John Henry Newman e l'abito mentale filosofico. Retorica e persona negli «Scritti dublinesi»
(La dialettica)EAN 9788838241222
Analizzando tutti gli scritti del card. Newman tra il 1851 e il 1859, gli anni trascorsi a Dublino per fondarvi un’università cattolica, è possibile cogliere alcuni elementi importanti che completano il più conosciuto L’idea di università. In particolare l’a. mette in luce l’influenza di Aristotele, Cicerone e Locke nella formazione di una concezione della persona umana profondamente moderna, dove le sue tre dimensioni – intellettuale, morale e artistica – si definiscono in sé stesse e in reciproca interrelazione e unità. «Quel che rimane dell’idea di persona umana di Newman è non solo la sua teoria, ma la sua necessità. Egli ci insegna che la verità e il senso possono essere trovati solo nella totalità, ma anche che l’unità della conoscenza è un’impresa collettiva e fallibile. Accettare i nostri limiti e anche i nostri fallimenti non significa essere condannati all’inettitudine e allo scetticismo, piuttosto evidenzia il perenne bisogno di essere aperti alla verità, in ogni sua forma».
Tratto dalla Rivista Il Regno 2010 n. 18
(http://www.ilregno.it)
Il testo investiga un arco di tempo di otto anni. È il periodo che tenne impegnato Newman per la creazione di un’Università Cattolica in Irlanda. Infatti, il lavoro che testimonia questo libro non è solo la rivisitazione comune, e ormai consunta, de L’idea di Università. Esso muove anche dalla frequentazione di tutti gli scritti del periodo (attinenti all’impegno in Irlanda) che non sono stati criticamente valorizzati. E non lo sono stati, non solo per la chiarificazione dell’intento pedagogico newmaniano, ma soprattutto per la più importante e basilare concezione filosofica concernente la persona umana.
Per questo scopo l’attività di Newman è confrontata con i giganti del passato: Aristotele, Cicerone e Locke. Pertanto, l’ambito d’investigazione tocca sia la dimensione intellettuale che quella morale, nonché quella artistica. Per quanto concerne la dimensione intellettuale, non può sfuggire a Newman l’ambito della conoscenza. Per quanto riguarda la dimensione morale e la sua imprescindibile relazione tra moralità e conoscenza, Newman ha uno sguardo acuto sulla realtà a lui contemporanea. In particolare, si interroga sul rapporto intelletto-morale e le tre grandi visioni in voga nel suo tempo: l’utilitarismo, il deontologismo e il sentimentalismo. L’investigazione della manifestazione artistica viene affrontata, invece, come attività e manifestazione che conduce alla manifestazione unitaria della persona umana. Ossia una realtà “creatrice” sì, ma aperta all’infinito. L’investigazione newmaniana che se ne ricava è quella di un persona coscientemente impegnata per la più completa e vera realizzazione dell’essere personale. Una realizzazione che porta a chiedere al rettore dell’Università Cattolica di Dublino quanto ciò sia possibile, a prescindere da qualsiasi riferimento religioso. Dal punto di vista dell’indagine del presente lavoro, le fonti documentarie del progetto educativo e filosofico newmaniano sono tre grandi opere:
- Discourses on the scope and nature of University education (in essi si evince un’idea di Università dal punto di vista teoretico);
- Occasional lectures and Essay (costituisce un’illustrazione della precedente visione teoretica);
- Rise and Progress of University (sono la testimonianza del passaggio dall’idea di Università astratta a quella di un’istituzione concreta e universale).
Per questo scopo Angelo Bottone, scarta tutte quelle opere newmaniane, che pur essendo di questo periodo, non sono strettamente attinenti allo scopo. Invece sono state valorizzate tutte quelle opere, come sopra ricordato, che finora per svariati motivi, non sono state utilizzate appieno (p. 10). Così, il primo capitolo costituisce una ricostruzione puntuale, non cronachistica, di tutti gli antefatti storici politici ed ecclesiastici che portarono all’erezione dell’Università Cattolica d’Irlanda.
Nel secondo capitolo, il professor Bottone si occupa dell’influenza di Aristotele su Newman. Questo è un argomento abbastanza “latitante” negli studi newmaniani. Infatti, è pacifico sottolineare l’influenza di Platone e del platonismo – nelle varie sfumature – nel pensiero e nell’attività di Newman. L’influenza della patristica nella sua complessità è variamente e inconfutabilmente attestata nell’opera e nell’esperienza spirituale e umana del grande cardinale. Per questo l’autore, nella rivisitazione sistematica di tutti gli scritti del periodo, soprattutto degli scritti minori, dimostra un’inconfutabile influenza dell’Etica nicomachea. Meno sorprendente, invece, è l’influenza di Cicerone (soprattutto con il De officiis) sugli studi e sull’opera di Newman. Per questo gigante della classicità, Newman, non ha mai nascosto la sua simpatia. Anche se a tratti idealizzato, Cicerone, costituisce per Newman l’ideale dell’uomo colto, educato secondo “l’ideale liberale”. Ovviamente, in tale sottolineatura non si manca di evidenziare la grande deficienza della visione della vita, che può avere anche un uomo virtuoso che non ha conosciuto la religione cristiana.
Il raffronto con John Locke, è tutto racchiuso nel confronto con l’utilitarismo, di cui, per Newman, questo filosofo è il padre. Per questo anche il modello pedagogico lockiano non riesce a uscire dalla visione ideologica dell’utile. E poiché l’influenza di Locke è stata enorme non solo nella sua epoca, ma anche nel futuro e in tutti i settori delle manifestazioni umane, Bottone estende una rapida ma efficace incursione anche in questi settori. L’autore poi ricorda come Locke e Newman riservino ampio spazio allo studio delle lingue straniere e antiche. Queste “passioni comuni”, queste letture identiche, tuttavia, danno esisto a una ben diversa concezione della persona. Per Locke tale studio era necessitato solo per fini utilitaristici. Per Newman, invece, lo studio dei classici fornisce il metodo eccellente per l’allargamento della mente, la coltivazione dell’intelletto e il raffinamento dei sentimenti. In altri termini, una persona in grado di lasciare il segno in ogni posizione che occupa. Bottone non manca di sottolineare che tale ambito antropologico newmaniano risulta, a tutt’oggi, poco esplorato.
Dopo queste considerazioni si passa al quarto capitolo. In esso si fa il confronto tra la figura del gentiluomo e dell’uomo colto. Anche se Newman preferisce una formazione intellettuale distinta da quella morale – da somministrare soprattutto nelle università – tuttavia non ne nasconde un’impossibilità pratica. Infatti, pur sostenendo da un punto di vista teorico la separazione tra intelletto e morale (e l’università è il “santuario” in cui si amministra la conoscenza), dal punto di vista pratico c’è una correlazione tra l’uno e l’altra. Per questo il gentiluomo della visione newmaniana è una figura che porta in sé, in un delicato equilibrio, sia la virtù intellettuale che quella morale. L’ultima parte del capitolo rileva poi che tipo di persona si è autorizzati a evincere dagli Scritti Dublinesi. Con il progetto universitario d’Irlanda Newman stava tentando di costruire una visione unificante dell’uomo con le sue facoltà: la dimensione intellettuale, morale, artistica in un’esperienza educativa (cf. p. 183). Se il gentlemen è un tipo di persona auspicabile in una società laica, a prescindere da ogni principio religioso, di fatto tale realizzazione è impossibile. E lo è perché nell’animo umano è impossibile che ci sia una semplice religione laica. Quest’ultima, pur essendo una visione laica, è sempre una visione religiosa, una “fede del e nel mondo”. Per questo la figura della persona completa, è quella che non disdegna l’apertura alla trascendenza divina.
L’ultimo capitolo viene riservato, con rapidi flash, a questa rilevazione di concezione antropologica e l’idea di università che ha accompagnato il mondo moderno e contemporaneo. L’università, da istituzione che doveva supportare lo stato nazionale, si era trasformata in un’istituzione che deve supportare i centri di produzione della ricchezza dislocati nelle società.
Oggi, questo monopolio di conoscenza e di ricerca, di esclusiva pertinenza dell’università, è tramontato. Ben altre sono le agenzie educative con cui ci si confronta. E, allora, l’utopica idea newmaniana di creare un’Università transnazionale a Dublino, che cosa vuole a dirci? Innanzitutto, che a nessuno è possibile comprendere tutto lo scibile umano. Ogni disciplina ha il suo metodo d’investigazione e di conoscenza. Per cui non si può scartarne nessuna. Nell’università c’è bisogno della contemporanea e reciproca esistenza dei saperi. C’è bisogno di coesistenza, di concorrenza tra essi: dunque né riduzionismo, né utilitarismo. E allora, dove trovare quest’auspicata convergenza dei saperi? Essa, secondo l’autore, Newman l’ha indicata nella persona, nella coltivazione delle sue potenzialità. Ritorna, dunque, un’ineludibile questione antropologica, che gioca la sua comprensione soprattutto con la filosofia e la teologia. Queste nel consesso delle scienze, offrono il loro forte apporto. Esse ci aiutano a capire la fallibilità di un progetto di conoscenza, senza per questo screditarlo o abbandonarlo. Per questo è chiesto alla persona di svilupparne tutto il potenziale. Quel che dunque rimane dell’idea di persona umana di Newman è non solo la sua teoria, ma la sua necessità. Verità e senso possono essere trovati solo nella totalità. L’unità della conoscenza è un’impresa collettiva e fallibile. Accettarne questa realtà ci impegna a essere aperti alla verità in ogni sua forma (cf. p. 188).
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2013
(http://www.pftim.it)
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Luigi Walt il 29 novembre 2010 alle 17:08 ha scritto:
Capita a proposito, in questi giorni, il bellissimo libro che Angelo Bottone ha appena pubblicato, sul periodo dublinese del Cardinale John Henry Newman. Bottone aveva già curato, per le edizioni Studium, una traduzione dei discorsi newmaniani sull’idea di Università: questa monografia cerca ora di offrire una migliore comprensione dello sfondo in cui germinarono le riflessioni “universitarie” del grande pensatore inglese.
Al principio del volume, troviamo una ricostruzione del periodo che vide Newman occupato nella progettazione, fondazione e direzione dell’Università Cattolica d’Irlanda (sono gli anni fra il 1851 e il 1859). Rispetto ai contributi precedenti sul tema, le novità sono due: in primo luogo un allargamento delle fonti, col proposito di rintracciare e includere nell’analisi i vari testi prodotti dal Cardinale in quest’arco di tempo; in secondo luogo, uno spostamento dell’attenzione dagli aspetti meramente pedagogici a quelli più decisamente filosofici, considerando soprattutto i problemi dell’unità della conoscenza, della relazione fra conoscenza e moralità e del modello di “persona umana”.
Un capitolo centrale, particolarmente ricco d’intuizioni e di spunti, è dedicato al confronto fra Newman e tre grandi figure filosofiche di riferimento: Aristotele, Cicerone e John Locke. Di quest’ultimo se ne sottolinea la prospettiva utilitarista, agli antipodi dell’ideale propugnato dal Cardinale. Cicerone è invece valutato, sempre sulla scia di Newman, come esempio supremo di “uomo colto”, ma anche come simbolo di un’ambivalenza significativa: quella di chi assomma in sé «l’eccellenza dell’attività intellettuale ma anche i limiti dell’uomo educato al di fuori della fede cristiana».
Questa ambivalenza ritorna in maniera prepotente nella trattazione riservata ad Aristotele, che anche per Newman si può definire dantescamente come «maestro di color che sanno». Il quinto Discorso de L’idea di Università, come rileva giustamente Bottone, contiene ad esempio il «più grande tributo che Newman abbia mai reso a un autore non cristiano»:
«Finché durerà il mondo durerà la dottrina di Aristotele su questi argomenti, perché egli è l’oracolo della natura e della verità. In quanto uomini non possiamo fare a meno, in gran misura, di essere aristotelici, perché il gran maestro non fa che analizzare i pensieri, i sentimenti e i modi di vedere e le opinioni del genere umano. Egli ci ha mostrato il significato delle nostre stesse parole e idee, prima che fossimo nati. In molte materie pensare correttamente è pensare come Aristotele e noi siamo suoi discepoli che lo vogliamo o no, anche senza saperlo».
A questa esaltazione di Aristotele, tuttavia, non corrisponde una pedissequa professione di aristotelismo. Se è vero che Newman, seguendo Aristotele, anticipa in maniera del tutto originale lo sviluppo di alcune posizioni che saranno proprie del neo-aristotelismo del Novecento (e in particolare del comunitarisimo di Alasdair MacIntyre), è anche vero che del grande filosofo egli sottolinea, per l’appunto, il valore esclusivamente filosofico e “laico”. Giunti alle soglie della fede, anche la sua prospettiva è dichiarata insufficiente, seppure se ne debba riconoscere il carattere necessario.
Questa stessa dialettica, in fondo, sembra governare anche il pensiero di Newman sull’istituzione universitaria. Le pagine conclusive del libro, dedicate al “paradosso” e al “fallimento” del progetto newmaniano, appaiono da questo punto di vista di una chiarezza esemplare. L’attualità del pensiero di Newman, spiega infatti Bottone, non dev’essere valutata pensando alle sue possibilità di realizzazione concreta: più delle caratteristiche programmatiche dell’istituzione che Newman aveva in mente, contano gli ideali di conoscenza e di persona che egli intendeva promuovere attraverso di essa.
L’idea di Università diventa in questo modo una sorta di “piano regolatore”, valido per qualunque tipo di attività intellettuale. In questa prospettiva, anche una città (o per meglio dire una “metropoli”) potrebbe supplire alle eventuali carenze di un’istituzione universitaria, ponendosi come luogo di comunicazione fra i saperi, le esperienze educative e le persone.
Ciò che interessa a Newman, in definitiva, è la creazione o la salvaguardia di spazi comuni che permettano lo sviluppo integrale dell’uomo, in tutte le sue facoltà (intellettuale, morale e artistica). E contro un ideale così alto, sembra suggerirci Bottone, non c’è crisi economica che possa intervenire.