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DETTAGLI DI «Teologie della Riforma»
Tipo
Libro
Titolo
Teologie della Riforma
Autore
Maffeis Angelo
Editore
Morcelliana Edizioni
EAN
9788837219925
Pagine
240
Data
2004
Collana
Teologia
COMMENTI DEI LETTORI A «Teologie della Riforma»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Teologie della Riforma»
Recensione di Ermanno Roberto Tura della rivista Studia Patavina
Ermeneutica e recezione sono due problemi teologici particolarmente avvertiti ormai anche in Italia: da decenni impegnano la riflessione cristiana nei vari continenti. Il primo e l’ultimo capitolo del bel libro, scritto dal giovane studioso ecumenista bresciano e presentato in questa scheda, affrontano precisamente l’ermeneutica degli scritti di Lutero e la recezione della Confessio Augustana, quasi a cornice di un nucleo più significativo che si sviluppa nei quattro capitoli centrali dell’impegnativo volume. Accenniamo prima ai capitoli iniziale e conclusivo per esaminare poi il nucleo centrale.
Sotto il titolo Giustifìcazione e ontologia Maffeis sintetizza per il lettore italiano la rilettura, proposta recentemente con forte determinazione dalla scuola finlandese (T. Mannermaa, S. Juntunen, S. Peura), degli scritti di Lutero in relazione con la tradizione filosofica scolastica precedente. Tale tradizione, a giudizio di detta scuola, non viene negata dal riformatore ma piegata a servizio di un contenuto più esplicitamente biblico; ne esce una interpretazione rigorosamente nuova della dottrina della giustificazione come un tipo della dottrina della divinizzazione. Pur nell’esiguità della base testuale su cui si regge l’interpretazione finlandese rispetto alla più documentata scuola tedesca, il recupero della nozione di essere della tradizione scolastica e la comprensione della fede come presenza di Cristo hanno posto le premesse per un dialogo tra il dato luterano e la tradizione patristica e ortodossa che potrebbe avere sviluppi interessanti.
L’appartenenza alla chiesa secondo la Confessio Augustana, titolo del capitolo conclusivo, è un tema che permette di ripercorrere la storia della Riforma attraverso le diverse interpretazioni e recezioni della CA: tale storia fa capire come una confessione di fede non può essere isolata dal contesto ecclesiale in cui nasce e nel quale viene ricevuta e riconosciuta come espressione autentica della fede. Una confessio fidei come momento dottrinale non va mai slegata da una chiesa concreta come ambiente vitale, con i suoi segni liturgici e la molteplicità dei suoi ministeri.
Il nucleo centrale del libro studia anzitutto la novità dell’impostazione dottrinale di Lutero attraverso il prisma del sacerdozio universale dei fedeli, verificando quali siano i suoi fondamenti e quali le conseguenze che vengono tratte, soprattutto nella prima fase dell’attività riformatrice luterana fortemente polemica contro la visione gerarchica dionisiana dell’ecclesiologia medioevale. Solo il battesimo con la fede nella parola di Dio può rendere l’uomo giusto e pio, perché realizza l’unione dell’anima con Cristo. La comunità poi è legittimata ad eleggere i ministri della parola, ministero a cui sono ricondotti anche altri compiti: tutti i cristiani sono sacerdoti, ma non tutti sono ministri.
Come logico seguito il capitolo successivo (il terzo) affronta, sotto il titolo Battesimo e fede, la questione dei sacramenti che Lutero chiarì progressivamente su due fronti opposti: contro la concezione cattolico-romana e contro gli anabattisti. Verso il 1520 la riflessione del riformatore sui sacramenti conobbe una accelerazione critica contro la pratica ecclesiale contemporanea: il sacramento è il documento della promessa di salvezza che viene da Dio, composto dalla triade segno-significato-fede. Nel Sermone sul battesimo del 1519 Lutero afferma che il battezzato è reso puro e innocente «sacramentalmente», ma tale purificazione rimane incompiuta a motivo della permanenza del peccato nella carne: l’azione iniziata nel battesimo Dio la continua nell’esistenza del credente, che quando cade nel peccato deve ricordarsi del battesimo. Nel De captivitate la struttura del battesimo resta ternaria, ma la triade ora è composta da promissio, fides, signum: il battesimo viene prospettato come evento della promissio («chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo») e della fides che sa riconoscere la promessa divina nella forma oggettiva ed esterna del sacramento. La fede infatti accoglie il verbum della promessa che nel sacramento le è rivolto. La teologia della parola in Lutero non implica un atteggiamento ostile verso i sacramenti: al contrario i sacramenti sono, accanto alla predicazione, uno dei modi in cui la parola giunge al destinatario. Anzi contro gli anabattisti Lutero afferma anche una fede propria dei bambini donata da Dio attraverso il battesimo: la fede qui si identifica con la presenza e l’azione dello Spirito Santo nella creatura, presenza e azione che non sono necessariamente legate ad atti personali coscienti.
Ai due capitoli dedicati allo studio specifico della dottrina di Martin Lutero Maffeis ne aggiunge due (il quarto e il quinto) dedicati a Giovanni Calvino, di cui esplicita anzitutto il triplice munus attribuito a Cristo come profeta, re e sacerdote. Fino alla Riforma lo schema abituale dei munera era duplice: Cristo, come re e sacerdote, è il compimento di Davide-Salomone e di Aronne. Lutero nei suoi scritti lo mantiene intatto, attribuendolo ai fedeli credenti. Pure Calvino resta fedele allo schema duale nelle prime opere. Ma assegnando un ruolo determinante all’idea del Mediatore (con la dottrina anselmiana della soddisfazione e dello scambio) e alla cristologia delle due nature distinte, il riformatore della seconda generazione riscopre e aggiunge il titolo di profeta, come terzo ufficio che in Cristo dà compimento a tutte le prefigurazioni. Tuttavia solo nella sistemazione definitiva il munus profetico in Cristo passa al primo posto come perfetta sapienza che deriva dalla conoscenza di Dio. Il triplice ufficio diventa triplice aspetto dell’unica opera del Mediatore: è lui legge e sapienza in grado di ispirare e inviare predicatori, re eterno che garantisce indefettibilità alla chiesa, sacerdote che ci rende graditi a Dio per la sua esclusiva santità, in un dinamismo esclusivamente trascendente che proviene da Dio e raggiunge l’uomo. La teologia cattolica nei due ultimi secoli, accogliendo lo schema calviniano, introdurrà una novità nell’assegnare alla chiesa un ruolo attivo a servizio della attualizzazione dell’opera di salvezza, attualizzazione realizzata da tutto il popolo di Dio, dalla gerarchia e dai laici.
Il secondo studio calviniano, più breve, affronta la libertà cristiana e la disciplina ecclesiale. Una delle preoccupazioni fondamentali della Riforma punta a riaffermare la libertà che deriva dalla fede e a rifiutare l’obbedienza ad opere imposte dall’autorità ecclesiale in ordine alla salvezza. Ma nell’ecclesiologia di Calvino, maturata nel soggiorno e nella pratica pastorale di Strasburgo accanto a Martin Bucer, la chiesa nel suo aspetto visibile è realmente prospettata come grembo materno, pur senza funzione mediatrice perché vive dell’unica mediazione di Cristo. Chiesa visibile e chiesa invisibile non sono tuttavia da opporre, anzi la necessità di pastori concreti con il compito della predicazione garantisce l’essenza della successione apostolica nonché l’amministrazione dei sacramenti che vi è strettamente connessa. Per superare la tirannia papale e liberare i fedeli dagli scrupoli va perciò affermata la libertà cristiana: tuttavia si esige una regolazione ecclesiale «buona», soprattutto in vista della ammissione alla Cena. La disciplina riguarda il comportamento esterno per mantenere l’ordine e perciò non può assurgere a nota della chiesa. Si può così avvertire nella seconda generazione della Riforma un recupero dell’aspetto visibile della chiesa e una attenuazione della decisa spinta iniziale alla libertà evangelica.
A conclusione di questa scheda sul volume di Maffeis va confessata la lieta sorpresa che rimane nel lettore italiano: che anche in ambito cattolico nostrano siano oggetto di studio attento e appassionato i «padri» della Riforma è sintomo di maturità e speranza di riconciliazione. La sorpresa del resto inizia già dall’Introduzione (pp. 7-25) dove il teologo bresciano disegna in sintesi, con invidiabile competenza, uno status quaestionis degli approcci e riletture storico-teologiche di Lutero e Calvino e più in generale della Riforma protestante. Senza pretese di esaustività egli percorre l’ambiente evangelico tedesco, per passare poi agli studiosi cattolici trans Alpes, senza dimenticare gli studiosi evangelici e cattolici italiani: si tratta di una rapida rassegna di vicende storiche e di interessi sistematici che fa da quadro globale per i sei capitoli analitici del volume. Il tutto merita senz’altro un grazie cordiale e un posto nelle biblioteche teologiche almeno italiane.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Sotto il titolo Giustifìcazione e ontologia Maffeis sintetizza per il lettore italiano la rilettura, proposta recentemente con forte determinazione dalla scuola finlandese (T. Mannermaa, S. Juntunen, S. Peura), degli scritti di Lutero in relazione con la tradizione filosofica scolastica precedente. Tale tradizione, a giudizio di detta scuola, non viene negata dal riformatore ma piegata a servizio di un contenuto più esplicitamente biblico; ne esce una interpretazione rigorosamente nuova della dottrina della giustificazione come un tipo della dottrina della divinizzazione. Pur nell’esiguità della base testuale su cui si regge l’interpretazione finlandese rispetto alla più documentata scuola tedesca, il recupero della nozione di essere della tradizione scolastica e la comprensione della fede come presenza di Cristo hanno posto le premesse per un dialogo tra il dato luterano e la tradizione patristica e ortodossa che potrebbe avere sviluppi interessanti.
L’appartenenza alla chiesa secondo la Confessio Augustana, titolo del capitolo conclusivo, è un tema che permette di ripercorrere la storia della Riforma attraverso le diverse interpretazioni e recezioni della CA: tale storia fa capire come una confessione di fede non può essere isolata dal contesto ecclesiale in cui nasce e nel quale viene ricevuta e riconosciuta come espressione autentica della fede. Una confessio fidei come momento dottrinale non va mai slegata da una chiesa concreta come ambiente vitale, con i suoi segni liturgici e la molteplicità dei suoi ministeri.
Il nucleo centrale del libro studia anzitutto la novità dell’impostazione dottrinale di Lutero attraverso il prisma del sacerdozio universale dei fedeli, verificando quali siano i suoi fondamenti e quali le conseguenze che vengono tratte, soprattutto nella prima fase dell’attività riformatrice luterana fortemente polemica contro la visione gerarchica dionisiana dell’ecclesiologia medioevale. Solo il battesimo con la fede nella parola di Dio può rendere l’uomo giusto e pio, perché realizza l’unione dell’anima con Cristo. La comunità poi è legittimata ad eleggere i ministri della parola, ministero a cui sono ricondotti anche altri compiti: tutti i cristiani sono sacerdoti, ma non tutti sono ministri.
Come logico seguito il capitolo successivo (il terzo) affronta, sotto il titolo Battesimo e fede, la questione dei sacramenti che Lutero chiarì progressivamente su due fronti opposti: contro la concezione cattolico-romana e contro gli anabattisti. Verso il 1520 la riflessione del riformatore sui sacramenti conobbe una accelerazione critica contro la pratica ecclesiale contemporanea: il sacramento è il documento della promessa di salvezza che viene da Dio, composto dalla triade segno-significato-fede. Nel Sermone sul battesimo del 1519 Lutero afferma che il battezzato è reso puro e innocente «sacramentalmente», ma tale purificazione rimane incompiuta a motivo della permanenza del peccato nella carne: l’azione iniziata nel battesimo Dio la continua nell’esistenza del credente, che quando cade nel peccato deve ricordarsi del battesimo. Nel De captivitate la struttura del battesimo resta ternaria, ma la triade ora è composta da promissio, fides, signum: il battesimo viene prospettato come evento della promissio («chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo») e della fides che sa riconoscere la promessa divina nella forma oggettiva ed esterna del sacramento. La fede infatti accoglie il verbum della promessa che nel sacramento le è rivolto. La teologia della parola in Lutero non implica un atteggiamento ostile verso i sacramenti: al contrario i sacramenti sono, accanto alla predicazione, uno dei modi in cui la parola giunge al destinatario. Anzi contro gli anabattisti Lutero afferma anche una fede propria dei bambini donata da Dio attraverso il battesimo: la fede qui si identifica con la presenza e l’azione dello Spirito Santo nella creatura, presenza e azione che non sono necessariamente legate ad atti personali coscienti.
Ai due capitoli dedicati allo studio specifico della dottrina di Martin Lutero Maffeis ne aggiunge due (il quarto e il quinto) dedicati a Giovanni Calvino, di cui esplicita anzitutto il triplice munus attribuito a Cristo come profeta, re e sacerdote. Fino alla Riforma lo schema abituale dei munera era duplice: Cristo, come re e sacerdote, è il compimento di Davide-Salomone e di Aronne. Lutero nei suoi scritti lo mantiene intatto, attribuendolo ai fedeli credenti. Pure Calvino resta fedele allo schema duale nelle prime opere. Ma assegnando un ruolo determinante all’idea del Mediatore (con la dottrina anselmiana della soddisfazione e dello scambio) e alla cristologia delle due nature distinte, il riformatore della seconda generazione riscopre e aggiunge il titolo di profeta, come terzo ufficio che in Cristo dà compimento a tutte le prefigurazioni. Tuttavia solo nella sistemazione definitiva il munus profetico in Cristo passa al primo posto come perfetta sapienza che deriva dalla conoscenza di Dio. Il triplice ufficio diventa triplice aspetto dell’unica opera del Mediatore: è lui legge e sapienza in grado di ispirare e inviare predicatori, re eterno che garantisce indefettibilità alla chiesa, sacerdote che ci rende graditi a Dio per la sua esclusiva santità, in un dinamismo esclusivamente trascendente che proviene da Dio e raggiunge l’uomo. La teologia cattolica nei due ultimi secoli, accogliendo lo schema calviniano, introdurrà una novità nell’assegnare alla chiesa un ruolo attivo a servizio della attualizzazione dell’opera di salvezza, attualizzazione realizzata da tutto il popolo di Dio, dalla gerarchia e dai laici.
Il secondo studio calviniano, più breve, affronta la libertà cristiana e la disciplina ecclesiale. Una delle preoccupazioni fondamentali della Riforma punta a riaffermare la libertà che deriva dalla fede e a rifiutare l’obbedienza ad opere imposte dall’autorità ecclesiale in ordine alla salvezza. Ma nell’ecclesiologia di Calvino, maturata nel soggiorno e nella pratica pastorale di Strasburgo accanto a Martin Bucer, la chiesa nel suo aspetto visibile è realmente prospettata come grembo materno, pur senza funzione mediatrice perché vive dell’unica mediazione di Cristo. Chiesa visibile e chiesa invisibile non sono tuttavia da opporre, anzi la necessità di pastori concreti con il compito della predicazione garantisce l’essenza della successione apostolica nonché l’amministrazione dei sacramenti che vi è strettamente connessa. Per superare la tirannia papale e liberare i fedeli dagli scrupoli va perciò affermata la libertà cristiana: tuttavia si esige una regolazione ecclesiale «buona», soprattutto in vista della ammissione alla Cena. La disciplina riguarda il comportamento esterno per mantenere l’ordine e perciò non può assurgere a nota della chiesa. Si può così avvertire nella seconda generazione della Riforma un recupero dell’aspetto visibile della chiesa e una attenuazione della decisa spinta iniziale alla libertà evangelica.
A conclusione di questa scheda sul volume di Maffeis va confessata la lieta sorpresa che rimane nel lettore italiano: che anche in ambito cattolico nostrano siano oggetto di studio attento e appassionato i «padri» della Riforma è sintomo di maturità e speranza di riconciliazione. La sorpresa del resto inizia già dall’Introduzione (pp. 7-25) dove il teologo bresciano disegna in sintesi, con invidiabile competenza, uno status quaestionis degli approcci e riletture storico-teologiche di Lutero e Calvino e più in generale della Riforma protestante. Senza pretese di esaustività egli percorre l’ambiente evangelico tedesco, per passare poi agli studiosi cattolici trans Alpes, senza dimenticare gli studiosi evangelici e cattolici italiani: si tratta di una rapida rassegna di vicende storiche e di interessi sistematici che fa da quadro globale per i sei capitoli analitici del volume. Il tutto merita senz’altro un grazie cordiale e un posto nelle biblioteche teologiche almeno italiane.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 3
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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