Ebrei credenti in Gesù
-Le testimonianze degli autori antichi
(Letture cristiane del primo millennio) [Con sovraccoperta stampata]EAN 9788831541695
L’autore, che insegna Storia del cristianesimo e delle chiese presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino, offre, insieme a un’antologia di testi dell’epoca patristica, anche uno strumento introduttivo che intende aiutare il lettore nella fatica di accostarsi a quelle pagine. Analizzando brani provenienti da varie aree geografiche e culturali, lo scopo che il libro si propone è di illustrare non solo il contesto e l’intento di questi antichi scritti, ma anche far percepire al lettore di oggi qualcosa della comprensione che la chiesa antica aveva del Cristo e della fede con la quale ne celebrava il mistero. La curata Introduzione si compone di tre sezioni: la prima consiste essenzialmente nella presentazione del contesto in cui nasce e si sviluppa la chiesa, trattando in modo sistematico la sua origine dal giudaismo; la seconda è connotata dal sorgere della societas christiana e dal tentativo, da parte della nuova religione, di sostituire anche culturalmente il mondo giudaico e i suoi modelli; la terza, a suffragio delle tesi esposte, ne tenta una lettura attraverso i cosiddetti “Vangeli giudeocristiani”. La parte preponderante del testo è occupata dai Testi che Giannotto ha selezionato, ed è interessante perché oltre alla letteratura neotestamentaria, a padri e scrittori conosciuti, come Ignazio, Giustino, Ireneo, Tertulliano, Origene, Eusebio di Cesarea, Epifanio, Girolamo e Agostino, ne presenta altri non molto noti o citati: l’Ambrosiaster, Filastrio da Brescia, Mario Vittorino, Teodoreto di Cirro, Socrate di Costantinopoli. Una sezione è dedicata agli scritti apocrifi, manichei e rabbinici, con un’ampia esposizione dei frammenti dei cosiddetti “Vangeli giudeocristiani”. Nell’Appendice, curata da Giovanni Battista Bazzana, si trova la letteratura pseudo-clementina. Una corposa Bibliografia orienta quanti desiderassero approfondire il tema.
Negli anni 35-40 risuonò per la prima volta il “nome cristiano”, e ad Antiochia, con quel suo primum verbale quasi paradigmatico si rese evidente per la prima volta il distacco tra la chiesa e la sinagoga: si andavano delineando due spiriti, due costumi, due stili di vita, due modi dottrinali e disciplinari difficilmente compatibili, o addirittura incompatibili fra di loro. Ma come si era giunti a ciò? L’autore ne traccia la genesi analizzando importanti studi. È da precisare che i termini qui usati di “giudeocristianesimo” e “giudeocristiano”, non attestati nelle fonti antiche, riecheggiano e rappresentano una terminologia giovannea e paolina, usata dagli studiosi per classificare un certo fenomeno religioso.
Ferdinand Christian Baur descrive il giudeocristianesimo come antipaolinismo e queste due correnti confluiranno nella chiesa alla fine del II secolo. Ulteriore contributo alla comprensione del tema lo fornisce un allievo di Baur: Albrecht Ritschl, dal quale prendono spunto Adolf von Harnack, Gustav Hoennicke e, fortemente critico, Adolphus Hilgenfeld. Più tardi Jean Danielou distingue varie forme di giudeocristianesimo con un’accezione molto ampia, proprio per questo, forse, lacunosa dal punto di vista storico. Partendo da tale obiezione, Marcel Simon si interroga sulle pratiche religiose in uso nella nascente confessione e nel giudaismo. Un contributo arriva dall’archeologia grazie a Bellarmino Bagatti ed Emanuele Testa: per loro i giudeocristiani sarebbero i membri della Chiesa madre di Gerusalemme. Quasi sulla stessa scia si pone la cosiddetta “terza via” sul Gesù storico, che analizza come Gesù e anche il cristianesimo nascente devono essere ricondotti all’interno del giudaismo del tempo.
La narrazione dei primi sviluppi del cristianesimo presenta notevoli difficoltà. La ricostruzione lucana, seppure importante, ma di parte, non spiega gli sviluppi successivi. Quantunque Gerusalemme rivesta un ruolo notevole, con grande valenza simbolica, altri gruppi di simpatizzanti esistevano in Galilea e fornirono assistenza e supporto ai discepoli, tra i quali spicca Giacomo, presentato come il primo vescovo di Gerusalemme. In tale veste, con Cefa e Giovanni, li ritroviamo impegnati nel cosiddetto “incidente di Antiochia”. Da questo rileviamo che esistevano due gruppi: uno giudaico, che continua nell’osservanza della Legge mosaica, e uno gentile, che ne è in parte esonerato. La situazione della comunità non deve essere stata facile alla morte di Giacomo: il risentimento contro l’oppressione romana e la volontà di riscatto che sfociarono nella rivolta del 66 avevano già provocato il trasferimento della comunità di Gerusalemme in Perea, al di là del Giordano, nella città di Pella. La comunità cristiana non era propensa alla lotta armata conformemente al dettato di Gesù.
La seconda insurrezione giudaica contro Roma segnò, quindi, una svolta decisiva nei rapporti tra i seguaci di Gesù e gli altri giudei. I primi si rifiutarono di schierarsi contro i romani e ciò fu inteso come un tradimento, la lacerazione prodotta era troppo profonda e non si sarebbe più ricucita. Ciò che conosciamo dei gruppi cristiani di origine giudaica nell’Asia Minore lo dobbiamo agli scritti giovannei, alle Lettere di Ignazio di Antiochia, alla testimonianza di Policrate di Efeso, riportata da Eusebio. Nell’Apocalisse sono elencate sette chiese, ma in due di esse (Smirne e Filadelfia), i giudei formano la “sinagoga del satana”, segno della polemica antigiudaica. L’istituzione del fiscus iudaicus sotto Vespasiano portò a una progressiva criminalizzazione dei cristiani, adepti di «una superstizione funesta e pericolosi dal punto di vista politico» (p. 195), come illustrano i provvedimenti di Nerone e Traiano. Di poco posteriori all’Apocalisse le Lettere di Ignazio di Antiochia hanno anch’esse notizie di gruppi di cristiani, più in particolare quelle ai magnesii e quelle ai filadelfiesi. Gli avversari contro i quali Ignazio polemizza è poco probabile che fossero di origine giudaica e cercavano d’introdurre l’osservanza della Legge mosaica. Giudaismo e cristianesimo sono per Ignazio due sistemi di vita che si escludono a vicenda: “giudaizzare” è incompatibile con il parlare di Gesù Cristo. Di contro, Giustino con spirito di tolleranza, affronta il problema in modo esplicito e diretto. Nel Dialogo con Trifone affronta il problema dei rapporti tra i seguaci di Gesù e i giudei che non hanno aderito al suo messaggio. Dalla testimonianza di Giustino emerge l’esistenza di diversi gruppi che coesistevano, pur in presenza di forti tensioni.
È verosimile pensare che i primi gruppi di seguaci di Gesù, sia giudei che gentili, continuassero a osservare le feste ebraiche prima che nascessero feste “cristiane”. Di certo la centralità era rappresentata dalla Pasqua, fonte della vita cristiana. In Asia Minore si celebrava il quattordicesimo giorno della luna del mese di Nisan, secondo l’uso dei giudei; a Roma, invece, la celebrazione avveniva la domenica successiva. Ciò era motivo di divisioni e di contrasti e il vescovo Policrate di Efeso scrisse a Vittore per spiegare che le chiese dell’Asia mantenevano quella consuetudine per onore alla tradizione risalente a due apostoli, Filippo e Giovanni. La Lettera, riportata da Eusebio, non sortì l’effetto desiderato: Vittore propose di rompere la comunione con le Chiese d’Asia e, nonostante le perorazioni di Ireneo, i quartodecimani furono dichiarati eretici. Tale situazione verrà meglio precisata dallo PseudoIppolito. Verso la fine del II secolo l’emergenza del fenomeno gnostico favorì l’aggregazione di quanti stavano formando il cristianesimo. La “Grande Chiesa” si arrocca sulle sue posizioni con la conseguente repressione di ogni forma di dissenso bollandola come eresia, includendo anche quei gruppi provenienti dal giudaismo che non si uniformarono. Ciò accadde a Cerinto, il quale compare per la prima volta nella Epistola degli Apostoli, uno scritto apocrifo della metà del II secolo. Ireneo, lo Pseudo-Tertulliano, lo PseudoIppolito, Eusebio, Epifanio ce ne danno ritratti sempre diversi. Chi lo descrive gnostico, chi millenarista, probabilmente fu il portatore di una cristologia di tipo adozionista, cosa che faranno anche gli ebioniti. Oltre ai padri citati di questi si occupa anche Origene che fa derivare il nome dall’ebraico ebionîm, riferendosi alla loro povertà di pensiero, così come confermerà Eusebio di Cesarea, sia nella Storia ecclesiastica, sia nella Teologia ecclesiastica. Epifanio, all’interno del capitolo 30 del Panarion, dedicato all’eresia degli ebioniti, racconta l’esemplare conversione e il battesimo di un certo Giuseppe di Tiberiade. Dagli autori citati apprendiamo notizie anche sugli elchasaiti, che predicavano un secondo battesimo, rifiutavano alcune parti della Bibbia ebraica e gli scritti di Paolo.
Nel IV secolo l’appellativo di eretico sarà addossato a chi pretende di essere al tempo stesso giudeo e cristiano, come il caso dei nazorei, che sono menzionati come gruppo ereticale solo da Epifanio e Girolamo. Questo modo di rappresentare i rapporti tra cristianesimo e giudaismo sarà gravido di conseguenze e porterà alla progressiva marginalizzazione e delegittimazione del giudaismo nei territori dell’impero cristiano. Giannotto, attingendo dalla letteratura rabbinica, espone anche il punto di vista giudaico in merito al fenomeno trattato. Se gli scritti dei padri sono pieni di riferimenti al giudaismo e di dibattiti con oppositori giudaici, questo interesse nei confronti dell’“avversario” non è corrisposto da parte giudaica. La reticenza sia su Gesù sia sui suoi seguaci fu il frutto di una scelta strategica: ignorandolo evitavano di concedergli quel riconoscimento (non era religio licita) di cui aveva bisogno, in un contesto in cui solo ciò che era antico godeva rispetto e ogni novità veniva guardata con diffidenza. La difficoltà di reperire riferimenti specifici nasce anche dal fatto che la letteratura rabbinica riguarda, da un lato, norme di comportamento e precetti (letteratura talmudica), dall’altro, di esegesi e commenti (letteratura midrashica) con scarse datazioni storiche. Riferimenti e allusioni al cristianesimo li troviamo nel periodo tannaitico, che è quello in cui si cerca di rifondare il giudaismo, e in epoca amoraitica, che vede l’affermarsi dell’impero cristiano.
Secondo la tradizione patristica ed eresiologica i diversi gruppi variamente classificati come eretici usavano scritti loro propri che sono stati identificati come Vangeli giudeocristiani, ma la critica non è unanime. Le divergenze concernono il numero, le denominazioni, le caratteristiche teologiche, e il dissenso di fondo riguarda il rapporto di questi scritti con la tradizione di Gesù e i Vangeli canonici e apocrifi. Sono, cioè, dipendenti o meno dalla tradizione sinottica? La maggior parte degli studiosi ne presuppongono una dipendenza più o meno diretta, collocandone la redazione nel corso del II secolo. I casi più evidenti sono il Vangelo degli ebioniti e il Vangelo dei nazareni. I riferimenti ai cristiani provenienti dal giudaismo scompaiono progressivamente dalle fonti antiche a partire dal secolo V, quando il giudaismo e il cristianesimo si diedero un’organizzazione solida. Nell’impero cristiano i credenti in Gesù provenienti dal giudaismo finirono per adeguarsi perdendo i loro tratti distintivi più appariscenti.
Il lavoro di Claudio Giannotto è encomiabile perché, grazie alla capillare ricostruzione letteraria di testi e frammenti, ha ridato visibilità a un fenomeno costitutivo della tradizione cristiana e della nascita della chiesa.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2013
(http://www.pftim.it)
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