ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
4. CONTESTO STORICO, POLITICO, ECCLESIALE, RIFORMISTA DELL'EPOCA IN CUI NASCONO LE «CINQUE PIAGHE»
Una esatta valutazione delle Cinque Piaghe non può prescindere da una attenta considerazione del momento storico, direi addirittura cronologico, al quale appartiene l'opera, la cui stesura risale al periodo compreso tra il 18 novembre 1832 e l'undici marzo 1833, ricollegandola insieme alle idee di riforma religiosa che allora correvano per la restaurazione europea.
Le vicende rivoluzionarie francesi avevano fatto coagulare molte delle idee religiose a sfondo riformista vaganti per l'Europa. Sono gli anni in cui si precisano e si ampliano le influenze ginevrine sugli ambienti colti; in cui matura la seconda «conversione» di Cavour, dal razionalismo sociniano alle simpatie per l' evangelismo riformato sotto lo stimolo del Vinet e del Cellérier, nel rinnovato interesse per lo sviluppo delle idee religiose, «il gran mistero del secolo»; gli anni in cui si delinea il riformismo del Lambruschini, anche sotto l'influsso dei suoi rapporti con il Tommaseo e con il Capponi, incentrati appunto intorno alla idea stessa di riforma religiosa, per la proclamata necessità di «riunire tutto quello che di ragionevole contengono e il Cattolicesimo de' bei tempi, e il Protestantesimo e il Sansimonismo».
Proprio il 1832 porta anche il frullo più maturo del cattolicesimo romantico tedesco, la prima edizione della Simbolica del Mohler, che non restò ignota al Rosmini e che, tradotta a più riprese in Italia, solo negli anni successivi doveva mostrare tutta la sua carica innovatrice, da un punto di vista teologico-ecclesiologico.
Ma, soprattutto, si compie alla fine del 1831 la breve e tormentata vicenda dell' «Avenir», dell'esperimento cattolico-liberale francese, nel quale, pur con tutti i suoi limiti, si può scorgere l'esperienza forse piú decisiva del cattolicesimo europeo della prima metà dell'800: nel 1832 avviene il viaggio ad limina, destinato a suscitare tanta eco e accolto da discordanti giudizi, di Lamennais, Montalembert e Lacordaire (e questi ultimi due, passando nel ritorno per Milano, non si sarebbero dimenticati di riverire Rosmini, residente in quel tempo a Trento, tramite il Mellerio). Il Lamennais, durante il soggiorno romano, presso i locali padri teatini a Frascati, iniziava la stesura del Des maux de l'Eglise et de la société, il primo suo scritto decisamente antiromano e tutto pervaso da un richiamo a quell'«ordre nouveau» tanto vagheggiato, quanto scarsamente precisato, al quale egli scorgeva ineluttabilmente avviati i popoli dell'Europa e che vedeva tradito dalla Roma papale.
Alla passione religiosa di quegli anni il Rosmini partecipa appieno, pur mantenendo la propria inconfondibile fisionomia di pensatore. È nota la sua polemica con il Constant e con i sansimoniani. Proprio in questo torno di tempo si fanno più stretti, dopo un periodo di relativa freddezza, i suoi rapporti con il Tommaseo. Alla confusa e un po' torbida religiosità tommaseiana, profondamente segnata dalla esperienza lanennaisiana, e in cui si mescolano sincere aspirazioni riformatrici, desiderio di Palingenesi sociale e nazionale e un sostanziale bisogno di autoritarismo, il Rosmini non manca di contrapporre un richiamo alla religione evangelica; all'attivismo del Dalmata, la regola dell'abbandono in Dio; ai superbi disegni di rinnovamento integrale, il richiamo alla umiltà e alla mitezza. Alla visione della Chiesa trionfante, implicita in certo cattolicesimo riformistico dell epoca, il Rosmini oppone ora la visione di una Ecclesia pauperum, che se non è, come ad alcuni è sembrato, in radicale invincibile conflitto con la prima, certo dà al riformismo rosminiano una ben diversa tonalità.
Motivo, questo, centrale nelle Cinque Piaghe; che, per altro, son lì a mostrare quanto sia erroneo considerare l'atteggiamento del Rosmini come improntato ad un aristocratico distacco, ad un disinteresse per le vicende del secolo, e come invece i piú diversi fermenti agissero in lui nel senso di una esigenza riformistica che non era certamente politica e che neppure può dirsi direttamente religiosa, bensì compiutamente ecclesiastica; e notevolmente originale nella sua organicità.
In tale contesto di riforma cattolica che si esprime eminentemente sul piano ecclesiastico, s'innestano, venendone trasformate e unificate, le più diverse sollecitazioni che giungevano al Rosmini dalla cultura contemporanea.
Suggestioni russoviane, assimilate dallo stesso romanticismo cattolico, circa l'origine religiosa della società,. schema sansimoniano relativo alla successione di epoche organiche e di epoche critiche, applicato alla storia della Chiesa; spunto del Constami sul problema del progresso religioso e sullo sclerotizzarsi del clero come casta; talune critiche, ormai correnti, al dogmatismo applicato ad ambiti non dogmatici, comeprodotto di un eccessivo schematizzarsi della cultura e della mentalità ecclesiastica (critiche particolarmente sviluppate dal Lambruschini); tutti questi disparati elementi totalmente rielaborati e rivissuti in una propria originale visione, vengono trasfusi nelle Cinque Piaghe e messi a servizio dell'idea-madre dell'opera: quella della libertà della Chiesa come necessariamente collegata a un suo interno rinnovamento, che le permetta di essere essa stessa madre di libertà.
Una tale appassionata evocazione del problema della libertà della Chiesa non poteva non fare i conti con colui che, forse più d'ogni altro, se ne era fatto paladino, il Lamennais appunto. Due precisi riferimenti, almeno alle battaglie dell' «Avenir», si trovano nelle Cinque Piaghe: là dove vengono riportate con plauso le proposte fatte al clero di Francia di rinunciare agli stipendi governativi, in cambio di una effettiva indipendenza dal potere politico,- e quando si ricorda l'aspra lotta sostenuta dal giornale contro la nomina regia dei Vescovi. Ma più in generale, non può non colpire la insistenza con cui il Rosmini, come i lamennaisiani, insiste nel riportare a motivazioni religiose-ecclesiastiche, sia pure inconsce, le rivendicazioni politiche e sociali del tempo, né vanno taciute le frequenti denunce rosminiane della persistenza di forme giurisdizionaliste nell'assetto politico-ecclesiastico di molti stati italiani, in tutto simili alle denunce del Des maux de l'Église.
La chiave per penetrare nelle Cinque Piaghe e per caratterizzarle nel contesto del pensiero religioso-ecclesiastico della prima metà dell'800, nei riguardi del lamennaisismo in particolare, sembra essere quella di una esatta valutazione dell'idea rosminiana di popolo cristiano.. espressione ricorrente a quei tempi con inusitata frequenza, di per sé indicativa di un nuovo indirizzo del pensiero ecclesiastico, ma di cui si era anche abbondantemente abusato. Il primo e fondamentale merito del Rosmini sta nell'aver definito l' ambito ecclesiologico in cui l'idea di «popolo cristiano» può e deve essere inserita; da qui una critica implicita all'uso di questa espressione in ambiti propriamente politici. Proprio il cosciente uso dell'idea di popolo cristiano in uno specifico contesto ecclesiologico sostanzialmente nuovo permette al Rosmrni, sul piano ecclesiastico, audacie innovatrici pdi profonde, per esempio, di quelle dello stesso Lamennais. L'incidenza e l'eredità maggiore del pensiero rosminiano si rivela sul piano dell'elaborazione di una dottrina della «società ecclesiastica»: su questo punto e dato osservare il rifrangersi nel Rosmini di tutti gli stimoli culturali e spirituali del suo tempo, fatti servire ad un originale quadro riformistico.
Questo, secondo il Rosmini, deve fondarsi essenzialmente sulla riscoperta di una differenza radicale specifica tra società politica ed ecclesiastica e sulla rinuncia da parte della seconda conformarsi, coscientemente o insensibilmente, secondo le regole che reggono la prima.
In quale prospettiva ideale si collochi il Rosmini nell'avanzare le sue proposte riformatrici si intende facilmente sol che si badi al richiamo iniziale delle Cinque Piaghe al Consilium de emendanda Ecclesia redatto nel 1537 da una deputazione di cardinali istituita da Paolo III, scegliendo i maggiori esponenti della corrente dell'umanesimo ecclesiastico a tendenze riformútiche, dal Pole al Contarini al Sadoleto: siamo cioè nella linea di quella «riforma cattolica» che la recente e più avvertita storiografia è venuta rivalutando e quasi riscoprendo come continuazione ininterrotta di un filone vigoroso del cattolicesimo romano protrattosi fino al Concilio di Trento e oltre, e animato da una'acuta coscienza storica e teologica delle imperfezioni » nella sua realtà umana e storica.
È poi di grande interesse, per determinare la filiazione ideale del riformismo del Rosmini, che egli ricavasse notizie dal Consilium de emendanda Ecclesia e forse l'ispirazione stessa della sua opera da una pagina degli Annali muratoriani, là dove si parla di piaghe della Chiesa, che Paolo III si proponeva di curare: «A lui stava così a cuore la riforma della Chiesa, che, senza aspettare il Concilio, seriamente applicò egli a curarne le piaghe». Certo, questi richiami non devono far trascurare quanto le motivazioni e i contenuti stessi del riformismo rosminiano risentono del quadro culturale della Restaurazione, ma il nucleo, l'idea forza della elaborazione rosminiana resta pur sempre una meditazione sulla natura della Chiesa.
In primo luogo l'attenzione del Rosmini si appunta sulla questione, a tutti i fini basilare, dell'unità ecclesiastica. Profonde ragioni storiche ve lo sollecitano: la coscienza che l'esaurirsi delle più gravi spinte particolaristiche di tipo gallicano e i successi dell'ultramontanesimo non avevano esaurito il problema dell'unità se non in una prospettiva prevalentemente giuridica ed istituzionale; la consapevolezza dei rischi impliciti delle esasperazioni del centralismo ecclesiastico a scapito delle legittime e insostituibili funzioni delle Chiese particolari; l'esatta sensazione che ogni soluzione data al problema del rapporto centro-periferia, ecclesiologicamente parlando, avesse implicazioni profonde sul tipo di rapporto tra clero e popolo cristiano.
Al problema dell'unità della Chiesa, e a quello della sua libertà, come si è visto, Rosmini riconduce gli altri problemi che oggi si direbbero di struttura dell'organismo ecclesiastico, collocandosi nel cuore dei dibattiti politico-ecclesiastici del suo tempo, fra i quali la sua voce risuona con un timbro incontestabilmente originale.