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Con gli occhi di allora
-Una bambina ebrea e le leggi razziali
(Il Pellicano Rosso. Nuova serie)EAN 9788837222819
Disponibile in 5/6 giorni lavorativi
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DETTAGLI DI «Con gli occhi di allora»
Tipo
Libro
Titolo
Con gli occhi di allora - Una bambina ebrea e le leggi razziali
Autore
Mirjam Viterbi Ben Horin
Editore
Morcelliana Edizioni
EAN
9788837222819
Pagine
96
Data
settembre 2008
Peso
85 grammi
Collana
Il Pellicano Rosso. Nuova serie
COMMENTI DEI LETTORI A «Con gli occhi di allora»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Con gli occhi di allora»
Recensione di P.S. della rivista Il Regno
La precisione è una forma alta di rispetto. La sentenza vale in molti campi: nella ricerca scientifica, nei rapporti interumani, nelle testimonianze, nei ricordi e via dicendo. Quando si tratta della memoria, il giudizio ora espresso esige l'assunzione della distanza. Il ricordo è tanto più esatto quanto meno si lascia influenzare dalla condizione presente. Esso è attendibile quando riesce a immedesimarsi nella situazione rievocata. Ciò è ancora più vero allorch é tra i fatti e la loro esposizione sono trascorsi decenni. Nel nostro caso, Con gli occhi di allora non è solo titolo assai bello, è anche cifra compiuta delle modalità in cui il volumetto si propone al lettore.
Nella Premessa l'autrice (cf. Regno-att. 6,2008,147) afferma, non a caso, tanto la lenta distillazione di queste pagine giunte a essere scritte solo dopo lunghe dilazioni, quanto la propria avversione nei confronti di stesure romanzate che rivestono d.immaginazione quel che va riportato nella sua originaria asciuttezza. Tuttavia al presente della scrittura è affidato anche un suo legittimo ruolo che si esplica, prima di ogni altra cosa, nel «grazie» riservato nei confronti di coloro che in circostanze difficili, anzi drammatiche hanno fatto avvertire a Mirjam Viterbi la bellezza del vivere anche nei momenti più oscuri. Il trasferire sulla carta eventi, circostanze, nomi e cognomi riportati con scrupolo è un modo per esprimere un ringraziamento fino a ora, forse, non sufficientemente esplicitato.
Gli occhi di allora erano quelli di una bambina che nel 1938 non aveva ancora varcato le soglie della prima elementare, che viveva in una grande e bella casa di Padova e che era costretta a faticosi esercizi per imparare a suonare il pianoforte. Tutto normale; ed è pregio non comune del libro far sì che ogni evento continui a essere raccontato con il passo di una quotidianità infantile anche quando le circostanze diventano sempre più cupe, allorché la famiglia dovette trascorrere l'estate del 1943 a Porretta, per poi rifugiarsi ad Assisi prima in un albergo, poi in un appartamento, protetta da un precario anonimato reso un briciolo più sicuro da documenti falsi e soprattutto dalla lealtà di chi sapeva e non svelava.
In Con gli occhi di allora la levità della scrittura diviene il sigillo di verità della testimonianza. Il ricordo della notizia di deportazioni di parenti stretti è, quindi, rivissuto attraverso l'immagine della madre muta e smarrita, senza proiettare indietro inattendibili consapevolezze di cui si era allora privi. L'immagine di zio Rodolfo, preso coi suoi figli Roberto e Vittorio, sulle montagne modenesi, condotto a Fossoli e di lì ad Auschwitz, s'identifica, perciò, con il saluto dato alla stazione di Ferrara quando la famiglia si stava trasferendo a Porretta. Com'era d'uso allora, mentre il treno partiva, lo zio estrasse il fazzoletto e lo sventolò fino a che non divenne un puntino bianco: l'ultimo segno di una lontananza che non sarebbe mai più stata ricomposta.
Oltre alla famiglia e alle persone, il libro ha anche un'altra protagonista: Assisi. Non solo i nomi delle strade, degli alberghi, i vicoli e la piazza, ma anche la presenza di Francesco, avvertita nei versi del Cantico sentiti recitare fin dai tavoli dei ristoranti e diventato tratto quasi palpabile in varie altre occasioni. Lo scrivere con esattezza dopo decenni, lo si è detto, diviene, con gli occhi di ora, anche una forma di ringraziamento. Assisi è legata a luoghi e presenze, ma anche a nomi e cognomi precisi. Tre di essi sono riportati anche nella breve parte iconografica che chiude il testo. Si tratta del vescovo mons. Nicolini, del sacerdote diocesano don Aldo Brunacci e del francescano p. Rufino Nicacci, tutti e tre fregiati, da parte ebraica, del titolo di «giusti tra le nazioni»: un segno di fede in Dio e nell'uomo che dall'allora giunge a ora.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 18
(http://www.ilregno.it)
Nella Premessa l'autrice (cf. Regno-att. 6,2008,147) afferma, non a caso, tanto la lenta distillazione di queste pagine giunte a essere scritte solo dopo lunghe dilazioni, quanto la propria avversione nei confronti di stesure romanzate che rivestono d.immaginazione quel che va riportato nella sua originaria asciuttezza. Tuttavia al presente della scrittura è affidato anche un suo legittimo ruolo che si esplica, prima di ogni altra cosa, nel «grazie» riservato nei confronti di coloro che in circostanze difficili, anzi drammatiche hanno fatto avvertire a Mirjam Viterbi la bellezza del vivere anche nei momenti più oscuri. Il trasferire sulla carta eventi, circostanze, nomi e cognomi riportati con scrupolo è un modo per esprimere un ringraziamento fino a ora, forse, non sufficientemente esplicitato.
Gli occhi di allora erano quelli di una bambina che nel 1938 non aveva ancora varcato le soglie della prima elementare, che viveva in una grande e bella casa di Padova e che era costretta a faticosi esercizi per imparare a suonare il pianoforte. Tutto normale; ed è pregio non comune del libro far sì che ogni evento continui a essere raccontato con il passo di una quotidianità infantile anche quando le circostanze diventano sempre più cupe, allorché la famiglia dovette trascorrere l'estate del 1943 a Porretta, per poi rifugiarsi ad Assisi prima in un albergo, poi in un appartamento, protetta da un precario anonimato reso un briciolo più sicuro da documenti falsi e soprattutto dalla lealtà di chi sapeva e non svelava.
In Con gli occhi di allora la levità della scrittura diviene il sigillo di verità della testimonianza. Il ricordo della notizia di deportazioni di parenti stretti è, quindi, rivissuto attraverso l'immagine della madre muta e smarrita, senza proiettare indietro inattendibili consapevolezze di cui si era allora privi. L'immagine di zio Rodolfo, preso coi suoi figli Roberto e Vittorio, sulle montagne modenesi, condotto a Fossoli e di lì ad Auschwitz, s'identifica, perciò, con il saluto dato alla stazione di Ferrara quando la famiglia si stava trasferendo a Porretta. Com'era d'uso allora, mentre il treno partiva, lo zio estrasse il fazzoletto e lo sventolò fino a che non divenne un puntino bianco: l'ultimo segno di una lontananza che non sarebbe mai più stata ricomposta.
Oltre alla famiglia e alle persone, il libro ha anche un'altra protagonista: Assisi. Non solo i nomi delle strade, degli alberghi, i vicoli e la piazza, ma anche la presenza di Francesco, avvertita nei versi del Cantico sentiti recitare fin dai tavoli dei ristoranti e diventato tratto quasi palpabile in varie altre occasioni. Lo scrivere con esattezza dopo decenni, lo si è detto, diviene, con gli occhi di ora, anche una forma di ringraziamento. Assisi è legata a luoghi e presenze, ma anche a nomi e cognomi precisi. Tre di essi sono riportati anche nella breve parte iconografica che chiude il testo. Si tratta del vescovo mons. Nicolini, del sacerdote diocesano don Aldo Brunacci e del francescano p. Rufino Nicacci, tutti e tre fregiati, da parte ebraica, del titolo di «giusti tra le nazioni»: un segno di fede in Dio e nell'uomo che dall'allora giunge a ora.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 18
(http://www.ilregno.it)
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