"Quando, pochi anni fa, Evaristo Seghetta Andreoli mi chiese di scrivere sulla sua poesia, mi si presentò come un autore nuovo, che mi invitasse ad avventurarmi in un bosco di parole che fino ad allora l'aveva abitato e chiedeva di essere espresso. E in effetti ogni poeta che vuole essere tale deve dare voce a un suo lucus o nemus. E così mi avventurai, con la perplessità che destano gli autori nuovi perché, come scrisse Henry David Thoreau: 'Sono allarmato quando capita che ho camminato un paio di chilometri nei boschi solo con il corpo, senza arrivarci anche con lo spirito'. Ma qui, il bosco inteso come 'primordiale sede dell'uomo', urgeva per 'fare anima', nell'essere, appunto anemos, vento che traversa la vita, che è vita e chiamava al dialogo lo spirito del lettore. E ogni volta che leggo una sua poesia sento vibrare il mistero del suo bosco perché, come scrisse San Bernardino di Chiaravalle: 'Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà'. E qui, per noi, il riferimento è chiaramente al lucus di cui sopra. Ora Seghetta Andreoli ha scaltrito il suo linguaggio in un rapporto con la pagina come se fosse un fotogramma filmico, un'immagine ferma e insieme scorrevole del proprio divenire, dove il corpo stesso vibra nella sua dinamica, dà forma e sostanza al corpus del verso e della strofa che egli disperde oppure trattiene in un rapporto di universale empatia. E partecipa alla danza del bosco originario, anche se, scrive: 'Chi sia il giardiniere / non l'ho mai saputo..'. Pure: 'Sono io parte del tutto, mai come adesso... / Deus sive Natura. E Lui si rivela'. Ed è sempre questo mondo ancestrale, scoperto nel viaggio dell'ulisside, a dare un senso al cuore e al discorso. Così volentieri ci perdiamo con lui nei ritmi nuovi, asciutti, imprevedibili di questa ultima opera, perché, citando ancora Henry David Thoreau: 'Perdersi nei boschi, in qualsiasi momento, è un'esperienza sorprendente e memorabile, e insieme preziosa'. È questo un viaggio, in un 'lucus' che è anche, per l'autore, un etrusco 'luk', ed una 'sorpresa' che allarga nel lettore il respiro dell'anima." (dalla nota di Franco Manescalchi)