Tra i dodici profeti minori quello che suscita maggiori curiosità per le vicende di cui è protagonista è sicuramente Osea, il profeta che riceve da Dio il compito di sposare una prostituta, Gomer, per generare da lei una progenie. Dall'unione con la donna nascono tre figli. In seguito Gomer, tornando alle antiche abitudini, tradisce Osea e lo abbandona. Le disgrazie matrimoniali del profeta, narrate nei primi tre capitoli del libro, sono la chiara allusione ai tradimenti del popolo di Israele nei confronti di Dio, cioè alle continue trasgressioni dell'alleanza stipulata ai piedi del Sinai. Il commento di Girolamo in tre libri è un'originale fusione di componenti di origine varia: tradizione rabbinica, esegesi patristica (Orige-ne su tutti) e cultura classica profana.
Girolamo parte dal confronto condotto versetto per versetto tra la propria traduzione dall'ebraico e quella dei Settanta e fa spesso ampio ricorso agli Hexempla di Origene, applicando scrupolosamente i procedimenti della filologia di allora. Tuttavia non si limita ad una mera apologia della propria versione biblica, ma fornisce una puntuale interpretazione attuata su un doppio livello, l'uno storico-letterale e l'altro allegorico, senza sacrificare il primo al secondo.
INTRODUZIONE
1. DATA DI COMPOSIZIONE
Il commento a Osea fu terminato nel 406, lo stesso anno in cui furono composti quelli ad altri quattro dei dodici profeti minori, cioè a Gioele, a Zaccaria, a Malachia e ad Amos. Gli altri sette profeti erano stati commentati precedentemente: Naum, periodo che va dal 389 al 392, cioè contemporaneamente all'inizio della versione delle
Scritture intrapresa da Girolamo sul testo ebraico; Abdia e Giona nel 396. La polemica origenista era scoppiata nel 393, e dunque non stupisce che nel commento a Osea, scritto circa tredici anni dopo, gli spunti contro Origene siano praticamente assenti: Girolamo menziona espressamente l'esegeta alessandrino nella prima, prefazione del commento, attribuendogli un libello dedicato al significato del nome "Efraim" in Osea e un'opera incompiuta e priva di inizio, di cui non è fornita nessun'altra precisazione circa i suoi contenuti; sempre nella prima prefazione egli afferma di avere invitato Didimo il Cieco a scrivere un commento a Osea, una fatica che Origene non aveva affrontato. Per il resto, sono forse allusioni a perduti passi di Origene i riferimenti ai commenti di autori di cui non si dice il nome, ma dei quali sono confutate le opinioni: nella chiosa a Os 5, 13 Girolamo riporta una interpretazione del re Iarib, nominato nel versetto, come richiamo a Cristo, notizia che peraltro viene ripetuta nella chiosa a Os 10, 5-611; a proposito dei versetti 13, 14-1512, si legge che qualcuno riconosce nel "vento infuocato" di cui si legge in Osea quello che colpì la casa di Giobbe, causando la morte dei suoifigli, e, più sotto, si aggiunge che questo commentatore interpreta "il vento infuocato" come il Diavolo.
Nel commento a Osea l'unico riferimento biografico che fornisce indicazioni sulla sua data di composizione è presente nella prima prefazione, quando Girolamo afferma di essersi trovato circa ventidue anni prima ad Alessandria su richiesta di Paola, suocera di Pammachio, dedicatario del commento, e di avere qui visto ed ascoltato Didimo. In realtà il soggiorno alessandrino risale alla primavera del 386, cioè venti anni prima: evidentemente la memoria di Girolamo non è stata impeccabile in questo caso.