Consegnati a Dio

A far venir voglia di prendere in mano e leggere attentamente questo libro è la promessa, formulata nell’introduzione, di rendere note alcune scoperte inattese che hanno permesso di comprendere meglio la genesi della frase con la quale il concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica Dei Verbum, ha precisato che l’«obbedienza della fede – oboeditio fidei» è quella «con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero e liberamente – qua homo se totum libere Deo committit» (DV 5). La curiosità del lettore è alla fine soddisfatta: l’ultimo dei sei capitoli (pp. 101-116) espone i ri-sultati di una ricerca condotta sui documenti di archivio del cardinale Julius Döpfner, vescovo di Monaco al tempo del concilio, del vescovo Ermenegildo Florit e del teologo Karl Rahner, tutti e tre attivamente coinvolti nella redazione di quella che alla fine sarà la Dei Verbum.

Grazie alla ricerca di Vincenzo Di Pilato, docente di teologia fondamentale presso l’Istituto Teologico «Regina Apuliae» di Molfetta, si possono ora integrare le informazioni già disponibili relative alla faticosa e, in alcuni momenti, drammatica storia della costituzione sulla divina Rivelazione. Il taglio del saggio non è però esclusivamente di carattere storico-documentaristico: esso è guidato da una chiara intenzione – e passione – teologica. L’autore desidera coinvolgere il lettore in un percorso che permetta di far gustare l’esperienza di fede, vissuta come «libero abbandono di sé a Dio». Per far questo egli parte da lontano, da una riflessione di carattere fenomenologico sul «sacro» e sul «santo», per poi dare la parola ad Agostino, a Tommaso d’Aquino (del quale valorizza in particolare il commento alla seconda lettera di Paolo a Timoteo, là dove si spiega il significato dell’espressione scio cui credidi), ai mistici (Tommaso da Kempis, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce), al concilio di Trento, al Vaticano I.

A ciascuna figura di questa carrellata storica sono riser-vate poche battute, capaci però di far intuire la portata del loro contributo. Non c’è una pretesa di originalità, ma il collegamento fra i diversi passaggi della storia della teologia della fede risulta efficace. Potrebbe forse spiacere qualche semplificazione, ad esempio quando l’epoca moderna viene caratterizzata velocemente come rivendicazione di autonomia e di autofondazione contrapposta alla sintesi «elaborata magistralmente nel Medioevo» (cf. p. 75), oppure quando si insiste sul «soggettivismo» di Lutero (cf. p. 54). Qui la traduzione di un passo della prefazione alla lettera di Paolo ai Romani non sembra, a chi scrive, delle più felici, essendo probabilmente eccessivo rendere Glaube ist eine lebendige, verwegene Zuversicht auf Gottes Gnade con «Fede è una vivace, sfacciatamente audace fiducia-confidenza nella grazia di Dio»).

Nell’insieme, tuttavia, il discorso procede con molto equilibrio, intrecciando i riferimenti alla tradizione teologica con gli stimoli che vengono dal momento presente. Il desiderio di mostrare co-me la «definizione» di fede proposta dal Vaticano II sia insieme nuova e pienamente inserita nella tradizione cristiana, oltre che radicata nell’originaria apertura religiosa dell’uomo, è certamente apprezzabile. L’itinerario suggerito da Vincenzo Di Pilato è, in questa prospettiva, opportuno e promettente.

Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2011
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)