Due gesti antichi, due azioni quotidiane: sfamarsi e pregare, accomunano l'uomo di ogni latitudine. Dalla Bibbia ai Veda orientali, dal Corano ai precetti buddhisti, da sempre la preparazione del cibo, il suo significato, i suoi rituali sono l'espressione di un'unica e intima tensione dell'animo umano a tessere relazioni con gli altri. E con l'Altro.
Scritto a quattro mani, questo saggio accompagna il lettore in un viaggio tra i saperi e i sapori del cibo dei poveri, cioè dei popoli del Sud del mondo e le loro religioni, tra i piatti tradizionali e le pratiche devozionali, addentrandosi nel complesso rapporto che intercorre tra il nutrirsi e il pregare. Due parti distinte compongono il testo: la prima, in cui vengono prese in esame le implicazioni antropologiche, religiose e socio-economiche dell'alimentazione; la seconda, che apre al lettore le dispense dei cibi semplici, «poveri», delle tavole di Asia, Africa, Sud America.
In una società che ha perso - con la moda dilagante del fast food - il significato antropologico e spirituale del sedersi a tavola, questo libro aiuta senz'altro a recuperare il senso profondo di un'azione così quotidiana come il mangiare, offrendoci nello stesso tempo preziose informazioni sugli alimenti importati nei nostri mercati occidentali, eco di popoli oggi non più così lontani. E tutto ciò al fine di rendersi conto che l'impegno per un mondo più equo e solidale passa anche da ciò che scegliamo di portare a tavola.
Postfazione di Gabriele Bellomo.