I cattolici e la politica

Questo volume parte dall’amara constatazione che i cristiani si trovano oggi in una situazione di «irrilevanza » nei confronti della politica, in quanto non riescono a far prevalere la propria concezione della società nelle leggi dello Stato, come si è visto nei vari referendum, specialmente quelli sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981). Ma quel che è peggio, si deve lamentare una sorta di «afonia» dei cristiani nella «costruzione della pòlis»: la voce dei laici cattolici non viene neppure percepita, sembra che nessuno sia capace di stabilire un dialogo con la cultura dominante, segnata dal relativismo individualistico. Su questi temi si alza la voce del papa o dei vescovi, ma non quella dei laici.

Il presente volume invita, dunque, a fare «un salutare esame di coscienza» per non ripetere gli errori di questi ultimi vent’anni, dopo la scomparsa traumatica della «Democrazia cristiana ». L’autore individua sette nodi problematici di natura culturale, «che si frappongono fra l’immenso patrimonio potenziale» dei cattolici «e la sua traduzione in effettive scelte operative ». Il primo riguarda l’idea stessa del «politico». I cattolici sono molto attivi socialmente, in particolare nel volontariato di ogni genere o nelle iniziative della Caritas, ma risultano diffidenti verso la politica e lo Stato. Ma a questo riguardo, se è giusto sostenere il principio della sussidiarietà e il ruolo dei corpi intermedi rispetto alle organizzazioni pubbliche, tuttavia il rifiuto dello statalismo può portare a una prospettiva individualista, che appunto si autoesclude dall’azione propriamente politica. Si pone rimedio a situazioni di povertà e disagio sociale, ma non si eliminano le cause di tali ingiustizie.

La seconda domanda verte sull’identità cattolica e la laicità. È necessario passare «dalla dialettica tra chiesa-Stato a quella tra credente- cittadino» per essere presenti in politica da cattolici in quanto cittadini. La questione investe qui il nodo dell’autonomia dei laici in politica, la formazione delle coscienze e la capacità di dialogo. In base al Vaticano II, non è la gerarchia, ma sono i laici che devono impegnarsi direttamente nella politica, collaborando attivamente alla realizzazione del bene comune, in dialogo anche con i non credenti. Da sempre la tradizione cattolica ha indicato nel bene comune il fine proprio dell’azione politica e quindi la necessità di attivare un’efficace cooperazione tra soggetti diversi, che però concordano sul primato della persona umana rispetto ai beni materiali. Il «bene», infatti, indica la vita buona, moralmente giusta e al tempo stesso felice e in questa visione rientrano anche i «valori» o, meglio, i «principi non negoziabili», che si riassumono appunto nella dignità della persona compresa nella sua interezza. Savagnone è consapevole che tutti i protagonisti del dibattito pubblico – non solo i cattolici – hanno principi dai quali non si vuole derogare. La traduzione legislativa di tali principi non può avvenire se non con un ragionevole bilanciamento tra le diverse posizioni, cercando per quanto possibile di raggiungere la loro armonizzazione, compito questo non esente dal rischio di compromessi che scontentano tutti e non risolvono i problemi.

Che fare allora?, si domanda l’autore. Essendo convinto che «le battaglie decisive si giocano nella sfera pre-politica dell’educazione e della formazione personale», il compito che s’impone, prima di creare nuovi movimenti politici, è di rigenerare un terreno culturale, etico e spirituale condiviso, da cui far scaturire un rinnovato impegno per il bene comune. Una conclusione questa che non può non trovare d’accordo chiunque abbia a cuore le sorti future dell’Italia.

Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n. 5 del 2013
(http://www.credereoggi.it)