Lo stato comatoso di quella [la politica, ndr] e di questa [la sinistra, ndr] si è ingigantito nel tempo del coronavirus ed è balzato agli occhi di tutti alla scadenza della elezione del Presidente della Repubblica. L'emergenza è stata trasformata nell'ordinario della quotidianità, e la ricerca della stabilità politica nell'unità nazionale ha provato, senza riuscirci, a occultare la strutturale instabilità generata dalla crisi sociale, da quella ambientale e dai sommovimenti geopolitici su cui ora si affaccia l'Europa. La contraddizione ha accentuato la crisi democratica dal lato dei popoli con la disaffezione della politica e il rifiuto dell'esercizio del voto e, dal lato delle classi dirigenti, con la perdita di interesse nei confronti della democrazia e con l'affermarsi dell'opzione post-democratica. La scelta del paradigma della presunta oggettività delle scelte di governo secondo i criteri dell'efficacia e della razionalità ha sostituito quella democratica tra trasformazione e conservazione. Le classi, i cittadini, le persone sono sospinte fuori dalla politica occupata interamente dal Sistema. Persino il caso tutto politico e istituzionale, l'elezione del Presidente della Repubblica, lo rivela penosamente. Allora converrà chiedersi se c'è stata, nella politica, la scomparsa di un suo soggetto, la cui mancanza adesso è tanta parte della causa di questa devastazione. La Repubblica democratica a centralità parlamentare ha avuto, coerentemente col suo impianto partecipativo, i suoi alfieri nei partiti. La Repubblica, deprivata dai partiti di massa, perde il suo nerbo e si affloscia. È per questa deriva, in questa desertificazione della politica, che si cova l'attesa del salvatore della Patria, del Principe. E, in una realtà in cui l'economia, la nuova economia capitalistica, è il dominus, è consequenziale che il Principe ne assume i connotati di fondo.