattutto il lavoro, verso cui Montini mostrò particolare propensione, tanto da meritare il titolo di “arcivescovo dei lavoratori”. Si registrano aneddoti, incontri, appunti, e numerose citazioni del magistero Ambrosiano, rilevando un cuore pulsante nel “rapporto tra fede e mondo moderno”, e che consentono di saggiare principi e argomenti che costituiranno l’ossatura del pontificato.
Lo stile elogiativo non trascura le difficoltà di un personaggio che sembra fare fatica a essere compreso, destino, questo pure, che lo accompagnerà nel successivo ministero. Ciò avviene dalla sinistra, per le sue battaglie contro il centrosinistra, e dalla destra, che gli attribuisce l’etichetta del “sinistrismo”.
«In questi frangenti la proverbiale capacità di mediazione montiniana è messa alla prova» (315), ma la passione culturale di sempre resta quella di un «umanesimo reale – diceva nel 1958 –, non utopistico, non mutilo, ma grande e completo e perciò cristiano». Un’iniziativa originale fu la costruzione delle “ventidue chiese per ventidue concili”, che Montini progettò subito dopo l’annuncio del Vaticano II da parte di Giovanni XXIII, suo grande amico ed estimatore, che lo mise in cima alla lista dei cardinali eletti nel concistoro del 1958. L’autrice dedica le pagine finali al rapporto tra il neo-cardinale e il concilio, ponendo in evidenza l’importanza della documentazione ambrosiana, fatta di appunti e di messaggi, tra cui l’importante lettera alla diocesi Pensiamo al concilio (22 febbraio 1962), seguita da altre, che documentano meglio dei due soli interventi in aula, quali fossero i disegni e lo stato d’animo del futuro “timoniere del concilio”.
Si entra nel quarto e ultimo quadro, certamente il più impegnativo, per l’importanza del ministero pontificio e per riflessioni su rapporti cruciali, con il concilio, il postconcilio, e gli ultimi anni. L’Autore è Ennio Apeciti, docente di storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale. L’immediatezza cronologica della decisione di continuare il concilio, esposta già il giorno dopo l’elezione, lascia intuire che non vi furono molte incertezze al riguardo, sebbene essa fosse stata presa nel peso di una “solitudine tremenda”, e come atto di comunione. Fin dall’inizio, però, Paolo VI manifesta la volontà di dover esercitare un proprio ruolo, di non fare solo da spettatore. L’Autore riferisce la frase attribuita al teologo personale, Carlo Colombo: «Il papa non è il semplice notaio del concilio. Ha una sua responsabilità davanti a Dio e alla Chiesa». Paolo VI rivide il regolamento e seguiva le sedute conciliari attraverso un circuito televisivo interno. Il testo non entra nel dettaglio del suo ruolo nella conduzione del concilio, oggetto di uno dei dibattiti più accesi della storiografia moderna, ma dà una sintetica esposizione delle varie vicende interne ed esterne, evidenziando l’aspetto tipico del cucitore di parti.
I veri problemi cominciano nel dopo concilio, di cui Appeciti ripercorre gli avvenimenti significativi, in un certo modo decisivi, e molti dei quali innovativi per il nuovo corso che Paolo VI intendeva imprimere alla Chiesa sulla scia della riforma conciliare. Al Sessantotto è dedicato un intero capitolo, anche perché esso si fonde con le difficoltà della recezione, segnata dalla sofferenza per le confusioni ermeneutiche e culminate nel processo all’Humanae vitae, l’enciclica prematuramente ultima del suo magistero pontificio. L’Autore traccia un quadro politico-sociale-ecclesiale perturbato, in cui il bacio della terra, simbolo dei viaggi papali, alcuni dei quali memorabili, come quello a Bogotà, e di un messaggio costantemente ispirato al dialogo, contrasta con una crescente reputazione di oscurantista, che produsse vere e proprie campagne diffamatorie. Vicino alla fase finale della vita, intitolata “luminoso tramonto”, il papa dal volto sofferente dà un documento sulla gioia, la Gaudete in Domino, testo ispiratore dell’Evangelii gaudium, e poi l’ultimo vero canto del cigno, che è l’Evangelii Nuntiandi. Quindi la tragica pagina della vicenda Moro, col papa “in ginocchio”, e poi, per una salute già da tempo precaria, “rapida giunse la morte”.
Cosa resterà di Paolo VI? Questo studio aiuta a collocare un personaggio, intellettualmente ed emotivamente coinvolgente, al suo giusto posto. Al termine resta quello che gli Autori si proponevano, cioè una biografia ragionata e documentata. La gratitudine è per aver favorito l’incontro con un uomo che, senza mai rinnegare le proprie debolezze, ha vissuto un ventesimo secolo attraversato da luci e tante ombre. Che spesso si sia trovato a svolgere il ruolo di voce solitaria indica una condizione esistenziale e un modo personale di concepire la collegialità, ma pure lo scontro tra modi diversi di pensare e l’opposizione di pregiudizi ideologici. Suo malgrado papa dei malintesi e delle incomprensioni, ma anche delle scelte innovative e coraggiose, Montini resta il testimone di un amore appassionato per Cristo e la Chiesa. I suoi discorsi più ispirati, a tratti commoventi, e con un linguaggio letterario, sono dedicati a questi temi, per lui sempre convergenti. Ma egli ha saputo parlare, e forse con maggior chiarezza, anche attraverso i gesti. Non aveva l’aria del condottiero, eppure ha avuto la capacità non comune di guardare lontano, conducendo la Chiesa e il papato su vie che i suoi successori hanno potuto percorrere con maggiore speditezza. Non resta che esprimere tutta la nostra ammirazione.
Tratto dalla rivista Lateranum n.1/2015
(http://www.pul.it)
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